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Elicotteri italiani a Israele: ormai siamo complici nel genocidio a Gaza

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
1° novembre 2024

Non solo “ricambi e assistenza tecnica da remoto” per i 30 caccia addestratori M-346 venduti ad Israele nel 2012 ma anche i primi velivoli Agusta Westland “Koala-Ofer” per formare i piloti degli elicotteri da guerra della Israeli Air Force.

“Koala-Ofer” di Leonardo

La holding italiana Leonardo SpA continua a trasferire sistemi bellici alle forze armate di Tel Aviv impegnate nelle operazioni di sterminio della popolazione di Gaza e di bombardamento in Libano, Siria, Yemen e Iran.

Prima consegne

Nelle scorse settimane i manager di Leonardo avevano ammesso ai giornalisti di Altreconomia che nel corso dell’ultimo anno avevano garantito il “supporto logistico” alla flotta dei caccia impiegati per l’addestramento dei top gun israeliani, fatturando 7 milioni di euro circa.

Oggi scopriamo che gli stabilimenti della controllata Leonardo Helicopters, negli Stati Uniti d’America, hanno avviato la consegna degli elicotteri AW119Kx alla Flight Training School “Vihiys Latisah” dell’Aeronautica militare israeliana, ospitata nella base aerea di Hatzerim, nel deserto del Negev.

Annuncio mattutino

Benvenuto Ofer! Con particolare enfasi, il Comando della Israeli Air Force annunciava la mattina del 26 maggio 2024 sul proprio profilo Facebook l’avvio delle operazioni di addestramento dei piloti a bordo dell’elicottero prodotto da Leonardo.

“Il primo volo dell’elicottero Ofer (AW119KX) che è stato ricevuto dalla Scuola di volo – ha scritto – è avvenuto oggi (domenica). L’elicottero sostituirà gradualmente il modello Saifan (Bell-206) come elicottero da addestramento nella fase elicotteri di base”.

“I cadetti della Scuola di volo voleranno a bordo dell’Ofer prima di passare alle attività addestrative sugli elicotteri Yanshuf (UH-60 Black Hawk) nella fase successiva del corso”, aggiungeva la Israeli Air Force.

“Le maggiori capacità del nuovo elicottero – concludeva permetteranno un addestramento più avanzato come preparazione per gli elicotteri che voleranno negli squadroni operativi”.

Foto nell’hangar

In aggiunta al post, i militari israeliani pubblicavano alcune foto del velivolo in volo di addestramento e in sosta presso l’hangar della base aerea di Hatzerim.

Va detto che sempre il 26 maggio gli organi di stampa italiani specializzati nel settore difesa avevano riportato la notizia che “la prima sortita” dell’aeromobile era avvenuta nei cieli di Filadelfia (Pennsylvania), dopo il decollo dallo stabilimento di Leonardo Helicopters che ne aveva curato l’assemblaggio.

Un’inesattezza, dunque: il primo “Koala-Ofer” era in dotazione da giorni all’Accademia di volo israeliana.

Battesimo operativo

Un lungo reportage di Helis.com (website specializzato sul mercato internazionale degli elicotteri civili e militari), pubblicato proprio il 26 maggio 2024, fornisce ulteriori particolari sul “battesimo” operativo in Israele del velivolo di Leonardo.

“Il nuovo elicottero di addestramento della Israel Air Force, l’AW119Kx prodotto da Leonardo, ha completato il suo primo volo nel Paese”, esordiva Helis.com.

Poi continuava: “Stamani l’elicottero ‘Oferì, selezionato nel 2019 in una competizione che vedeva presenti l’Airbus H125 ed il Bell 407, è decollato per la prima volta per volare nei cieli di Israele”.

Quindi spiegava. “Un pilota israeliano in forza al Flight Test Center, insieme ad un pilota statunitense, sono decollati a bordo dell’“Ofer” per testare le sue capacità di futuro elicottero di addestramento”.

Entusiastico commento

L’evento era commentato con entusiasmo dal generale Gilad Bar-Tal, comandante del gruppo elicotteri della base di Hatzerim: “E’ l’inizio di una nuova era che darà ai cadetti dei corsi piloti un’esperienza di volo del tutto differente e si aprirà un nuovo mondo nell’addestramento e nella formazione dell’Aeronautica militare”, dichiarava il generale.

“Si realizzerà una transizione dalle attività addestrative sugli elicotteri degli anni Settanta a quelle innovative che influenzeranno l’intera percezione del mondo in termini di training, avionica e strumentazione. Questo giorno segna per noi un salto tecnologico, e non abbiamo dubbi che saranno formati piloti ancora migliori in futuro”, concludeva poi.

Tre differenti test

Significativo anche il commento del vicecomandante del team costruzioni dell’Israeli Air Force. “Negli ultimi anni, l’Aeronautica ha testato tre differenti modelli grazie ad ufficiali esperti e a piloti di droni, valutandone le qualità tecniche, la sostenibilità per le missioni addestrative, il livello di sicurezza e la compatibilità con gli elicotteri impiegati operativamente”, dichiarava l’ufficiale.

E poi  ancora: “Dopo un lavoro in profondità sul campo e a livello di comandi, abbiamo verificato che l’elicottero Ofer è il più adatto per gli stage iniziali di formazione piloti”.

“Uno dei principali obiettivi del nuovo elicottero è quello di accrescere incisivamente l’apprendimento professionale dei futuri piloti, in modo da consentire loro di fronteggiare diversi scenari”, commentava il generale Gilad Bar-Tal.

“L’addestramento sarà ancora più in profondità e rilevante per le sfide presenti e future che grazie all’Ofer, quelle tecniche si ridurranno, e così gli equipaggi aerei saranno in grado di svolgere nel migliore dei modi le loro principali missioni, come ad esempio quella di salvare i feriti e assistere le nostre forze sul terreno”, concludeva.

Elogi per Koala-Ofer

Il 15 luglio 2024 è stato l’ufficio stampa di una delle principali aziende del complesso militare-industriale israeliano, Elbit Systems Ltd., a spiegare i vantaggi addestrativi e qualitativi del nuovo velivolo di Leonardo.

Un team di Elbit Systems Ltd. davanti all’elicottero prodotto dall’azienda italiana

“Fuori da un hangar, con il ronzio dei macchinari e l’annuncio di una nuova era, il primo elicottero Ofer atterra”, riporta enfatico il gruppo bellico.

“La sua eleganza, il design moderno, sono in netto contrasto con i vecchi elicotteri Bell-206 “Saifan” che saranno sostituiti – sembra di stare a n concorso di bellezza -. Mentre il veterano velivolo continuerà ad operare accanto alla nuova generazione di elicotteri per almeno un anno ancora, l’eccitazione degli esperti piloti e dei giovani cadetti è palpabile, poiché tutti sono ansiosi di imbarcarsi su questo nuovo capitolo della leggendaria storia della Israeli Air Force”.

Vantaggi significativi

“Eliezer (Ezer) Katabi – prosegue la nota – è il presidente del consiglio di amministrazione di Snunit Aviation Services, una società controllata da Elbit, che ha operato nelle attività di manutenzione della flotta dei velivoli Saifan per l’Accademia di Volo dell’Aeronautica militare negli ultimi 20 anni. Snunit continuerà a farlo ancora nei prossimi anni con gli elicotteri acquistati e di proprietà del ministero della Difesa israeliano”.

“Il nuovo elicottero Ofer dell’italiana Leonardo (AW119KX), garantirà significativi vantaggi tecnologici rispetto agli odierni Saifan helicopters”, certifica Elbit Systems. “L’elicottero è anche più confortevole in volo e con un sistema avionico più avanzato; inoltre è predisposto particolarmente per le operazioni notturne”.

Registrazione digitale

“Oltre al suo sofisticato telaio, esso si caratterizza per alcuni sistemi israeliani, incluse le tecnologie di navigazione e comunicazione e i sistemi di alta qualità di registrazione digitale ed analisi dei dati. Per l’Ofer è stato sviluppatopure un simulatore terrestre che consente ai piloti di raffinare le proprie competenze in un ambiente controllato che riproduce gli scenari della vita reale. Il simulatore è gestito da una differente unità di Elbit Systems e gioca un ruolo cruciale nei programmi di addestramento comprensivo dei nuovi piloti”.

Accordo Difesa Israele – Leonardo SpA

Nel suo comunicato del 15 luglio 2024, l’azienda israeliana aggiunge che l’accordo sottoscritto da Leonardo SpA con il ministero della Difesa di Tel Aviv prevede la consegna di 12 elicotteri, con l’opzione di altri quattro.

“Alla data odierna il primo dei 12 elicotteri è stato ricevuto, con l’infrastruttura logistica a posto”, spiegano i manager di Elbit Systems. “Noi lo abbiamo ricevuto tre settimane fa, e abbiamo completato successivamente i suoi voli iniziali con un pilota da test di Leonardo ed uno israeliano. Un altro elicottero è in arrivo a breve”.

Presenza di personale dell’azienda italiana nella base aerea del Negev e perlomeno due elicotteri operativi alla data odierna, dunque.

