20.4 C
Nairobi
lunedì, Gennaio 13, 2025

Libera Sala, libero Abedini: tutti esultano ma chi ha vinto?

Speciale per Africa ExPress Fabrizio Cassinelli 8 gennaio 2025 Alla...

Frontex: guerra ai migranti con droni israeliani

Dal Nostro Esperto in Cose Militari Antonio Mazzeo 13...

Anziana austriaca rapita ad Agadez, alle porte del deserto nigerino

Africa ExPress 12 gennaio 2025 Ieri sera verso le...
Home Blog Page 55

BRICS: il difficile tentativo dei Paesi emergenti di affrancarsi dalla tutela economica occidentale

Speciale per Africa ExPress
Silvio Bencini
6 agosto 2023

Ventidue anni fa l’economista della banca d’investimento Goldman Sachs, Jim O’Neill, coniò l’acronimo BRIC per indicare i quattro Paesi allora “emergenti” che avevano maggiori potenzialità di crescita, e cioè Brasile, Russia, India e Cina. Nel 2010 BRIC è diventato BRICS con l’aggiunta del Sud Africa.

Col tempo l’acronimo inventato dalla banca massima espressione della finanza americana è diventata la bandiera intorno alla quale alcuni Paesi del Sud del mondo si sono raccolti per contrastare il dominio occidentale. La connotazione geopolitica del gruppo si è accentuata con l’affermarsi della Cina come potenza globale, in grado di mettere in discussione la posizione dominante degli Stati Uniti fino alla grande crisi finanziaria.

Riunioni di vertice

Negli ultimi anni i BRICS hanno tenuto regolarmente riunioni di vertice. Il prossimo incontro, fissato per fine agosto a Johannesburg, ha attirato l’attenzione soprattutto per la questione diplomatica legata alla partecipazione del presidente Putin che è oggetto di un mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale per crimini di guerra, risolta con la partecipazione del Ministro degli Esteri Lavrov al posto di Putin.

Al di là di questo, l’incontro è atteso perché è il primo dopo il voto del febbraio scorso all’Onu sulla mozione di ritiro dell’esercito russo dall’Ucraina, dove, oltre all’ovvio voto contrario della Russia, tre altri BRIC, Cina, India e Sud Africa si astennero.

Inoltre, nei giorni passati, per iniziativa russa, si è tornati a parlare del desiderio di molti Paesi di affrancarsi dal peso del dollaro e degli Stati Uniti nel sistema finanziario globale, al punto di proporre la creazione di una moneta BRICS.

Una moneta alternativa

Cosa aspettarsi da questo incontro? Basandoci sull’esperienza passata poco, perché, come notava proprio O’Neill in un articolo scritto per il ventennale dei BRICS “the bloc’s ongoing failure to develop substantive policies through its annual summitry has become increasingly glaring.” (cioè, “è diventata sempre più evidente la continua incapacità del blocco di sviluppare politiche sostanziali, nonostante i suoi vertici annuali”, ndr)

Le ragioni di questa difficoltà nel passare dalle parole ai fatti sono diverse.

Una prima ragione è la crescita. Se confrontiamo i dati del Prodotto Interno Lordo (calcolati con il metodo della parità del potere d’acquisto, che riduce l’impatto dei tassi di cambio) dei cinque Paesi nel 2001 e nel 2019 vediamo che le economie sono cresciute a tassi molto diversi.

Se vent’anni fa la Cina rappresentava il 40 per cento del PIL dei BRICS ora il suo peso è prossimo al 60 per cento. Brasile e Russia, che nel 2001 avevano quote uguali e pari al 16 per cento, nel 2019 erano scesi al 8 e 10 per cento rispettivamente. L’India è cresciuta, ma meno della Cina, e il suo peso è passato dal 21 al 23 per cento.

Colosso economico

Le distanze appaiono ancora più evidenti in termini assoluti. A fine 2022 l’economia cinese era diventata più grande di quella americana, a sua volta quasi doppia di quella indiana. Insieme, dunque, Cina e India costituiscono un colosso economico, oltre che demografico, con una popolazione di 2,4 miliardi di persone, pari al 87 per cento del totale dei BRICS.

Una seconda ragione è la divergenza di interessi strategici. L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, e le conseguenti sanzioni internazionali, hanno rafforzato le relazioni di questo paese con Cina e India. Ma Cina e India rimangono fortemente in contrasto sia per motivi territoriali, sia nella competizione per l’influenza nel sud est asiatico.

Polo geopolitico globale

L’India, inoltre, si è candidata per diventare una delle destinazioni del “reshoring” auspicato dai Paesi occidentali per ridurre la dipendenza dalla Cina nella produzione di beni e diversificare le catene logistiche.

Un nuovo polo geopolitico globale dovrebbe avere un leader, che oggi sarebbe naturalmente la Cina, ma per l’India questo sarebbe impensabile. La Cina, d’altro canto, ha una sua politica economica internazionale (Via della Seta, investimenti in Africa) completamente autonoma rispetto agli altri membri del club.

Il fatto paradossale è che proprio una crescita del commercio fra Cina e India, attualmente modesto, avrebbe un grande impatto sullo sviluppo dell’area e del commercio globale.

Democrazie difettose

La divergenza è anche nell’assetto istituzionale. Il Democracy Index calcolato dalla Economist Intelligence Unit sintetizza in un numero che va da 0 a 10 la valutazione di un sistema politico su cinque diverse dimensioni, assegnando poi ciascun paese a quattro categorie: democrazia piena (“full”), democrazia difettosa (“flawed”, l’Italia è qui), regime ibrido (“hybrid”), regime autoritario (“authoritarian”). Il paese con un punteggio maggiore è la Norvegia (9,81) quello col punteggio minore è l’Afghanistan (0,32).

Fra i BRICS, Sud Africa, India e Brasile, con punteggi di 7,05, 7,04 e 6,78 si collocano fra le democrazie difettose, Russia e Cina, con punteggi di 2,28 e 1,96, fra i regimi autoritari. Fra i Paesi che hanno dimostrato interesse a entrare nel gruppo Argentina e Indonesia sono qualificate democrazie difettose, il Bangladesh è un regime ibrido e tutti gli altri (Algeria, Baharain, Bielorussia, Etiopia, Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti) sono classificati come autoritari.