Differenti missioni

Gli Agusta Westland AW119Kx “Koala-Ofer sono elicotteri impiegati in ambito militare per differenti missioni: dall’addestramento e la formazione dei piloti dei velivoli d’attacco, al trasporto VIP, ai servizi di assistenza medica e SAR (ricerca e soccorso), alla vigilanza e sicurezza, ecc.. Equipaggiati con un motore a turbina Pratt & Whitney PT6B-37A (potenza 747 kW), i velivoli possono raggiungere una velocità massima di 267 km/h(volando sino a 3.352 metri dal suolo), ed un’autonomia di 954 km o 5 ore e 20 minuti.

“L’AW119 è il miglior elicottero monomotore multiruolo disponibile oggi nella sua categoria e il suo successo è cresciuto in maniera significativa in anni recenti sul mercato mondiale della difesa”, enfatizza il management di Leonardo. “Dotato di grande versatilità, questo modello offre prestazioni senza confronti con elevati margini di potenza e la cabina più ampia nella sua categoria, in grado di ospitare fino a sei passeggeri in base alla configurazione”.

Contratto di fornitura

La decisione di acquistare un nuovo velivolo per l’addestramento dei piloti di elicotteri da guerra è stata assunta dalle forze armate di Tel Aviv nei primi mesi del 2018.

Il contratto per la fornitura del modello AW119Kx è stato firmato da Leonardo Helicopters nel dicembre del 2019 con il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti d’America, nell’ambito della Foreign Military Sale (FMS), il programma di assistenza alla sicurezza del governo USA per l’acquisto di armi da parte dei Paesi partner.

L’accordo prevedeva inizialmente la consegna di sette elicotteri AW119Kx, unitamente a un pacchetto di servizi, attività addestrative, simulatori di volo e altri equipaggiamenti, con il supporto tecnico per venti anni. Il valore complessivo della commessa era di 38 milioni di dollari circa.

Cinque velivoli

Nel settembre 2020 il gruppo italiano e le forze armate israeliane avviarono una trattativa per la fornitura di altri cinque elicotteri, congiuntamente alla consegna da parte di Elbit Systems di due simulatori per la Scuola di Volo di Hatzerim.

Il 6 aprile 2022 veniva sottoscritto un nuovo contratto tra la divisione statunitense di Leonardo Helicopters e l’US Army Contracting Command, portando a 12 il numero di elicotteri AW119Kx da consegnare ad Israele ed un incremento del valore della commessa di 29,24 milioni di dollari.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Gli israeliani mattatori alla fiera delle armi tecnologiche a Roma

Quando Il Foglio si fa portavoce della propaganda Israeliana

Dal Nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 29 ottobre 2024

Il 24 ottobre il Foglio ha pubblicato un articolo che, purtroppo, attingendo a piene mani dalla propaganda israeliana, mira a bollare come falso e tendenzioso un pezzo che Federica d’Alessio, redattrice di MicroMega, ha pubblicato sulla sua pagina Facebook.

Violenze 7 ottobre in Israele

In quel suo post la d’Alessio rivolge la sua indignazione al mondo femminista, responsabile a suo dire di un clamoroso doppio standard: continuare a ripetere in modo vittimistico la propaganda sugli stupri riguardo al 7 ottobre e nello stesso tempo ignorare le sofferenze che stanno subendo decine di migliaia di bambini e donne colpiti dalle bombe e anche i tanti uomini vittime di stupro nelle prigioni israeliane.

Diceva Totò

“L’ignoranza è una patologia che colpisce molte persone. I sintomi sono: la cattiveria, la presunzione, l’invidia e la cattiva educazione”, diceva Totò. E a leggere l’articolo pubblicato dal Foglio le persone perbene, quelle che sanno e s’informano da fonti più diverse senza essere facilmente catturate dalla propaganda, ricordando Totò, non possono che scoppiare a ridere a crepapelle.

Nell’articolo del Foglio, non giornale di informazione ma strumento di lotta politica, viene ancora una volta riproposta la narrazione sugli stupri di massa accaduti quel maledetto 7 ottobre 2023, con l’accusa alla d’Alessio di non aver capito il resoconto di quel disumano attacco e di averlo voluto contestare.

Violenze generalizzate

La storia delle violenze generalizzate di quel giorno è stata raccontata con una certa enfasi dal New York Times con un reportage da Israele pubblicato nella sua edizione del 27 dicembre successivo all’orrendo massacro perpetrato da Hamas contro civili (non tutti, però. Sono stati attaccati anche militari israeliani).

Il reportage del Times è stato ripreso da diversi siti sionisti che l’hanno rilanciato urbi et orbi, senza verificarne l’attendibilità.

Informarsi meglio

Se l’autrice dell’articolo del Foglio si fosse informata da altre fonti, non acriticamente sioniste, avrebbe scoperto che quella narrazione è stata contestata pesantemente e puntualmente perché falsa. Noi di Africa ExPress abbiamo pubblicato diversi articoli che analizzano in profondità il reportage del New York Times.

Federica D’Alessio durante un Convegno sulla violenza istituzionale contro madri e bambini, ottobre 2023

Li linkiamo qui sotto – assieme al testo del reportage dei NYT – affinché l’autrice dell’articolo del Foglio, donna d’onore (parafrasiamo Shakespeare) e di cultura giacché professoressa all’Università di Torino, possa prenderne visone, possa informarsi e quindi possa aggiornare la sua posizione sulla questione.

Parafrasando Luigi Einaudi (“Conoscere per deliberare”) noi le suggeriamo “Conoscere per giudicare”, ribaltando l’accusa che lei fa alla d’Alessio: “Se avessi aperto gli occhi avresti capito”.

Il testimone Raz Cohen

Per esempio, la professoressa che firma il pezzo sul Foglio scrive:” Significativa è anche la testimonianza di Raz Cohen e Shoham Gueta, sopravvissuti perché nascosti lungo un tratto di autostrada”.

Dan Gertler

Come Africa ExPress ha scritto, il 7 ottobre Raz Cohen non si trovava in Israele e neppure in Palestina, ma in Congo-K impegnato, ad addestrare militari locali (e mercenari non locali) per difendere le concessioni minerarie del magnate israeliano, amico del premier Netanyahu, Dan Gertler.

Raz Cohen, rientrato in Israele subito dopo l’eccidio, quindi non si può essere nascosto durante l’attacco di Hamas, semplicemente perché, non avendo il dono dell’ubiquità, non c’era. Invece viene paradossalmente citato dal reportage del New York Times come uno dei pochi testimoni oculari. Tutti gli altri raccontano gli stupri per sentito dire.

Opinioni e notizie

Quel reportage del prestigioso quotidiano americano è stato contestato anche da siti statunitensi per il metodo giornalistico con cui è stato scritto, con una certa sciatteria. Inoltre mescola opinioni con notizie, in modo tale da fare apparire le interpretazioni soggettive come informazioni indipendenti.

Un sistema informativo che il mio direttore maestro di giornalismo, Piero Ottone, condannava con forza: “Le notizie devono essere separate dalle opinioni”, mi ha insegnato.

Bellicosa autrice

La bellicosa autrice del pezzo stampato dal Foglio cita anche le testimonianze dei volontari dell’organizzazione ultraortodossa Zaka, che si occupa di identificazione dei cadaveri.

Si scorda però di ricordare che il suo fondatore, Yehuda Meshi-Zahav, fu accusato di violenze sessuali e pedofilia, fu costretto a dimettersi e restituire l’Israel Prize , la più alta onorificenza del Paese.

Yehuda Meshi-Zahav, fondatore di ZAKA, morto per le conseguenze di un tentativo di suicidio il 29.06.2022

Ma non solo. Il quotidiano israeliano Haaretz, nella sua edizione in inglese, poco dopo il vile attacco di Hamas indagando sull’attivismo di Zaka, ha pubblicato un rapporto pesante nel quale sostiene che per ottenere visibilità mediatica e per assicurarsi finanziamenti (ha raccolto ben 13,7 milioni di dollari), l’organizzazione ha diffuso resoconti di atrocità mai avvenute e ha pubblicato foto delicate e descrizioni grafiche nel tentativo di scioccare le persone e indurle a donare.

Accuse di negligenza

L’inchiesta di Haaretz ha accusato Zaka di “negligenza, disinformazione e una campagna di raccolta fondi che ha usato i morti come oggetti di scena”.

Il rapporto del quotidiano israeliano sostiene anche che, mentre centinaia di volontari dello Zaka hanno svolto un lavoro importante in condizioni difficili, l’organizzazione ha agito in modo non professionale sul campo, spesso confondendo i resti di più vittime nello stesso sacco e creando poca o nessuna documentazione.

Bastava internet

Inoltre che credibilità può avere un’organizzazione come Zaka che lavora con il ministero degli Esteri, con l’esercito e con altri dipartimenti del governo israeliano?

L’autrice dell’articolo avrebbe potuto fare delle ricerche per sapere cos’è questa organizzazione: bastava cercare su internet.

Guerra da vicino

Ed ha quindi ragione la d’Alessio quando nel suo post sottolinea e scrive che non ci sono testimonianze dirette.

L’autrice professoressa di Torino, inoltre, non deve mai aver visto una guerra da vicino, perché mostra di non conoscere i comportamenti che miliziani e terroristi tengono durante assalti come quello odioso del 7 ottobre.

Obiettivo della narrazione

Lei crede veramente che durante la concitazione del momento un miliziano in action abbia il tempo (e la voglia) di violentare una donna, tagliarle il seno o seviziarla pesantemente? No, semplicemente prende un fucile e l’ammazza.