Una delle ambizioni dei BRICS era affrancarsi dalla dipendenza dal dollaro USA, ma per ora la moneta americana mantiene una posizione dominante.

Riserve valutarie

A fine 2022 il 54 per cento delle riserve valutarie globali era denominato in dollari (in calo dal 70 per cento  degli anni ’90), il 19 per cento in euro e il 5 per cento in yen. Erano denominate in renminbi, moneta del Paese leader dei BRICS, la Cina, solo il 2,4 per cento. Ma l’evidenza della difficoltà di creare un’alternativa al dollaro come moneta di riserva globale è nel peso crescente ma ancora relativamente piccolo dell’euro, a 24 anni dalla nascita.

In dollari è condotto oltre l’80 per cento delle transazioni commerciali, e dollari ed euro rappresentano anche le monete in cui è fatturata gran parte del commercio mondiale.

A spingere i BRICS verso la ricerca dell’autonomia dal mondo occidentale e dal dollaro sono stati, in un certo senso, gli stessi Stati Uniti. Nel novembre 2010 il Fondo Monetario Internazionale aveva incluso i Paesi BRIC tra i dieci Paesi maggiori azionisti, insieme a Stati Uniti d’America, Giappone e ai quattro più popolati dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia e Regno Unito) di allora.

Poiché però la proposta di ripartizione delle quote del FMI avanzata dai BRICS è stata bloccata dal Congresso degli Stati Uniti, questi ultimi hanno dato vita a una propria struttura finanziaria autonoma (New Development Bank, NDB), alternativa al FMI durante il loro sesto summit a Fortaleza, in Brasile, il 15 luglio 2014.

Fase embrionale

Successivamente hanno concluso un accordo denominato Contingent Reserve Arrangement (CRA) finalizzato a fornire temporanee linee di finanziamento a Paesi con problemi di bilancia dei pagamenti o crisi valutarie.

La NDB e il CRA sono ancora in fase embrionale. Dal bilancio (in dollari) della NDB risulta che dei 50 miliardi di dollari di capitale a fine 2022 ne erano stati versati solo 10. La banca dipende ancora per oltre il 70 per cento del suo finanziamento dal dollaro.

Strumento di solidarietà

La CRA non ha struttura propria ed è bloccata dalla discussione sulla governance, dominata dalla Cina. Inoltre, nell’unica occasione in cui avrebbe potuto essere utile come strumento di solidarietà fra BRICS, l’esclusione della Russia dagli scambi internazionali, nessuno se l’è sentita di contrastare così esplicitamente le sanzioni americane. D’altro canto, proprio l’impatto delle sanzioni ha spinto i BRICS a considerare il lancio di una propria moneta.

In vista del prossimo incontro dei BRICS a fine agosto, la Russia ha lanciato l’idea di creare una moneta basata sulle riserve auree di questi paesi. Non conosciamo i dettagli della proposta, che arriva a cinquantadue anni dalla fine del Gold Standard decretato da Nixon il 15 agosto 1972 con l’abbandono della convertibilità del dollaro in oro.

Si ripropone anche in questo caso, però, un problema di dimensioni. Delle circa 32 mila tonnellate di riserve auree mondiali, i BRICS ne detengono 5.445 (6.200 considerando tutti i Paesi candidati a far parte del gruppo), meno degli Stati Uniti (8.133) e di quelli dell’area euro (10.774). Il “mondo occidentale” detiene oltre il 70% delle riserve auree.

Silvio Bencini*

*Silvio Bencini è managing partner di European Investment Consulting, società di consulenza per asset manager e fondi pensione.
Ha una vasta esperienza in materia di fondi pensione e sistemi pensionistici e ha ricoperto per due anni il ruolo di direttore generale ad interim di un fondo pensione aziendale. È regolarmente relatore in seminari tenuti dall’organizzazione di categoria Mefop.
Laureato con lode in economia a Torino, ha svolto tutta la sua carriera nel settore finanziario, prima come analista obbligazionario, poi come trader di derivati su tassi d’interesse per assumere successivamente ruoli di vertice. Dal 1998 al 2006 ha lavorato nel Gruppo Monte dei Paschi di Siena ricoprendo ruoli di vertice sia nella holding che nelle società controllate.
Prima di entrare in EIC ha lavorato come senior advisor per le istituzioni finanziarie e il wealth management nella practice di consulenza manageriale di Accenture.
Silvio Bencini ha ottenuto le certificazioni professionali CFA (Chartered Financial Analyst), CAIA (Chartered Alternative Investment Analyst) e PRM (Professional Risk Manager) e la certificazione CFA Institute in ESG Investing (2021).
Ha ricevuto una borsa di studio dalla Fondazione Luigi Einaudi di Roma e ha tenuto corsi e seminari presso la facoltà di Economia e Commercio di Torino, l’Università Bocconi e l’Università Bicocca di Milano.
Attualmente è professore a contratto presso l’Università Bicocca di Milano, in un corso di machine learning e finanza.

RSF, la libertà di stampa in Africa peggiora ancora rispetto all’anno scorso

 

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
3 agosto 2023

Fare giornalismo in Africa è diventato più difficile. Nel 2022 il 33 per cento dei Paesi africani aveva una brutta situazione con la libertà di stampa che è peggiorata nel 2023. Il World Press Freedom Index 2023 di Reporters sans Frontières (RSF) ha rilevato che l’incremento è salito al 40 per cento.

Libertà di stampa RSF mappa
Mappa degli espatri dei giornalisti (Courtesy RSF)

Giornalisti in fuga

I giornalisti in Africa sono in fuga per problemi di sicurezza. I maggiori flussi sono verso Europa, Stati Uniti e Canada. Queste mete sono raggiunte soprattutto dai reporter congolesi, nigeriani, eritrei e burundesi

I flussi di emigrazione dei giornalisti sono anche nei Paesi confinanti a quello di appartenenza. I reporter sudanesi si spostano in Egitto, Chad, Sud Sudan o Etiopia mentre i somali si rifugiano in Kenya.

“Uno dei più grandi carcerieri di giornalisti al mondo è l’Egitto. Attualmente ne detiene 37 dei quali 20 arbitrariamente”. Scrive RSF nel suo Press Freedom Index 2023.

Però, il Paese dei faraoni ha anche accolto almeno una quarantina di reporter sudanesi. È successo quando a metà aprile, in Sudan, sono iniziati gli scontri tra fazioni militari.

È la prima volta che l’ong che monitora la libertà di stampa e pubblica uno studio sulla migrazione dei giornalisti. Non dimentichiamo che nel World Press Freedom Index l’Egitto figura al 166° posto su 180 Paesi.

libertà di stampa RSF
Libertà di stampa, Index 2023: L’Egitto è al 166° posto della classifica  (Courtesy RSF)

Africa laboratorio di propaganda russa

Lontana anni luce dai Paesi scandinavi, primi per la libertà di stampa, secondo RSF, l’Africa è “Il nuovo laboratorio di disinformazione e propaganda”.

L’area maggiormente colpita dalle fake news e dalla propaganda sono i Paesi dell’Africa subsahariana dove sono presenti i mercenari russi del Wagner Group.

Nelle aree dove ci sono conflitti i governi africani usano i media come strumenti di propaganda. In Mali e Burkina Faso hanno sospeso a tempo indeterminato le sedi di due media internazionali ed espulso i giornalisti stranieri.

In Centrafrica domina la narrativa russa che utilizza i media di propaganda Russia Today e Sputnik. L’obiettivo è screditare i giornalisti non allineati.

Giornalisti sempre più in pericolo

Con la guerra del Tigray, in Etiopia, sono stati arrestati una quarantina di giornalisti. Nella Repubblica Democratica del Congo (RDC) nel Nord Kivu, i cronisti lavorano tra l’incudine dei ribelli dell’M23 e il martello delle Forze armate congolesi.

La buona notizia è che in Mali il giornalista francese Olivier Dubois, sequestrato da un gruppo jihadista, è stato rilasciato dopo 711 giorni. La cattiva notizia è che in Camerun, Kenya, Somalia e Ruanda, da settembre 2022 a gennaio 2023, sono stati uccisi cinque giornalisti.

Tra questi il reporter camerunense Martinez Zogo e il ruandese John Williams Ntwali. Aperte le indagini per individuare i mandanti ma, come spesso succede, sono state insabbiate.

Il Burundi invece ha condannato a 10 anni di carcere Floriane Irangabiye, di Radio Igicaniro. È stata accusata di “minare l’integrità del territorio nazionale” perché, dell’agosto 2022, ha intervistato un difensore dei diritti umani e un giornalista in esilio.

I due intervistati avevano criticato la situazione dei diritti umani in del piccolo Paese della regione dei Grandi laghi.

L’Africa ha sicuramente ancora molto da lavorare sulla libertà di stampa. Ma la Namibia (22°) e il Sudafrica (25°) nella lista superano alcuni Stati UE. Italia compresa, al 41° posto.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

Twitter:
@sand_pin
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Rapporto RSF 2021, Africa continente peggiore su libertà di stampa

 

Battaglia all’ultimo sangue a Khartoum: esercito e janjaweed combattono strada per strada

Mali: giornalista francese rapito dai jihadisti nel nord del Mali

 

Mentre la Tunisia continua ad affondare, il suo campione vola nel nuoto

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
3 agosto 2023

Nella Tunisia che sta colando a picco, il suo campione non solo galleggia, ma vola sulla cresta dell’onda. E conquista due sbalorditive medaglie d’oro e una d’argento.

Altro che meteora del nuoto planetario!

Il tunisino,Ahmed Ayoub Ahfnoui, continua a sorprendere

Ahmed Ayoub Ahfnoui, 20 anni, ai campionati mondiali di sport acquatici (The World Aquatics Championships) appena conclusisi a Fukuoka, in Giappone, si è confermato una stella di prima grandezza.

Ha vinto gli 800 metri stile libero (il 26 luglio), i 1500 (il 30 luglio) lasciandosi alle spalle altri due mostri della specialità, l’americano Bobby Finke (23 anni, campione uscente degli 800) e l’australiano Samuel Short (19).

Nella gara dei 1500 ha sfiorato il record mondiale (per mezzo secondo…), ma ha segnato il primato dell’Africa e dei campionati in 14:31:54. E si è affermato come il secondo nuotatore più veloce di tutti i tempi.

Il 23 luglio era giunto secondo alle spalle di Short, nei 400 metri stile libero. Aveva, però, fatto capire che stava affilando le bracciate per conquistare le altre due sfide, fino a poco tempo fa appannaggio dei nuotatori europei, in particolare del nostro Gregorio Paltrinieri, dolorosamente ritiratosi dall’appuntamento giapponese.

E pensare che sul finire di luglio di 2 anni fa, alle Olimpiadi di Tokio quando all’Aquatic Centre, un urlo squarciò il silenzio, i pochi spettatori presenti si chiesero: chi è stato?

Era Ahmed Hafnoui, che a 18 anni diventava il primo atleta africano a conquistare i 400 metri stile libero ad un’Olimpiade. Era la terza medaglia nella storia della Tunisia in piscina. Prima di lui c’era stato solo Oussama Mellouli, ora 39 enne, che aveva dominato i 1500 stile libero nel 2008 a Pechino, e nel 2012 i 10 km in acque libere, a Londra.

Ai Giochi Olimpici di Tokio, Ahmed Hafnoui fu una sorpresa generale, di lui si sapeva poco o niente, esisteva solo una foto su Instagram. Il primo a stupirsi fu proprio lui, che si presentò alla cerimonia di premiazione in maglietta e pantaloncini, come se andasse in spiaggia.