Non escludo che qualcuno abbia compiuti atti di violenza sessuale ma dubito fortemente che siano stati commessi stupri generalizzati come sostiene la propaganda israeliana e maliziosamente l’autrice dell’articolo.

Aspetto grave

L’obiettivo di questa narrazione è quello di presentare i palestinesi come animali che non possono quindi avere quel rispetto riservato agli esseri umani.

Ma l’aspetto più grave di quell’articolo è che fomenta un sentimento ripugnante e insopportabile: l’antisemitismo. Quando si pretende di equiparare le critiche alla violenta politica sionista israeliana a quelle di tutti gli ebrei (e quindi identificare l’antisionismo con l’antisemitismo) si commette un errore grossolano che può avere effetti devastanti.

Giustificare il genocidio

La falsa narrazione degli stupri di massa presentata come ben orchestrata e organizzata da Hamas ha l’esatto compito di giustificare il genocidio dei palestinesi.

Ma è proprio la giustificazione impropria e a tutti costi di quel genocidio che sta provocando rigurgiti antisemiti che devono essere combattuti con forza.

Secondo questa interpretazione, chi non condivide il diritto di Israele di difendersi anche sterminando i palestinesi è contro Israele è perciò contro gli ebrei e quindi antisemita. Niente di più falso.

Abbastanza stucchevole 

Ma l’autrice dell’articolo del Foglio già in passato ha dimostrato di condividere il pensiero di chi vuol considerare sinonimi antisionismo e antisemitismo, quando durante un’intervista ha sfacciatamente dichiarato: “Sono sempre stata convinta del fatto che, alla base di tutto l’antisemitismo (definirlo antisionismo mi sembra abbastanza stucchevole) che sta rimettendo radici nel mondo, ci sia una grande ignoranza”.

Abbastanza stucchevole? Cioè la critica a una politica è “abbastanza stucchevole” e viene equiparata a un comportamento razzista? Il ricordo di quanto diceva Totò ci fa rispondere con una sonora risata.

Sono queste affermazioni che provocano i rigurgiti di antisemitismo. Rigurgiti che vanno combattuti con convinzione soprattutto analizzando con animo sereno e scevro da tifoserie calcistiche ciò che accade a Gaza.

I massacri di Gaza

Invece il pezzo del Foglio non dice una parola sui massacri a Gaza, sull’illegale invasione del Libano, sui bombardamenti contro le popolazioni civili. E chi tace solitamente acconsente.

Ed è questo il senso che io ho letto nel pezzo di Federica d’Alessio che voleva semplicemente mettere l’accento sulla narrazione falsa e tendenziosa della propaganda israeliana riguardo alla vicenda degli stupri, senza negare affatto “l’orrore realmente accaduto” il 7 ottobre, come c’è scritto chiaramente nel suo post.

Reazione scomposta

Infatti, quell’articolo ha provocato la reazione scomposta delle comunità sioniste che a loro volta, curiosa coincidenza, hanno sollecitato l’articolo sul Foglio.

Per noi giornalisti è assai difficile in guerra districarsi tra verità e fake news. Le notizie anche quelle provenienti dalla propaganda palestinese, vanno valutate con accuratezza e serenità, non con i toni accesi da curva sud come quelli dell’autrice del Foglio. Il tifo non fa bene alla pace.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmailcom
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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Questo il pezzo di Federica d’Alessio
pubblicato sulla sua pagina Facebook

Continuare a frignare sugli stupri immaginari del 7 ottobre – non c’è una sola vittima che si sia fatta avanti dicendo di essere stata stuprata, c’è solo un racconto senza prove, senza testimonianze, senza persone reali, senza nient’altro che una fiction già pronta il giorno stesso, da mandare per veline nei desk dei giornali proni alla propaganda e poi ripetuta a pappagallo per un anno intero da tutti i politici e le politiche che dovevano giustificare il loro filoisraelismo genocidario, nonostante fosse stata smentita dalle stesse tizie che se l’erano inventata – da parte di sedicenti femministe, ha lo stesso statuto morale degli MRA che frignano una continuazione su una violenza delle donne che non esiste.

Inventarsi una condizione di vittima che non è stata nella realtà, ma che ha un potenziale drammatico e narrativo altissimo (per questo non era sufficiente l’orrore realmente accaduto quel giorno), per continuare a incentrare tutto il discorso su di sé e rifiutarsi, con una legittimazione morale autoattribuita, di riconoscere il male che si sta infliggendo ad altre persone. Questo mentre in Palestina e in Libano i bambini, i figli di quelle donne che tanto rivendicano il sacro potere della maternità, stanno vivendo l’inferno in terra, resi orfani, mutilati, ammazzati, traumatizzati per sempre.

Io sono disgustata da queste persone. Profondamente, irrimediabilmente disgustata. E trovo insopportabile l’idea di condividere con loro non soltanto una qualsiasi battaglia, ma la presenza in uno stesso spazio.

E questo l’articolo pubblicato
dal Foglio il 24 ottobre ’24

Negazionisti del 7/10

C’è ancora chi spaccia per fake news gli stupri di Hamas. Basterebbe aprire gli occhi Alcuni giorni fa Federica D’Alessio, giornalista e redattrice di MicroMega, su Facebook ha scritto un post dal titolo “Continuare a frignare sugli stupri immaginari del 7 ottobre” in cui afferma che “non c’è una sola vittima che si sia fatta avanti dicendo di essere stata stuprata, c’è solo un racconto senza prove, senza testimonianze, senza persone reali”.

IL FOGLIO CONTRO D’ALESSIO

Occorre coraggio, tanto, a negare l’evidenza. E questo nonostante Amit Sosna – una donna rapita da Hamas e poi liberata nel corso delle prime trattative – si fosse fatta forza e avesse parlato delle violenze che aveva subìto nei suoi giorni da ostaggio. Ma non tutte le donne israeliane violentate sono rimaste in vita per poter denunciare. Nel kibbutz Be’eri sono state raccolte diverse testimonianze riguardanti i corpi di donne e ragazze violentate, denudate, con segni di sperma sul corpo e coltelli conficcati nei genitali. Sono sufficienti? Si vogliono i nomi dei testimoni? Uno di questi è Chaim Otmazgin, comandante di Zaka (squadre che si occupano dell’identificazione e del recupero di vittime del terrorismo), che ha parlato di corpi nudi di donne con oggetti che li avevano penetrati.

O Noam Mark, che ha fornito alla polizia la sua testimonianza e un video a sostegno delle sue parole, dopo aver rinvenuto corpi nudi con evidenti segni di violenza. Significativa è anche la testimonianza di Raz Cohen e Shoham Gueta, sopravvissuti perché nascosti lungo un tratto di autostrada. Hanno raccontato di aver visto i terroristi violentare una ragazza nuda e pugnalarla più volte, letteralmente massacrandola: “La ragazza non si muoveva più, ma il terrorista continuava a violentarla”. Shari Mendes, che ha avuto il compito di identificare i corpi femminili, ha riferito che gli atti di stupro sono stati diretti nei confronti di donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane e sono stati così brutali da portare in molti casi alla frattura delle ossa pelviche. Molti degli stupri, secondo i testimoni, sono stati stupri di gruppo. Itzik Itach, un volontario di Zaka, ha descritto una coppia, uomo e donna trovati legati l’uno all’altra, nudi, con evidenti segni di stupro sul corpo della donna.

Che dire, poi, delle testimonianze offerte dai pochi ostaggi liberati? Dalle loro parole si evince come donne, ragazze e ragazzi prigionieri a Gaza, siano stati abusati costantemente. Chen e Agam Goldestein, madre e figlia, hanno raccontato di aver conosciuto almeno tre donne ostaggio vittime di violenza sessuale durante la prigionia. Stessa testimonianza è stata offerta da Aviva Sigal, che ha aggiunto che i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in burattini per il loro divertimento.

 

Le squadre mediche, che hanno curato gli ostaggi liberati dalla prigionia, hanno testimoniato che anche gli uomini erano stati violentati e mutilati dei genitali. Ancora Chaim Otmazgin racconta del corpo di un uomo, al Nova Festival, denudato e incatenato. I terroristi hanno anche cercato di bruciarlo.

Quando si cercano prove, se le si cercano davvero, perché non affidarsi ai video girati dagli stessi terroristi? In uno di questi si vede una donna morta al festival, nuda dalla vita in giù, con le gambe divaricate e il corpo parzialmente bruciato. Un’altra immagine, diffusa dai terroristi, mostra il corpo di una ragazza, anche lei nuda dalla vita in giù, appesa a un albero per una gamba sul luogo del Nova Festival.

Che i nostri negazionisti non abbiano mai visto il video, diffuso da Hamas, della giovane donna rapita e trasportata a Gaza, sul retro di una jeep, con le mani legate dietro la schiena e una grande macchia di sangue tra le cosce? E il video di Shani Louk? Anche questo è stato girato e diffuso da Hamas! Si vede la ragazza, quasi completamente nuda e priva di sensi, con le gambe spezzate, che viene fatta sfilare sul retro di un pick-up per le strade di Gaza, mentre la folla applaude e i bimbi le sputano addosso.