Stupore e meraviglia giustificati, tanto che dopo la prima domanda – ” “ma chi è ? – tutti sentenziarono: dura minga, dura no (per usare un celebre detto), un fruscio di scopa nuova, ovvero scomparirà presto.

Il ragazzone (è alto quasi 2 metri) in effetti il mare Mediterraneo da piccolino non lo vedeva neanche con i binocoli: il suo paese natale, Matlaoui (Al-Mitlawi) sorge nel centro della Tunisia e dista 160 km dalla costa. Matlaoui era conosciuto solo come centro di estrazione dei fosfati e come epicentro di una sanguinosa rivolta nel 2011.

Per sua fortuna Ahmed aveva cominciato a nuotare a Tunisi all’età di 6 anni, spinto dal padre, ex giocatore della nazionale di basket. A 12 anni era entrato in nazionale, a 16 aveva partecipato ai Giochi giovanili di Buenos Aires (ottavo posto), e a 17 anni, nel 2019, ai mondiali Juniores (10 posto). Ma nel settembre scorso la svolta: la sua società polisportiva, Esperance de Tunis, lo trasferisce all’università Bloomington, dell’Indiana, negli States.

“Qui nuovi metodi di allenamento, cui non ero abituato, cura maniacale nei dettagli – l’atleta ha raccontato a Olympics.com – mi hanno trasformato e migliorato>. In particolare, ha confessato Ahmed al sito specializzato SwimSwam deve molto al suo collega egiziano Marwan El Kamash, che però a Fukuoka è andato molto male.

E poi… testa bassa in acqua e pedalare, con un occhio rivolto alla corsia dei competitors: “Ringrazio molto i miei concorrenti finalisti – ha dichiarato sornione dopo le sue sonanti vittorie – mi spingono a dare il meglio di me stesso”

Un campione simile, ora, la Tunisia se lo coccola. Lunedì 31 luglio, all’aeroporto Tunis-Carthage è stato osannato dai familiari, dai tifosi e da una rappresentanza istituzionale di alto livello: Kamel Deguiche, ministro della Gioventù e dello Sport, Rabie El Majidi, ministro dei Trasporti; Mehrez Boussayene, presidente del Comitato Olimpico Nazionale e Hedi Belhassen, presidente della Federazione tunisina di nuoto.

D’altra parte, il Paese ha poco altro da festeggiare. La crisi economica e politica morde.

Il presidente del Tunisian Center for Global Security Studies, Ezzedine Zayani – citato da Al Jazeera – ha ammonito che tre milioni di cittadini rischiano la fame; da mesi si protraggono le trattative con il Fondo monetario internazionale per la concessione di un nuovo programma di aiuti per quasi 2 miliardi di dollari; la libertà di stampa è minacciata. Per non parlare delle masse di migranti che premono dentro e fuori i confini e la politica repressiva e xenofoba del presidente Kais Saied. Il seguitissimo rapper congolese Gandhi Djuna, noto come Maître Gims (37 anni), ha annunciato che il suo concerto, previsto per l’11 agosto a Djerba, in Tunisia, è stato annullato.

Il cantante ha spiegato sui social di aver preso questa decisione a causa della situazione dei migranti subsahariani nel Paese. “Bambini, donne, uomini, espulsi dalla Tunisia alla Libia, vivono in condizioni disumane. Non posso tenere il mio concerto. Non so dove siano le soluzioni. Ma questa estrema angoscia è insopportabile”.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
Riproduzione Riservata

La Tunisia affonda, mentre Ahmed vola sulle onde della piscina di Tokyo

Come si presenterebbe la minaccia dell’ECOWAS di usare la forza per ripristinare la democrazia in Niger?

Associated Press
Chinedu Asadu
Abuja, luglio 2023

La posizione del blocco regionale dell’Africa occidentale noto come ECOWAS in merito al golpe militare in Niger è chiara: “Saremo al fianco del nostro popolo nel nostro impegno per lo stato di diritto”, ha dichiarato il suo presidente, il capo di Stato nigeriano Bola Tinubu, alla riunione dell’organismo di questa settimana.

Il blocco di 15 nazioni ha convocato i suoi capi della Difesa per discutere la minaccia di “prendere tutte le misure necessarie compreso l’uso della forza” se il presidente nigeriano Mohamed Bazoum non verrà reintegrato entro una settimana.

Secondo un diplomatico occidentale a Niamey, che non ha voluto essere identificato per motivi di sicurezza, l’ECOWAS è decisa a ricorrere alla forza militare dopo il fallimento delle sanzioni economiche e di viaggio utilizzate contro gli autori del colpo di Stato.

In contingente italiano (da 350 a 500) militari è concentrato nella capitale Niamey

Non è chiaro come il blocco possa mettere in atto la sua minaccia, data la mancanza di coordinamento per fornire sicurezza a livello regionale e formale con il Dipartimento di Stato americano in Niger, ha dichiarato Aneliese Bernard, direttore di Strategic Stabilization Advisors.

“Non c’è abbastanza fiducia tra i membri dell’ECOWAS e questa mancanza di fiducia è ciò che impedirà qualsiasi tipo di risposta coordinata”, ha sottolineato Bernard.

Ma ecco cosa possiamo dire su come potrebbe svolgersi un’opzione militare di questo tipo:

L’ECOWAS È GIÀ INTERVENUTA
MILITARMENTE NEI PAESI MEMBRI?

È la prima volta negli ultimi anni che l’ECOWAS prende in considerazione l’uso della forza per intervenire e ripristinare la democrazia in Paesi in cui i militari hanno preso il sopravvento.

Tra la recrudescenza dei colpi di Stato in Africa occidentale e centrale, quattro nazioni della regione sono guidate da governi militari, ma il blocco ha cercato senza successo di riportare la democrazia in questi luoghi.

La sua reazione già adottata sono state le sanzioni economiche, che spesso non hanno sortito alcun effetto, se non quello di spremere la popolazione, già alle prese con un alto tasso di povertà e fame.