Sui social è poi girato un altro video, particolarmente raccapricciante, registrato dai terroristi intenti a torturare una donna incinta. Mentre è ancora viva – ci dice la dott.ssa Cohav Elkayam Levy della Scuola di Medicina di Harvard – legata e imbavagliata, le aprono il ventre, estraggono il feto, lo pugnalano e poi, mentre la picchiano, le tagliano il seno. Afferma il terrorista Manar Muhammad Qassem, durante un interrogatorio: “Il diavolo è entrato in me e l’ho violentata”.

Già, il diavolo. Di quali altre testimonianze sentono la necessità i negazionisti di oggi? Shirel Golan non potrà più testimoniare: come altre decine di sopravvissuti non ha retto al trauma e si è suicidata a soli 22 anni. Proprio come fecero molti sopravvissuti alla Shoah. Ma come spiegare l’evidenza e l’orrore a chi copre i suoi occhi e offusca la sua mente con la benda del pregiudizio? La storia vorrebbe ripetersi, non ci riuscirà.

Daniela Santus

Stupri e violenze sulle donne: anche il New York Times cade nella trappola della propaganda

‘Screams Without Words’: How Hamas Weaponized Sexual Violence on Oct. 7

Dossier Gaza/1 – La guerra si combatte tra tanta propaganda e poca informazione

Dossier Gaza/2 – La montatura mediatica degli stupri di Hamas nei kibutz ha giustificato 30 mila morti

Dossier Gaza/3a – “Tra incudine e martello”: la storia del racconto del New York Times sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3b – “Tra incudine e martello”. Le news inaccurate nell’articolo del NYT sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3c – “Tra incudine e martello”. Le notizie smentite dell’articolo del NYT sugli stupri di massa

Dossier Gaza/3d – “Tra incudine e martello”. Incongruenze e contraddizioni di testimone citato dal New York Times

Dossier Gaza/3e – “Tra incudine e martello”. Le pressioni israeliane sugli autori dell’articolo del New York Times

Dossier Gaza/4a – Israele finanzia la guerra con le miniere del Congo in mano a un sionista, protetto da Netanyahu

Dossier Gaza/4b – Miniere e guerra: i rapporti inquietanti che legano Israele al Congo-K

Massacro firmato dai nigeriani di Boko Haram sul lago Ciad: uccisi 40 soldati di N’Djamena

Africa ExPress
29 ottobre 2024

Il gruppo armato Boko Haram non demorde, i terroristi nigeriani sono sempre attivi e più feroci che mai. Durante il fine settimana hanno attaccato una base militare ciadiana a Barkaram, un’isola sul lago Ciad, a ovest di Ngouboua, al confine con la Nigeria, uccidendo almeno 40 soldati, altri venti sono stati feriti.

I sanguinari guerriglieri islamici Boko Haram,

Lanciata controffensiva

Ieri mattina all’alba il presidente dell’ex colonia francese, Mahamat Idriss Déby Itno, si è recato sul luogo della strage per dare il via all’operazione Haskanite, una controffensiva volta a rintracciare i sanguinari terroristi.

Secondo quanto riportato da fonti locali citate dall’agenzia France Presse, nella serata di domenica i miliziani hanno attaccato una guarnigione di oltre 200 soldati, prendendo il controllo dell’avamposto militare. I terroristi si sono impossessati di armi e munizioni e, prima di fuggire, hanno incendiato tutti veicoli dotati di armi pesanti.

Sostegno internazionale

Il regime di N’Djamena ha dichiarato tre giorni di lutto nazionale. Intanto si susseguono messaggi di cordoglio dal mondo intero. E questa mattina il presidente ciadiano ha lanciato un appello alla comunità internazionale perché intensifichi il sostegno e aiuto nella lotta contro il terrorismo.

Recentemente il capo di Stato ha licenziato alcuni alti ufficiali dell’esercito e ne ha nominati altri. Questo perché alcuni quadri militari erano in netta opposizione con il regime per quanto riguarda la sua posizione nella guerra in Sudan.

Le autorità di N’Djamena sono state accusate di sostenere le RFS (Rapid Support Forces gli ex janjaweed) e aver favorito la consegna a loro di armi provenienti dagli Emirati Arabi Uniti.

Dall’aprile 2023 le RFS, capitanate da Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, combattono contro le forze armate sudanesi (SAF) di Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, il de facto presidente e capo dell’esercito, guerra che ha causato migliaia di morti e milioni di sfollati e profughi, molti dei quali si sono rifugiati nel vicino Ciad.

Nel 2020 Boko Haram aveva compiuto una carneficina in Ciad, uccidendo un centinaio di persone sulla penisola di Bohoma (Lago Ciad). Allora Idriss Déby Itno, padre dell’attuale presidente, aveva lanciato un’offensiva senza precedenti, chiamata “colère de Bohoma”, volta a dare la caccia ai terroristi.

Intervento fallito

E solo poche settimane fa è terminata l’operazione Lake Sanity di MNJTF (Multinational Joint Task Force, della quale fanno parte le forze armate della Nigeria, Niger, Ciad, Camerun e Benin, organizzata per combattere i terroristi Boko Haram e dell’ISWAP (Stato islamico della Provincia dell’Africa Occidentale) nel bacino del Lago Ciad.

Bacino del Lago Ciad

L’operazione non ha ovviamente raggiunto gli effetti desiderati, visto che le aggressioni dei sanguinari gruppi armati continuano senza sosta in tutta la regione, saccheggiando agricoltori e pescatori.

Il bacino del Lago Ciad, situato nella parte centro-settentrionale dell’Africa sui confini di Nigeria, Niger, Ciad e Camerun è abitato da quasi 30 milioni di persone, tra questi oltre 5 milioni sono sfollati o rifugiati in fuga dai sanguinari terroristi Boko Haram di matrice jihadista e dei loro cugini di ISWAP, affiliati allo stato islamico, che nel 2016 si sono separati dal gruppo originale.

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Ciad: armi da EAU verso Sudan

Mistero sulla morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Tra Libia e Nigeria scoppia la guerra del pallone

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
28 ottobre 2024

“La partita N.87 Libia v. Nigeria delle qualificazioni alla Coppa d’Africa TotalEnergies CAF 2025 (era prevista per il 15 ottobre 2024 a Bengasi), viene dichiarata persa per forfait della Libia con il punteggio di 3-0.

La Federcalcio libica è condannata a pagare una multa di 50.000 dollari. L’ammenda deve essere pagata entro 60 giorni dalla notifica della presente decisione”.

CAF sanziona Libia

Conflitto aperto

Questo il secco verdetto emesso sabato 26 ottobre dalla Confederazione Africana Calcio (CAF), presieduta da Patrice Motsepe, 62 anni, sudafricano.

La sentenza calcistica doveva porre fine a incertezze, dubbi, accuse incrociate, tentativi di accomodamento. È stata, invece, l’inizio di un conflitto che va al di là della partita di pallone.

Ebbene sì, la Libia ha dichiarato guerra alla Nigeria. Un Paese dilaniato tra ovest ed est, con due governi, sempre sull’orlo di esplodere, ora deve affrontare la potenza calcistica nigeriana “per la difesa della dignità nazionale e della sovranità”. (Proprio in questi giorni si tiene a Tripoli il Business forum italico libico per studiare accordi in settori chiave come energia, sanità, agricoltura e infrastrutture, ndr).

Nigeria lamenta boicottaggio

Tutto è nato dopo il dirottamento del volo dei Super Eagles (la nazionale calcistica maschile nigeriana) all’aeroporto di Al Abraq, a oltre 200 km dalla sede di gioco.

Lì i giocatori, sono stati tenuti “per oltre 12 ore senza acqua né cibo né connessione telefonica”, aveva scritto su Instagram il capitano William Troost-Ekong, 31 anni, (già Udinese e Salernitana).

Un palese boicottaggio, aveva denunciato la federazione calcistica nigeriana, che aveva deciso di non far disputare l’incontro di qualificazione, facendo tornare a casa i suoi atleti.

Inutilmente la federazione libica (LFF) si era scusata, spiegando che l’incidente “era stato causato da normali protocolli di traffico aereo, da controlli di sicurezza e/o problemi logistici che condizionano i viaggi internazionali”.

Vittoria a tavolino deciso da CAF
Nigeria 3 v 0 Libia

E comunque – ha sottolineato la LFF – la settimana precedente la nazionale libica aveva affrontato diversi problemi all’arrivo in Nigeria, per la terza partita delle qualificazioni per la Coppa d’Africa (persa 1-0, a Uyo, nel sud del Paese, gol del laziale Fisayo Dele-Bashiru, 23 anni), ma non aveva sollevato tanto putiferio.

Ad esempio, la squadra era stata bloccata dalle autorità nigeriane nel lontano aeroporto di Port Harcourt e costretta a un viaggio defatigante prima di scendere in campo.

Violazione regolamento CAF

Niente da fare. Il Collegio disciplinare ha aperto un’inchiesta, ha indagato e sabato ha concluso che “la Federcalcio libica ha violato l’articolo 31 del regolamento della Coppa d’Africa TotalEnergies CAF e gli articoli 82 e 151 del codice disciplinare CAF”.

Che cosa prevedono questi articoli? In estrema sintesi, dicono che “La federazione ospitante che non fornisce alla squadra ospite e agli ufficiali di gara designati tutte le agevolazioni previste dal presente regolamento è tenuta a rimborsare tutte le relative spese, fatte salve le sanzioni che possono essere imposte dal Comitato Organizzatore”.

Immediata la soddisfazione per la vittoria a tavolino del capitano Troost-Ekong, che ha parlato di “gradita forma di giustizia e di un passo avanti verso il nostro obiettivo AFCON 2025“.

Ricorso dei libici

Altrettanto immediata, ma quasi furibonda, la reazione della federazione del tormentato Stato nordafricano, che ha ingaggiato senza indugi un luminare tunisino del diritto, l’avvocato Ali Abbas e ha già fatto ricorso al CAF.

“È una grave ingiustizia – ha tuonato il segretario generale della Federazione Libica, Nasser Al-Suw – basata su accuse maliziose e tendenziose. Oltre alla CAF siamo pronti a esplorare opzioni diplomatiche a livello internazionale”.

La Federazione, infatti, è pronta a portare la questione alla Corte Arbitrale dello Sport (CAS), che ha sede a Losanna in Svizzera, definita come “una Corte suprema internazionale per controversie sportive”.

Problema non solo calcistico

Il caso, insomma, è entrato in una dimensione che va oltre la rivalità sportiva e sta portando a una escalation legale e diplomatica – ha scritto il sito arabo Akhbarlibya24.net – perché ci sono richieste dall’interno del Paese per lottare per i diritti della squadra nazionale e proteggere il suo valore internazionale.

Per giunta i libici hanno osservato che l’incidente ha aperto la necessità di riforme all’interno del sistema sportivo africano.

Per questo è stata già chiesta una revisione del quadro giuridico della CAF onde prevenire questioni simili e garantire un giusto giudizio. Secondo alcuni osservatori la Nigeria sta tentando di rafforzare la propria presenza sportiva alla luce della feroce concorrenza, utilizzando questioni di sovranità e competizione come mezzo per raggiungere i propri interessi nazionali.

Difficile dire se le cose stiano proprio così. Di sicuro la sentenza della Commissione disciplinare significa che la Nigeria è vicina alla qualificazione per la Coppa d’Africa 2025, con due partite di anticipo.

I Super Eagles, infatti, sono ora a 10 punti in quattro partite, con 4 punti di vantaggio sulla Repubblica del Benin, seconda in classifica, mentre il Ruanda ha 5 punti.

I Cavalieri del Mediterraneo, ovvero i nazionali libici, sono ultimi in classifica, con un solo punto e ormai senza speranza di passare alla fase finale in Marocco, nel dicembre 2025/gennaio 2026.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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Sequestri e rapine tra calciatori libici e nigeriani: salta l’incontro per la coppa d’Africa

 

Mozambico elezioni 2024: tra brogli e omicidi Daniel Chapo è il nuovo presidente. Forse

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
27 ottobre 2024

In Mozambico, nella capitale Maputo,il 24 ottobre, la Commissione Elettorale Nazionale (CNE) ha reso noti i risultati delle settime elezioni presidenziali e per l’Assemblea nazionale.

Come da copione conosciuto da 25 anni, la vittoria è andata al Frelimo, partito al potere dal 1975, anno dell’indipendenza dell’ex colonia portoghese.

Elezioni Mozambico 2024
Elezioni Mozambico 2024, annuncio del risultato delle elezioni

Secondo i dati ufficiali, Daniel Chapo (FRELIMO) è il nuovo presidente del Mozambico: ha vinto con il 70,67 per cento dei voti. Venancio Mondlane di Podemos è secondo con poco più del 20 per cento.

FRELIMO con maggioranza assoluta

Anche all’Assemblea nazionale (il Parlamento) il FRELIMO ha ottenuto  la maggioranza assoluta: 195 seggi sui 250, 11 in più delle elezioni del 2019. A Podemos – non era presente nel 2019 – vanno 31 seggi, diventando così il secondo partito.

Per RENAMO, partito di Ossufo Momade, è una disfatta. Da secondo partito passa al 3° posto con 20 seggi – nel 2019 ne aveva 40. Il Movimento Democratico del Mozambico (MDM) di Lutero Simango ottiene 4 seggi, erano 6 nel 2019.

Le proteste dell’opposizione

Mondlane, Momade e Simango non accettano i risultati del voto e accusano il partito al potere di brogli. Il 19 ottobre Mondlane, dopo l’assassinio di Elvino Dias e Paulo Guambe di Podemos, ha indetto uno sciopero generale con manifestazione di piazza. Il 21 ottobre, nonostante i divieti le strade di Maputo e di altre città mozambicane si sono riempite.

Il candidato di Podemos ha quindi indicato il 24 ottobre giornata di protesta pacifica in concomitanza con l’annuncio dei risultati elettorali. Anche queste proteste sono finite con attacchi della polizia.

Elezioni Mozambico 2024, manifestazione contro la corruzione
Elezioni Mozambico 2024, manifestazione contro la corruzione

I partiti dell’opposizione e la società civile accusano la Commissione Elettorale Nazionale e la Segretaria tecnica dell’amministrazione elettorale (STAE) di essere colluse con il FRELIMO. Il Centro per la democrazia e i diritti umani, (CDD), Centro di integrità pubblica (CIP) e Centro di apprendimento e potere della società civile (CESC) hanno pubblicato un comunicato congiunto.

“Queste elezioni sono state le più fraudolente dal 1999 perché, passo dopo passo, il Frelimo ha preso il controllo dell’intero processo elettorale”, si legge. Il documento chiede il riconteggio dei voti in ogni seggio elettorale del Paese.

Riconteggio pubblico

“Il riconteggio deve avvenire pubblicamente, alla presenza di osservatori e dei media. Chiediamo anche la pubblicazione degli avvisi originali di tutti i seggi elettorali. La legge esistente consente al CNE di ordinarlo ora. Se il CNE si rifiuta, il Consiglio costituzionale ha il potere di emettere tale ordine”.

Anche la Missione di osservazione elettorale dell’Unione Europea (MoE-Ue) auspica trasparenza sui risultati elettorali annunciati dal CNE. Condanna la violenza delle proteste, chiedendo il rispetto delle libertà fondamentali.

Vietato opporsi

Dopo la macchina dei brogli anche la macchina della repressione contro le proteste ha funzionato benissimo. Durante le manifestazioni per ripristinare la giustizia elettorale la polizia (PRM) ha ucciso nove persone, i feriti sono stati decine e gli arresti arbitrari quarantasette. Le proteste sono state in tutto il Paese ma soprattutto a Maputo, Nampula e Manica.

Secondo il giornale online 360 Moçambique il portavoce della PRM, Orlando Mudumane, ha dichiarato che sono state arrestate 371 persone. Alla Procura della Repubblica è stata inviata documentazione per ulteriori procedimenti legali di 44 casi penali.

Video spedito ad Africa ExPress dal Mozambico. La polizia spara ad altezza d’uomo e ferisce un giovane in fuga

Spari contro i giornalisti

Oltre alla gente comune che protestava contro i brogli sono stati presi di mira anche i giornalisti che documentavano le proteste. Si legge in un rapporto di MISA-Moçambique, organizzazione per la difesa della libertà di espressione.

“Eravamo sul posto, debitamente identificati, per raccontare i fatti che stavano accadendo quella mattina del 21 ottobre – racconta una fonte protetta -. I manifestanti stavano cantando pacificamente e reggendo cartelli nel luogo in cui Elvino Dias e Paulo Guambe sono stati assassinati. All’improvviso, abbiamo sentito il comandante dell’Unità di intervento rapido dare l’ordine di aprire il fuoco contro le persone”.

“Ero vicino a lui e ho sentito tutto. È stato il primo a sparare e la polizia lo ha seguito. Tra la folla c’erano anche dei giornalisti, ma questo non ha preoccupato il comandante della polizia”. Soffocati dai gas lacrimogeni, ce ne siamo andati di corsa, in cerca di un posto migliore per continuare il nostro lavoro”.

Video spedito ad Africa ExPress dal Mozambico. La polizia spara lacrimogeni

Bloccato Internet

Per 18 ore tutto il Mozambico è rimasto senza la connessione internet mobile. Il blackout è iniziato alle tredici di giovedì 25 ottobre ed è terminato alle 7 di mattina di venerdì 26 ottobre. L’interruzione è stata criticata da attivisti e osservatori locali e internazionali che hanno denunciato una minaccia al diritto all’informazione e un tentativo di mettere il bavaglio alla voce pubblica.

Si aprono i colloqui?

Mentre scriviamo apprendiamo che il FRELIMO, attraverso la portavoce Ludmila Maguni, vorrebbe aprire i colloqui con Mondlane. “Il nostro candidato presidenziale, dichiarato vincitore dal CNE, Daniel Chapo, ha detto di essere aperto al dialogo – ha confermato la portavoce venerdì 25 -. Nel frattempo dobbiamo tenere conto che siamo ancora nel processo dei risultati. E questi risultati stanno ancora andando al Consiglio Costituzionale”.

“Il dialogo è positivo. Siamo aperti al dialogo – ha detto il candidato presidente di Podemos – ma abbiamo delle linee rosse. Una delle questioni che vogliamo è ripristinare la volontà del popolo”.