Tuttavia, nella storia recente l’ECOWAS ha fatto ricorso alla forza per ristabilire l’ordine nei Paesi membri, da ultimo nel 2017 in Gambia dopo il rifiuto del presidente di lunga data, Yahya Jammeh, di andarsene dopo aver perso le elezioni.

Ma anche in quel caso, la mossa aveva comportato sforzi diplomatici guidati dagli allora presidenti di Mauritania e Guinea, mentre Jammeh sembrava agire da solo dopo che l’esercito gambiano aveva giurato fedeltà al vincitore delle elezioni, Adama Barrow.

L’ECOWAS ha anche gestito un’operazione regionale di mantenimento della pace nota come ECOMOG, guidata dalla Nigeria negli anni Novanta e nei primi anni Duemila per contribuire a ristabilire l’ordine in diversi Paesi, dalla Liberia, quando le forze furono dispiegate per la prima volta nel 1990 durante la mortale guerra civile, alla Sierra Leone nel 1997, quando il governo democraticamente eletto di Ahmed Tejan Kabbah fu rovesciato.

UN INTERVENTO MILITARE
IN NIGER PUÒ FUNZIONARE?

L’esercito del Niger, privo di sbocchi sul mare e che dipende da vicini come la Nigeria per la fornitura di elettricità e il Benin per le operazioni portuali, potrebbe non essere in grado di resistere a lungo a una forza congiunta dell’ECOWAS, ha dichiarato Bacary Sambe, ricercatore sui conflitti presso il think tank senegalese Timbuktu Institut.

Secondo gli analisti, il successo di un intervento militare di questo tipo dipenderebbe anche dalla capacità dell’ECOWAS di coordinarsi tra i suoi membri e con organismi esterni come l’Unione Africana. Ma ci sono già segnali di una mancanza di sinergia: L’ECOWAS ha dato alla giunta nigerina una scadenza di una settimana, più breve dell’ultimatum di 15 giorni che l’Unione Africana ha dato loro per tornare nelle caserme.

Foto scattata durante la dimostrazione antifrancese a Niamey

Ci sono anche limitazioni economiche per quanto riguarda la logistica e il finanziamento di una forza di questo tipo, lasciando aperto uno spiraglio per il sostegno occidentale, ha affermato Kabir Adamu, fondatore di Beacon Consulting, una società di consulenza sulla sicurezza con sede ad Abuja.

“Un intervento militare sarebbe un po’ difficile, ma ci sono altre opzioni nel mondo occidentale e in Francia. Nel caso della sfida finanziaria, questa può essere affrontata con il sostegno di altri Paesi, così come la sfida tecnica”, ha detto Adamu.

I 15 Paesi membri dell’ECOWAS la comunità economica dell’africa Occidentale

La resistenza minacciata da altri Paesi gestiti da regimi militari – Mali, Burkina Faso e Guinea – potrebbe complicare ulteriormente la risposta dell’ECOWAS. I quattro Paesi condividono confini che potrebbero rendere più facile per loro fare squadra attraverso la regione del Sahel, nella vasta distesa arida a sud del deserto del Sahara, che va dalla Guinea da un lato al Niger dall’altro.

Nove dei primi 20 Paesi con le migliori forze armate in Africa appartengono alle restanti democrazie dell’Africa occidentale, secondo il Global Fire Power, che classifica la forza militare. Solo la Nigeria, al quarto posto, è tra i primi cinque, mentre il Mali, al 21° posto, è il più alto in classifica tra i quattro Paesi che hanno recentemente subito un colpo di Stato.

QUANTA INFLUENZA ESTERNA DA PARTE
DELL’OCCIDENTE E DELLA RUSSIA POTREMMO VEDERE IN NIGER?

Un intervento militare guidato dall’ECOWAS in Niger e la conseguente resistenza del Mali, del Burkina Faso e della Guinea potrebbero tenere l’Occidente e altre parti dell’Africa nel “mezzo di una battaglia geopolitica tra l’Occidente e la Crimea”, ha spiegato Adamu.

I Paesi dell’Africa Occidentale, non tutti fanno parte dell’ECOWAS

Il colpo di Stato in Niger potrebbe estendere il raggio d’azione del gruppo militare privato russo Wagner in Africa occidentale, dove è emerso come partner privilegiato per la sicurezza, dal Mali, dove ha aiutato a combattere i gruppi jihadisti, al Burkina Faso, dove il regime ha salutato la Russia come “alleato strategico” dopo aver estromesso le truppe francesi a febbraio.

Il capo di Wagner, Yevgeny Prigozhin, ha accolto la presa di potere militare come “la lotta del suo popolo (il Niger) contro i colonizzatori”, riferendosi alla Francia, che insieme agli Stati Uniti ha migliaia di truppe in Niger, visto come l’ultimo alleato occidentale rimasto nel Sahel.

“La giunta militare (in Niger) non può guardare alla Russia (ma) dipende da quanto lontano vuole andare”, ha commentato Adamu.

Chinedu Asadu

Sam Mednick a Niamey, Niger, e Baba Ahmed a Bamako, Mali, hanno contribuito.

Niger, a colloquio con gli schiavi: ”Cos’è la libertà”?

Niger, quando gli schiavi non vogliono essere liberati

Niger, a colloquio con gli schiavi: ”Cos’è la libertà”?

Niger, quando gli schiavi non vogliono essere liberati

Paradosso mercenario: se combattono per i vincitori sono “legittimati”, se per i perdenti sono criminali o terroristi

5

Dalla newsletter Nota Diplomatica
James Hansen
Luglio 2023

Esiste la convinzione – comune nel commento editoriale – che la “legge internazionale ” sia qualcosa di affine al Codice della Strada. Così, a seconda dell’orientamento politico, l’invasione russa dell’Ucraina ad esempio equivarrebbe a una sorta di “eccesso di velocità” internazionale, idealmente da punire con multe economiche e forse con l’eventuale sospensione della patente”.

È una percezione accademica. Non ha molto a che fare con la realtà dei fatti, basata invece sui rapporti di forza tra le parti in causa e regolata dal concetto molto più primitivo di “might makes right”. Cioè, che il “giusto” sia determinato dai vincitori, i più forti, e non da un’accurata analisi dei testi e dei trattati.