La sfida tra FRELIMO e Podemos, tra Chapo e Mondlane continua. E lunedì 28 partirà la terza fase di proteste con manifestazioni pacifiche di Podemos.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Elezioni in Mozambico: i quattro candidati alla presidenza della Repubblica e il gas di Cabo Delgado

Elezioni in Mozambico, assassinati due esponenti del partito di opposizione Podemos

Elezioni in Mozambico: Frelimo e Podemos “abbiamo vinto” ma osservatori UE protestano per irregolarità

Mistero sulla morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
26 ottobre 2024

L’addetto militare ungherese, tenente colonnello Imre Vékás-Kovács, è stato trovato morto nella sua camera d’albergo a N’Djamena, pochi giorni dopo aver preso servizio presso l’ambasciata di Budapest accreditata in Ciad. Lo ha reso noto in un breve comunicato il ministero della Difesa ungherese il 22 ottobre scorso.

Ciad: indagini in corso dopo la morte dell’addetto militare ungherese in Ciad

Anche se con forte ritardo sulla tabella di marcia, l’arrivo in Ciad delle truppe di Orban, composta da 200 uomini, dovrebbe essere ormai imminente. Ecco perché pochi giorni fa era stato nominato addetto militare, nella persona appunto del 56enne Vékás-Kovács.

Secondo la Difesa di Budapest, il loro ufficiale avrebbe accusato problemi di salute già da qualche giorno. Un’inchiesta dovrà chiarire le cause della sua morte.

Arrivo di truppe magiare

La rappresentanza diplomatica di Budapest è stata aperta ufficialmente dal ministro degli Esteri, Peter Szijjarto, solo nel dicembre 2023. Per completare l’organico dell’ambasciata magiara non poteva mancare un attaché militare, visto che già un anno fa il Parlamento di Budapest aveva approvato l’invio di un loro contingente in Ciad.

Il compito delle truppe ungheresi consiste nel rafforzare le capacità dell’esercito ciadiano e sostenere la lotta contro il terrorismo. Sembra che ora si avvicini l’arrivo dei militari di Orban, giacché oltre all’insediamento di Vékás-Kovács, da qualche tempo a N’Djamena c’è anche un gran via vai di ufficiali ungheresi

Nel frattempo anche parecchie delegazioni diplomatiche ungheresi hanno fatto tappa nel Paese. Infatti l’Ungheria non ha perso tempo nel rafforzare la sua cooperazione con il Ciad. Le autorità magiare stanno presentando una serie di progetti di sviluppo in diversi settori, come l’approvvigionamento idrico, la produzione di occhiali e la lavorazione del latte di cammello.

Aiuti finanziari

Tutti questi programmi saranno finanziati grazie a un prestito di 200 milioni di euro, concordato a settembre durante la visita del presidente ciadiano, Mahamat Idriss Déby, a Budapest. A novembre, la diplomazia ungherese vorrebbe organizzare un incontro a N’Djamena con gli inviati speciali per il Sahel degli Stati membri dell’Unione Europea (UE).

Il premier ungherese, Viktor Orban, a destra e il presidente ciadiano, Mahamat Idriss Déby

La recente “amicizia” tra l’Ungheria e il Ciad non è del tutto casuale. Orban è ossessionato dall’arrivo dei migranti e tenta in tutti modi di intensificare la lotta volta a frenare l’immigrazione, il suo cavallo di battaglia durante il semestre di presidenza del Consiglio dell’UE.

Lotta contro i migranti

L’Ungheria è uno dei Paesi più poveri d’Europa e attualmente non ha partecipazioni economiche in Ciad o in altri Paesi del Sahel. Tuttavia Orban punta sul fatto che rispondendo direttamente ai problemi di sviluppo, come povertà, assistenza sanitaria insufficiente, le persone potrebbero decidere di rinunciare al sogno europeo.

Secondo i dati del Programma Alimentare Mondiale, il Ciad è uno dei Paesi più poveri dell’Africa. Il 42 per cento dei suoi 20 milioni di abitanti vive con meno di 2,15 dollari al giorno. L’interruzione del commercio con il vicino Sudan, da un anno e mezzo devastato da un conflitto interno, ha fatto salire i prezzi dei prodotti alimentari. Fatto che ha messo ulteriormente sotto pressione l’economia ciadiana.

Il Paese sta inoltre accogliendo decine di migliaia di profughi in fuga dall’ex protettorato anglo-egiziano e da altri nazioni confinanti, flusso in continua crescita, che fa tremare Budapest.

Cornelia Toelgyes
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Orban: lotta ai migranti

Il Congo-K orientale sempre a ferro e fuoco: altri sfollati nell’indifferenza della comunità internazionale

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
25 ottobre 2024

Nell’est della Repubblica Democratica del Congo gli abitanti sono costretti a vivere da decenni con conflitti, che sono diventati una triste costante della loro quotidianità. Una guerra dimenticata da gran parte della comunità internazionale.

Forze armate congolesi e miliziani wazalendo respingono i ribelli M23

Ruandesi in Congo-K

La gente è in continua fuga dai combattimenti tra le forze armata congolesi (FARDC) e i loro alleati, come i wazalendo (patrioti in swahili), contro i vari gruppi armati, in particolare l’M23. Quest’ultimo prende il nome da un accordo firmato dal governo del Congo-K e da un’ex milizia filo-tutsi il 23 marzo 2009. Il gruppo ha ripreso le ostilità nel primo trimestre del 2022 ed è sostenuto dal vicino Ruanda. Le Nazioni Unite hanno pubblicato in proposito un rapporto stilato da un gruppo di esperti.

Anzi, nella loro ultima relazione hanno tra l’altro sottolineato che la presenza di truppe ruandesi in Congo-K è piuttosto consistente. Attualmente sarebbero dispiegati tra 3.000 e 4.000 uomini, che combattono accanto al gruppo M23.

Le Forze di Difesa del Ruanda (FDR) dirigerebbero de facto le operazioni dei ribelli.

Ora le ostilità sono ricominciate dopo un periodo di “relativa” calma. Il 4 agosto, tra i rappresentanti del Congo-K e Ruanda, era cominciato un cessate il fuoco propiziato dal presidente angolano, João Lourenço, incaricato dall’Unione Africana della mediazione della crisi tra Kinshasa e Kigali. I dialoghi tra le parti dovrebbero riprendere il 26 ottobre.

M23 conquista Kalembe

Nella mattinata di domenica scorsa, dopo violenti combattimenti, tra i governativi e i ribelli, i miliziani dell’ M23 sono  riusciti a prendere il controllo della città di Kalembe nel Nord-Kivu. Secondo fonti ospedaliere, durante gli scontri sono state ferite almeno 14 civili, molti altri sono fuggiti in aree, lontane dalla zone degli scontri. Il Congo-K è il Paese in Africa con il maggior numero di sfollati, al 31 marzo 2024, secondo i dati ONU, hanno superato i 7 milioni.

Persone in fuga da violenze e conflitti

Nel pomeriggio dello stesso giorno i ribelli sono stati nuovamente respinti dai wazalendo e hanno dovuto lasciare la città. Per poco, perché mercoledì il gruppo M23 è riuscito a riconquistare Kalembe, dopo nuovi feroci scontri con il gruppo di patrioti. Il capo locale dei ribelli, Kabaki Mwanankoyo, ha confermato a AP che la città è sotto il controllo di M23.

Kalembe si trova in un punto strategico, in quanto è situata sulla una strada che dà accesso ai giacimenti minerari nel territorio di Walikale, nell’ovest della provincia del Nord Kivu.

Fonti locali hanno riferito a AFP che scontri tra M23 e i wazalendo sono stati segnalati anche nelle città di Kahira e Ihula, nel territorio di Masisi, sempre nella provincia del Nord Kivu.

Wazalendo anche a Ituri

E ieri una decina di miliziani dei wazalendo – loro stessi si definiscono come gruppo di autodifesa – sarebbero arrivati nella provincia di Ituri, nell’est della ex colonia belga. Secondo alcune fonti si sarebbero installati a Mungamba, che dista un centinaio di chilometri da Bunia, capoluogo di Ituri.

I patrioti si sono presentati alle autorità del luogo con l’ordine della loro missione. Secondo il documento, sarebbero stati incaricati di restare nella zona per combattere insieme ai militari di FARDC il gruppo terrorista ADF, affiliato allo stato islamico. Allied Democratic Forces è un’organizzazione islamista ugandese, presente anche nel Congo-K dal 1995.

Ma la presenza dei wazalendo non è gradita dalla società civile. Dieudonné Lossa, coordinatore dell’organizzazione a Ituri, ha spiegato ai reporter di RFI che il loro arrivo desta altro che preoccupazione. “Si sono costituiti nel Nord Kivu per combattere gli M23 e il Ruanda. Qui abbiamo già sin troppi gruppi armati. Ci stiamo battendo per il disarmo e il ritorno alla vita civile dei miliziani, dunque la presenza dei “patrioti” ci crea solamente altri problemi. Confidiamo solo nelle forze armate e la polizia”, ha poi specificato il coordinatore.

Cresce tensione tra Kinshasa e Kigali

Intanto crescono le preoccupazioni del mediatore angolano. Sabato scorso Lorenço ha avuto lunghe conversazioni telefoniche con il presidente congolese, Félix Tshisekedi, e il suo omologo ruandese, Paul Kagame, per cercare di appianare le crescenti tensioni tra i due governi per la situazione nell’est dell’RDC.