Il fenomeno è evidente se si esamina il ruolo dei militari detti “mercenari” o, più romanticamente, “soldati di fortuna”. In pratica, si tratta di combattenti il cui status viene determinato essenzialmente dall’andamento del conflitto che li coinvolge.

Se sono dalla parte vincente, allora sono “legittimati” e protetti da strumenti come le varie Convenzioni di Ginevra, che (quando vengono rispettate) stabiliscono una sorta di trattamento minimo per i prigionieri di guerra.

Mercenari in Siria

Se la loro parte è invece perdente, possono essere definiti semplicemente come criminali, terroristi passibili di qualsiasi punizione, a partire dalla fucilazione sul campo.

Dal punto di vista dell’Onu, i mercenari non dovrebbero nemmeno esistere. Una Convention against the Recruitment, Use, Financing and Training of Mercenaries è stata approvata dall’organizzazione nel 1989 e ha preso la forma di un trattato internazionale nel 2001.

Nel video mercenari rumeni in Congo

Il documento è stato ratificato finora da 46 paesi, compresi l’Italia (nel 1995) e perfino la Bielorussia (nel 1997), il che mette in una luce curiosa il recente compromesso tra il Premier russo Putin e il capo e padrone della formazione esplicitamente “mercenaria” Wagner Group, Evgenij Prigozhin, che prevede il trasferimento della base di operazioni dell’esercito privato proprio in Bielorussia.

Evgenij Prigozhin

Il trasloco Wagner è una brillante illustrazione del “paradosso mercenario”, una netta indicazione che la guerra – qualsiasi guerra – ammonti comunque a una temporanea sospensione della legalità. Oltre all’utilizzo dei mercenari, lo stato di conflittualità sembra autorizzare l’aggressione alla popolazione civile, la distruzione delle infrastrutture, il furto di ciò che si vuole e perfino la tortura dei prigionieri: almeno a patto di vincere…

Un mercenario del gruppo Wagner

Più in generale, gli importanti documenti che regolerebbero la condotta dei combattimenti lasciano la porta aperta a infinite vie d’uscita, come anche gli emendamenti del “Protocollo 1” alle Convenzioni di Ginevra, che parrebbero creare una serie di eccezioni per i “conflitti armati in cui i popoli combattono contro il colonialismo, la dominazione straniera e i regimi razzisti”.

Tranquilli però, l’Articolo 37 del Protocollo vieta espressamente l’utilizzo della “perfidia” in guerra.

James Hanses*

*James Hansen è arrivato in Italia nel Servizio diplomatico americano. Poi è diventato corrispondente del britannico Daily Telegraph e dell’International Herald Tribune. E’ stato direttore della rivista di geopolitica East, ed è consulente di primari gruppi italiani per le relazioni internazionali.

Sahel: venti di guerra, Mali e Burkina respingono intervento ECOWAS: “Se toccate il Niger risponderemo con le armi”

0

Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
1° agosto 2023

Venti di guerra nel Sahel. Mali e Burkina Faso hanno risposto per le rime alla risoluzione del vertice dell’ECOWAS che minaccia sanzioni, anche militari, alla giunta militare che ha preso il potere in Niger.

In due interventi televisivi nelle televisioni maliana e burkinabé le rispettive giunte al potere hanno minacciato di rispondere militarmente alla prospettiva di interventi bellici per reinsediare il presidente nigerino Mohamed Bazoum, che due anni fa era stato eletto con un voto democratico considerato corretto dalla comunità internazionale.

La risposta dei due Paesi è durissima contro l’ECOWAS. “Ogni intervento militare conto il Niger significherà una dichiarazione di guerra contro il Burkina Faso e il Mali”. Definisce poi le sanzioni illegali e si riserva il diritto di intervento.

Stessa dichiarazione trasmessa dalla televisione del Burkina Faso. La situazione sta diventando quindi incandescente in una regione in cui i terroristi islamici stanno giocando un ruolo destabilizzante con conseguenze che investiranno anche l’Europa, grazie a una probabile ondata di migranti.

A sostegno del governo defenestrato in Niger, si sono schierati i governi occidentali, Francia e Stati Uniti in primis ma anche Unione Europea; i golpisti, non solo quelli del Niger ma anche quelli che sono in Mali e in Burkina Faso, hanno il sostegno della Russia e dei paramilitari del gruppo Wagner, legati al Cremlino.

Insomma, i russi tentano di muoversi da occidente a oriente nel tentativo è di espandere la loro influenza dall’oceano Atlantico al Mar Rosso. Oltre al Mali e al Burkina Faso, infatti, i mercenari sono presenti nella Repubblica Centrafricana e nel Sudan. Nel primo il 30 luglio si è tenuto un referendum farsa per consentire al presidente Faustin-Archange Touadera di ricandidarsi per un terzo mandato, esteso da cinque a sette anni e senza limite sul numero di mandati. In pratica si ricostruisce l’impero del famigerato Jean-Bedel Bokassa.

Idris Deby a destra in visita a Mohamed Bazoum (sorridente) agli arresti doppio colpo di Stato (foto rilasciata dal presidenza della repubblica del Ciad)

Il presidente Touadera è sostenuto militarmente dai Wagner che un paio di settimane fa, per “garantire l’odine pubblico”, hanno rafforzato il loro contingente inviando altri mercenari armati fino ai denti.

In Sudan invece si combatte una feroce guerra civile che vede il capo dell’esercito e presidente della giunta militare, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, scontrarsi con il leader delle forze paramilitari del Rapid Support Forces (gli ex tagliagole janjaweed), Mohamed Hamdan Dagalo, meglio conosciuto con il soprannome di Hametti, anche lui appoggiato dal gruppo Wagner e dai suoi miliziani.

I russi vogliono sostituirsi agli occidentali, francesi e americani soprattutto, nello sfruttamento delle risorse naturali africane e occorre riconoscere che stanno realizzando la loro politica di penetrazione profonda.