João Lourenço, presidente dell’Angola

Dopo l’ultima riunione del 12 ottobre sono sorte divergenze di interpretazione tra le parti. La più importante riguarda la delicata questione di quello che Kigali chiama “ritiro del sistema difensivo ruandese” (levée du dispositif défensif rwandais). Per Kinshasa tale espressione significa che il Ruanda avrebbe accettato di ritirare le proprie truppe dal Paese. La loro presenza è stata confermata da diversi rapporti internazionali, tra cui quello degli esperti dell’ONU.

Sta di fatto che il primo ministro congolese, Judith Suminwa, il 17 ottobre scorso ha dichiarato a Bruxelles che “per la prima volta, il Ruanda ha accettato di presentare un piano di ritiro delle sue truppe nel Paese”. Ma Kigali lo ha negato immediatamente. Olivier Nduhungirihe, capo della diplomazia ruandese, ha reagito con veemenza, affermando che il Ruanda non ha mai menzionato un suo ritiro, né a Luanda tantomeno altrove.

Al momento attuale regna una grande confusione. Ora bisogna attendere cosa succederà al prossimo incontro che dovrebbe tenersi sabato a Luanda.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Congo-K: altri articoli li trovate cliccando QUI


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SOS da Gaza: il nord della Striscia è alla fame mentre continuano i bombardamenti

 

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
24 Ottobre 2024

L’ultima emergenza a Gaza si chiama fame e ospedali: nel nord della Striscia l’IDF, l’esercito israeliano, ha dato ordine di sgomberare l’area ma ci sono malati e feriti gravi – per un totale di oltre 350 persone – intrappolati in tre ospedali della zona, vale a dire l’ospedale Al-Awda, quello Indonesiano e il Kamal Adwan Hospital.

Evacuare le persone tra le bombe non è un’operazione banale.

Gli ospedali del Nord di Gaza sotto ordine di evacuazione – Foto UNRWA

I rapporti ONU e OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari) non sanno più come descrivere l’orrore di feriti buttati per terra, mentre scarseggia cibo, acqua e carburante per far funzionare i generatori.

Malnutrizione acuta

OCHA stima che dall’1 al 21 ottobre solo il 6 per cento dei mezzi diretti nel nord della Striscia sono stati fatti passare dalle autorità israeliana. Le agenzie internazionali stimano che 60 mila bambini, tra sei mesi e 4 anni, soffrano di “malnutrizione acuta”, tradotto sono alla fame.

Le pause concesse dai bombardamenti dell’esercito israeliano, come quella del 17 ottobre dalle ore 8 alle ore 16, erano funzionali solo all’ordine di evacuazione di Jabalya, un quartiere a nord della Striscia.

Corpi tra le macerie

I residenti raccontano che negli ultimi giorni vengono attaccati anche quelli che cercano di estrarre corpi tra le macerie e che i bombardamenti proseguono senza limiti.

E intanto non arrivano gli aiuti. Le reti arabe, come a TV Al Arabyia (finanziata dal Regno Saudita che, secondo Reuters, deterrebbe il 60 per cento delle azioni del Middle East Broadcasting Centervbcnc, diffondono video desolanti come questo:

https://youtube.com/shorts/9FB7Sy8TMU8?si=ca2VnTkzuPc2DfqA

e questo:

Altri video messi in onda dai canali in arabo mostrano la demolizione con buldozer, di palazzi di 4 o 5 piani. Quindi è evidente l’intento di conquistare più terra possibile e cacciare la popolazione al centro della Striscia, in vista delle elezioni presidenziali americane.

Lettera di Biden

Il presidente degli Stati Uniti Biden ha inviato una lettera al governo israeliano chiedendo di far passare aiuti alimentari in tutta la Striscia e specie nel nord.

Se non dovesse succedere entro 30 giorni, ci sarà un blocco delle forniture militari da parte di Washington. Sull’argomento il quotidiano di opposizione israeliano, Haaretz, ha dedicato un fondo sostenendo che il cosiddetto “piano su Gaza” non è altro che “un crimine di guerra contrario alla decisione 2334 del Consiglio di Sicurezza ONU” che vieta la conquista di terre con violenza e guerra.

Cessate il fuoco immediato

Gaza è alla fame. Il nord ha bisogno di un cessate il fuoco immediato: l’allarme è stato sottolineato drammaticamente dal portavoce dell’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l’Occupazione dei Profughi Palestinesi nel Vicino Oriente) Philippe Lazzarini, che ha lanciato ieri un SOS per il nord di Gaza, a nome dello staff dell’Agenzia, che si trova ancora in questi quartieri bombardati e mezzi distrutti.

I testimoni raccontano che in una settimana le strutture delle Nazioni Unite hanno subito tre attacchi e a Jabalya sono morte 148 persone, tra cui bambini e donne: “Il nostro staff – ha spiegato Lazzarini – riferisce che non si trovano cibo, acqua e cure mediche”.

Odore di morte

“L’odore della morte è ovunque – ha continuato il portavoce dell’UNRWA -, visto che i cadaveri sono lasciati nelle strade e sotto le macerie. Missioni per rimuovere i corpi o provvedere all’assistenza umanitaria vengono negate. Nel nord di Gaza la gente sta solo aspettando di morire. Si sentono abbandonati, senza speranza e lasciati soli”.

“La gente vive con la paura della morte, che potrebbe arrivare da un momento all’altro – conclude prosegue –.  Anche se la guerra dura da oltre un anno, lo staff di UNWRA è rimasto nel nord della Striscia e ha fatto l’impossibile per procurare aiuto ai profughi interni. Abbiamo lasciato aperti i nostri spazi, nonostante i bombardamenti e gli attacchi ai nostri edifici”.

La conclusione dell’appello è ancora più tesa e mostra come la fiducia nell’esercito invasore sia pochissima: “Insieme al nostro staff nel nord di Gaza, chiediamo un cessate il fuoco immediato, anche solo per qualche ora, per permettere il passaggio umanitario delle famiglie che vogliono lasciare l’area e raggiungere luoghi più sicuri. Questo è il minimo per poter salvare le vite dei civili che non hanno niente a che vedere con questa guerra. Cessate il fuoco subito”.
https://www.unrwa.org/newsroom/official-statements/sos-our-unrwa-staff-northern-gaza

Il computo dei morti è arrivato a 40.718 con oltre 100 mila feriti. La fame tocca quasi tutta la popolazione di Gaza, secondo quattro report di IPC (Integrated Food Security Phase Classification). Un milione e 840 mila persone a Gaza, quindi almeno l’86 per cento della popolazione, non riesce a procurarsi cibo a sufficienza.
https://www.ipcinfo.org/ipcinfo-website/countries-in-focus-archive/issue-112/en/

Gaza, foto UNRWA, ottobre 2024

A Gaza vivono ancora 2 milioni e 300 mila persone circa e il 60 per cento delle terre coltivabili è stato distrutto da bombe e buldozer. Quindi IPC prevede per i prossimi mesi un acuirsi delle condizioni critiche e un numero sempre più elevato di persone alla fame.

Catastrofe alimentare

“La popolazione in Fase 5 (Catastrofe) triplicherà nei prossimi mesi – scrive IPC – Tra novembre 2024 e Aprile 2025, almeno 2 milioni di persone, quindi il 90 per cento della popolazione, entreranno nella Fase 3 (Crisi alimentare) o oltre. Di questi almeno 345 mila saranno in fase 5 e 876 mila in Fase 4. Anche le aree di Rafah e del nord della Striscia, meno popolate, avranno problemi alimentari”.

Come enfatizza il report, la situazione è ancora più critica a causa di epidemie, sovraffollamento della popolazione, condizioni igieniche molto precarie.
https://www.ipcinfo.org/fileadmin/user_upload/ipcinfo/docs/IPC_Gaza_Strip_Acute_Food_Insecurity_Malnutrition_Sep2024_Apr2025_Special_Snapshot.pdf

A Gaza si acuisce la fame. La proiezioni di IPC per i prossimi mesi

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
©️RIPRODUZIONE RISERVATA

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Rapporto americano svela aiuti segreti monstre di Washington per la guerra di Israele

 

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
22 Ottobre 2024

Ha avuto un risonanza globale un report della Brown University che calcola che gli Usa, dal 7 ottobre alla fine di settembre scorso, praticamente fino alla vigilia della guerra contro Libano, Siria e Iran, hanno fornito a Israele almeno 22,76 miliardi di dollari di aiuti. Attenzione, questa cifra non riguarda ancora il supplemento di forniture dato per la guerra nel fronte Nord, quello libanese. 

La copertina del report della Brown University sui recenti aiuti Usa a Israele per la guerra in Medio Oriente

Il report di 23 pagine, firmato dai ricercatori Linda J. Bilmes, William D. Hartung e Stephen Semler, titolo “United States Spending on Israel’s Military Operations and Related U.S. Operations in the Region, October 7, 2023 – September 30, 2024” copre proprio un anno di conflitto.