Con le dovute differenze, sembra di essere tornati al 1898, ai tempi dell'”incidente di Fashoda” quando i francesi che volevano unificare le loro colonie dall’Atlantico al Mar Rosso (erano già presenti in Senegal e a Gibuti, allora chiamata Costa Francese dei Somali), cioè da ovest a est, rischiarono uno scontro epocale con gli inglesi, che invece volevano connettere i loro possedimenti dal Cairo a Città del Capo, cioè da nord a sud.

Il tutto allora fu risolto dalla diplomazia con un accordo amichevole – ritenuto necessario anche per bloccare in Europa le mire espansionistiche tedesche – fra Francia e Inghilterra con un’Entente cordiale  (cioè intesa cordiale). Stipulato a Londra l’8 aprile 1904 i due Paesi riconobbero reciprocamente le sfere d’influenza coloniale. Il trattato definì principalmente l’influenza francese sul Marocco e quella inglese sull’Egitto e segnò la fine di secoli di contrasti e conflitti tra le due potenze coloniali.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

Ultimato dell’ECOWAS ai golpisti del Niger: “Se non reintegrate Bazoum interveniamo militarmente”

Niger dopo il golpe resta l’incognita del ruolo della Russia

Il golpe in Niger e le missioni militari “all inclusive”

Manifestanti con bandiere russe e poster inneggianti a Putin attaccano l’ambasciata francese a Niamey

Ultimato dell’ECOWAS ai golpisti del Niger: “Se non reintegrate Bazoum interveniamo militarmente”

0

Speciale per Africa Express
Massimo A. Alberizzi
31 luglio 2023

Fiato sospeso in Niger e tutti gli occhi puntati sull’aeroporto di Niamey, la capitale, in attesa di vedere se sbarcano truppe dell’ECOWAS, la comunità economica dei Paesi dell’Africa occidentale, in appoggio al presidente defenestrato, Mohammed Bazoum, da riportare al potere o se arrivano i mercenari russi della Wagner a sostenere i golpisti del generale Abdourahmane (detto Omar) Tchiani. Potrebbero esserci sorprese durante la notte.

Il vertice d’emergenza dei Paesi dell’ECOWAS si è concluso ieri con una pesante risoluzione che impone sanzioni severe. La cancellazione di finanziamenti e aiuti, la sospensione di tutte le transazioni commerciali e finanziarie tra gli Stati membri dell’ECOWAS e il Niger, il congelamento dei beni nelle banche centrali regionali. Ma soprattutto prevede un ultimatum (liberate e reintegrate entro una settimana Bazoum e restaurate l’ordine costituzionale) e l’imposizione di una no-fly zone su tutto il Paese.

Il presidente Mohamed Bazoum, democraticamente eletto nel 2021, rimane agli arresti domiciliari e non si è ancora dimesso. Le dimissioni, comunque prevede la risoluzione ECOWAS, non saranno accettate.

“Nel caso in cui le richieste dell’autorità non vengano soddisfatte entro una settimana, l’ECOWAS prenderà tutte le misure necessarie per ripristinare l’ordine costituzionale nella Repubblica del Niger. Tali misure possono includere l’uso della forza”, si legge nella dichiarazione.

Nel Paese comunque regna una calma ricca di tensione dopo l’assalto di domenica all’ambasciata francese. In quelle stesse ore i golpisti hanno arrestato quattro funzionari governativi, tra cui Mahamane Sani Mahamadou, ministro del Petrolio e figlio dell’ex presidente Mahamadou Issoufou; Kassoum Moctar, ministro dell’Istruzione; Ousseini Hadizatou Yacouba, ministro delle Miniere. In manette è finito anche Foumakoye Gado, presidente del partito al potere, il Nigerien Party for Democracy and Socialism (PNDS-Tarayya), hanno enunciato alcuni militanti dell’organizzazione aggiungendo che “gli arresti confermano la natura ‘repressiva e dittatoriale’ dei leader del colpo di Stato” e invitando i cittadini a unirsi per proteggere la democrazia.

La sera stessa, il portavoce della giunta, il colonnello maggiore Amadou Abdramane, ha dichiarato alla televisione di Stato che tutte le auto a disposizione dei funzionari governativi devono essere restituite entro oggi a mezzogiorno e ha vietato l’uso dei social media per diffondere messaggi contro la sicurezza dello Stato.

Inoltre, ha attaccato la Francia sostenendo che sta organizzando scioperi e manifestazioni per chiedere di liberare Bazoum.

I manifestanti nigerini che hanno assalito l’ambasciata francese domenica  sono apertamente  irritati con l’ex potenza coloniale accusata di essere la causa dell’estrema povertà in cui giace il Paese. La Russia è vista da alcuni come una possibile alternativa. Non è chiaro se Mosca è stata convolta nella dimostrazione anche se durante la protesta sono state innalzate bandiere russe, e cartelli che recitavano “Abbasso la Francia” e sostenevano il presidente Vladimir Putin.

Il presidente ciadiano Mahamat Idriss Deby (il Ciad non fa parte dell’ECOWAS) è arrivato in Niger per cercare di mediare tra i leader golpisti e il governo deposto.

Dopo aver pubblicato quelle che sembrano essere le prime immagini di Bazoum dopo la presa di potere, mostrandolo sorridente e apparentemente illeso, Deby ha dichiarato che sta cercando di “trovare una soluzione pacifica”, senza scendere in ulteriori dettagli.

Secondo alcune fonti raccolte a Niamey dagli stringer di Africa ExPress la banca centrale regionale ha già cancellato la prevista emissione di 30 miliardi di CFA (51 milioni di dollari) di obbligazioni del Niger, prevista per oggi.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

Manifestanti con bandiere russe e poster inneggianti a Putin attaccano l’ambasciata francese a Niamey

Tentativo di golpe in Niger: situazione confusa, si rivolta la guardia presidenziale ma l’esercito rimane lealista

Niger dopo il golpe resta l’incognita del ruolo della Russia

Il golpe in Niger e le missioni militari “all inclusive”

 

Manifestanti con bandiere russe e poster inneggianti a Putin attaccano l’ambasciata francese a Niamey

Associeted Press
Sam Mednick 
Niamey, 30 luglio 2023

Migliaia di sostenitori della giunta che ha preso il controllo del Niger con un colpo di Stato all’inizio della settimana hanno marciato domenica per le strade della capitale, Niamey, sventolando bandiere russe, inneggiando al presidente Putin e denunciando con forza la Francia, ex potenza coloniale.