Il testo completo è qui:

https://watson.brown.edu/costsofwar/files/cow/imce/papers/2023/2024/Costs%20of%20War_US%20Support%20Since%20Oct%207%20FINAL%20v2.pdf


Raccogliere i dati non è stato facile, spiegano i relatori che hanno dovuto mettere insieme notizie uscite sui media come la Reuters con quello che il governo Biden ha nascosto o dichiarato a mezza voce. “La lista degli equipaggiamenti forniti è sicuramente incompleta – si legge nella relazione – in quanto né il Pentagono né il Dipartimento di Stato hanno dato una lista esaustiva, come hanno invece fatto per le armi e gli equipaggiamenti forniti all’Ucraina”.

Da ottobre 2023 a oggi si contano inoltre almeno 100 invii di armamenti al governo israeliano, per un totale di: 57.000 proiettili di artiglieria; 36.000 colpi di munizioni per cannoni; 20.000 fucili M4A1; 13.981 missili anticarro; e 8.700 bombe Mk da 82.500 libbre.

I rapporti tra i due Stati risalgono a un prestito nel 1959 devoluto ai fini di rafforzare la difesa e l’esercito. In tempi più recenti, il presidente Obama aveva fatto passare un pacchetto di 38 miliardi di dollari, quindi 3,8 all’anno, per il decennio dal 2019 al 2028. Le forniture includevano già allora 3,3 miliardi di dollari di attrezzature militari e 500 milioni per rafforzare la difesa aerea. La fornitura Usa dunque ha sempre incluso attrezzature all’avanguardia come questa dal link citato nel report: https://sgp.fas.org/crs/mideast/RL33222.pdf#page=15

F35 israeliani e Usa in missione congiunta. Nel 2021 l’aviazione israeliana ha abbattuto due droni iraniani.

Morale, si calcola che dal 1959 a oggi gli Usa abbiamo dato a Israele 251,2 miliardi di dollari e quella spesa nell’ultimo anno sarebbe il pacchetto più ingente dalla nascita dello Stato in Medio Oriente.

22,7 miliardi di dollari è ad esempio metà del Pil annuale della Giordania (45,81), pari quasi a quello del Libano (24,49). E’ il badget della spesa pubblica annuale del Ghana o di Puerto Rico.

L’opinione pubblica israeliana comincia a preoccuparsi: vertici militari e riservisti chiedono la tregua e il rilascio degli ostaggi. Un recente articolo su Times of Israel riferisce di un report di due funzionari del Ministero dell’economia che temono lo sforo della spesa.

Infatti il governo Netanhyau ha deciso l’ennesimo allargamento della spesa e la bozza della legge finanziaria 2025 che circola, ventila un taglio alla spesa di 9,5 milioni di dollari. Molti cittadini traducono così: cadranno vari benefit e un pezzo di stato sociale.

Di fatto il badget statale 2015 è ancora in discussione e si prevede che arrivi alla Knesset a novembre, se va bene verrà votato entro la fine dell’anno oppure può succedere che il nuovo anno inizi senza la previsione di spesa.

https://www.jpost.com/israel-news/article-823759

Ora pende un incontro del governo, il 31 ottobre, ma i partiti degli Haredi, gli ultraortodossi, United Torah Judaism e Shas, di fatto ricattano il primo ministro chiedendo maggiori esenzioni dal servizio militare, se si convincono a votare la spesa

Ebrei ultraordossi, Israelel

La crescita del Paese, al momento dal 6,6 per cento, scende al 4, come ammette anche il ministro delle finanze Smotrich e infatti anche Moody’s ha abbassato il rating del paese, anche se il debito è piuttosto basso 60 per cento del Pil e le aziende tecnologiche hanno guadagnato anche durante la guerra.

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Camerun: trionfale ritorno in patria del presidente Paul Biya

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
22 ottobre 2024

L’aereo del presidente del Camerun, Paul Biya, è atterrato ieri sera all’aeroporto internazionale di Yaoundé. Ad attenderlo i dignitari di Palazzo, per dare il bentornato al Capo di Stato. Il suo arrivo è stato trasmesso in diretta dalla TV di Stato, che lo ha ripreso con accanto l’inseparabile moglie Chantal.

Sulle strade principali della capitale sono stati affissi manifesti con la foto di Biya e “Welcome home Mr President of the Republic”.

Manifesti sulle principali strade di Youandé, capitale del Camerun

Convalescenza in Svizzera

Dunque il 91enne leader del Paese è finalmente tornato, dopo un’assenza di ben 7 lunghe settimane. Il capo di Stato ha trascorso questo periodo a Ginevra, insieme alla moglie Chantal e alcuni stretti collaboratori. Secondo alcune voci  è andato in Svizzera per la convalescenza dopo un passaggio a Parigi per cure mediche.

A Ginevra, Biya è un habitué di un grande albergo di lusso, l’Intercontinental. Generalmente occupa una suite al 17esimo piano con una vista mozzafiato sul lago.

Seconda casa

L’anziano presidente considera la Svizzera come la sua seconda casa. La cifra giornaliera per ospitare lui e il suo staff all’Intercontinental si aggira sui 40.000 dollari. Ovviamente a spese delle casse dello Stato, mentre una grande fetta della popolazione camerunense vive in miseria.

Nei 42 anni della sua presidenza Biya non si era mai allontanato per così tanto tempo dal Paese, anche se i viaggi in Svizzera sono sempre stati frequenti. Anche sua figlia Brenda, quando è in visita nella Confederazione Elvetica, soggiorna nello stesso albergo  Resta sottinteso che anche per lei la permanenza lì è a carico dei contribuenti del suo Paese.

Camerun, aeroporto di Yaoundé, Paul Biya al suo arrivo dopo 7 settimane di assenza

Assenza di 7 settimane

Assente dai primi di settembre, senza essere mai apparso in pubblico, il silenzio ha suscitato preoccupazione e non pochi interrogativi sullo stato di fisico del leader camerunense, al potere dal 6 novembre 1982. Tant’è vero che il governo aveva vietato tassativamente ai media di parlare della salute del capo di Stato.

Biya non ha partecipato all’Assemblea generale dell’ONU a New York a settembre, tanto meno al XIX vertice della Francofonia che si è tenuto a Parigi all’inizio di ottobre. L’ultima volta è stato visto in Cina, dove si era recato i primi di settembre per il Forum Africa-Cina. In tale occasione ha incontrato anche il suo omologo cinese, Xi Jinping, per colloqui bilateri.

Speculazioni sulla malattia 

Il capo di Stato si era allontanato da Paese senza che i suoi connazionali fossero informati con notizie ufficiali. Ovviamente ciò ha dato adito a speculazioni di ogni tipo sul suo stato di salute, specie, quando l’8 ottobre una emittente televisiva con base negli Stati Uniti e pro indipendentisti anglofoni, ha annunciato la sua morte.

Solo allora il governo ha dichiarato: “Il Capo dello Stato si è concesso un breve soggiorno privato in Europa”, mentre il gabinetto del Presidente ha parlato del suo “Eccellente stato di salute”, aggiungendo che si trova a Ginevra.

Quando il Collettivo degli anziani del seminario cattolico ha poi annunciato di voler celebrare una messa di ringraziamento per il presidente e per la pace ha messo nuovamente in stato di allerta molti, pensando che fosse davvero molto malato.

Il dopo Biya

L’attesa e l’incertezza hanno pesato parecchio sulla vita quotidiana dei camerunensi, influenzando il loro immaginario e alimentando la disgregazione sociale e istituzionale del Paese. La popolazione è preoccupata per la successione, del dopo Biya.

Il recente episodio ne ricorda un altro molto simile. Il 9 giugno 2004, in risposta alle voci che lo davano per morto, Paul Biya aveva schernito i suoi oppositori: “Ho saputo come tutti che ero morto. Sembra che alcuni siano interessati al mio funerale. Bene, dite loro che li rivedrò tra vent’anni”.

Tribunale dei social

Durante la trasmissione odierna, uno dei conduttori dell’emittente pubblica che ha trasmesso in diretta l’arrivo del presidente, ha sottolineato: “Il suo ritorno pone fine al tribunale dei social network”.

Franck, figlio del presidente Paul Biya

Da allora sono passati altri 20 anni e Biya è sempre sulla poltrona. Certo, il suo stato fisico, anche a causa dell’età, non è tra i migliori, e la popolazione è preoccupata per il dopo. Finora non sono stati fatti i nomi di eventuali candidati in lizza per le prossime presidenziali, previste per il 2025.

Coraggio zero

Qualcuno ha già menzionato il figlio del capo di Stato, Franck, ma non tutti membri del regime approvano questa scelta, anche se pochi hanno il coraggio di esprimere apertamente il loro pensiero.

Ora che il leader è tornato e ha ripreso in mano le redini del Paese, bisogna attendere le sue prossime mosse, in particolare per quanto concerne una sua eventuale candidatura per un ottavo mandato.

Cornelia Tolegyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
© RIPRODUZIONE RISERVATA

https://www.africa-express.info/2021/07/19/camerun-il-dittatore-biya-assediato-dai-dimostranti-davanti-a-suo-hotel-a-ginevra/

https://www.africa-express.info/2022/11/15/il-dittatore-del-camerun-paul-biya-festeggia-nel-sangue-i-suoi-primi-40-anni-al-potere/

https://www.africa-express.info/2023/05/25/liberate-30-donne-rapite-in-camerun-protestavano-contro-una-tassa-imposta-dai-secessionisti-anglofoni/

 

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