I manifestanti hanno attraversato la città fino all’ambasciata francese, dove una porta è stata data alle fiamme, secondo quanto riferito da una persona che si trovava all’ambasciata al momento dell’accaduto e dai video visti dall’AP. Il fumo nero si è levato da tutta la città. l’esercito nigeriano ha sciolto la folla dei manifestanti.

Incertezza su che direzione prenderà il golpe

Il gruppo mercenario russo Wagner, che opera già nel vicino Mali, e il presidente russo Vladimir Putin vorrebbero espandere l’influenza della Russianella regione. Tuttavia, non è ancora chiaro se i leader della nuova giunta si avvicineranno a Mosca o resteranno fedeli ai partner occidentali.

Domenica, in occasione di una riunione d’emergenza ad Abjua, in Nigeria, il blocco dell’Africa occidentale ha dichiarato di voler sospendere le relazioni con il Niger e ha autorizzato l’uso della forza se il presidente non verrà reintegrato entro una settimana.

Uso della forza

“Nel caso in cui le richieste delle autorità non vengano soddisfatte entro una settimana, prendere tutte le misure necessarie per ripristinare l’ordine costituzionale nella Repubblica del Niger. Tali misure possono includere l’uso della forza”. A tal fine, i capi di stato maggiore della difesa dell’ECOWAS devono riunirsi immediatamente”, ha dichiarato Omar Alieu Touray, presidente della commissione ECOWAS, dopo la riunione.

A pochi giorni dal colpo di Stato, cresce l’incertezza sul futuro del Niger, con alcuni che chiedono le ragioni della giunta per prendere il controllo.

Il presidente Mohamed Bazoum è stato eletto democraticamente due anni fa, nel primo trasferimento pacifico di potere in Niger dall’indipendenza dalla Francia nel 1960. Gli ammutinati hanno detto di averlo rovesciato perché non era in grado di proteggere la nazione dalla crescente violenza jihadista.

Ma alcuni analisti e nigeriani affermano che questo è solo un pretesto per una presa di potere che riguarda più le lotte di potere interne che la sicurezza della nazione.

Perché?

“Tutti si chiedono: perché questo colpo di Stato? Perché nessuno se lo aspettava. Non potevamo aspettarci un colpo di Stato in Niger perché non c’è una situazione sociale, politica o di sicurezza che giustifichi la presa del potere da parte dei militari”, ha dichiarato all’Associated Press il professor Amad Hassane Boubacar, docente all’Università di Niamey.

 

Ha detto che Bazoum voleva sostituire il capo della guardia presidenziale, il generale Abdourahmane Tchiani, che ora è al comando del Paese. Tchiani, che si fa chiamare anche Omar, era fedele al predecessore di Bazoum e questo ha scatenato i problemi, ha detto Boubacar. L’AP non può verificare in modo indipendente la sua valutazione.

Sebbene la situazione della sicurezza in Niger sia disastrosa, non è così grave come quella dei vicini Burkina Faso e Mali, che hanno combattuto un’insurrezione islamica legata ad Al-Qaeda e al gruppo dello Stato Islamico. L’anno scorso, il Niger è stato l’unico dei tre a registrare un calo della violenza, secondo l’Armed Conflict Location & Event Data Project.

Partner affidabile

Il Niger è stato visto come l’ultimo partner affidabile per l’Occidente negli sforzi per combattere i jihadisti nella regione africana del Sahel, dove la Russia e i Paesi occidentali si sono contesi l’influenza. La Francia ha 1.500 soldati nel Paese che conducono operazioni congiunte con i nigerini. Gli Stati Uniti e altri Paesi europei (tra cui l’Italia, ndr) hanno contribuito all’addestramento delle truppe del Paese.

Gli organismi regionali, tra cui il blocco economico dell’Africa occidentale ECOWAS, hanno denunciato il colpo di Stato. Alcuni partecipanti alla manifestazione di domenica li hanno avvertiti di stare lontani. “Vorrei anche dire all’Unione Europea, all’Unione Africana e all’ECOWAS: per favore, restate fuori dai nostri affari”, ha detto Oumar Barou Moussa, presente alla manifestazione.

“È ora di prendere in mano la nostra vita, di lavorare per noi stessi. È tempo di parlare della nostra libertà e dei nostri diritti. Dobbiamo stare insieme, lavorare insieme, avere la nostra vera indipendenza”, ha detto.

Secondo gli esperti di conflitti, tra tutti i Paesi della regione, il Niger è quello che rischia di più se si allontana dall’Occidente, visti i milioni di dollari di assistenza militare che la comunità internazionale ha versato.

Blinken e Macron

Sabato, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha dichiarato che il mantenimento degli accordi economici e di sicurezza che il Niger ha con gli Stati Uniti dipende dal rilascio di Bazoum – che rimane agli arresti domiciliari – e “dall’immediato ripristino dell’ordine democratico in Niger”.

Domenica il presidente francese Emmanuel Macron ha dichiarato che gli attacchi alla Francia e ai suoi interessi non saranno tollerati. Chiunque abbia attaccato cittadini francesi, l’esercito, i diplomatici e le autorità francesi avrà una risposta immediata, ha dichiarato.

Macron ha dichiarato di aver parlato ore prima con Bazoum e con il suo predecessore alla presidenza nigerina, Mahamadou Issoufou, che hanno entrambi condannato il colpo di Stato e fatto appello alla calma.

Aiuti sospesi

L’attacco segue la decisione della Francia di sabato di sospendere tutti gli aiuti finanziari e allo sviluppo per il Niger.

L’Unione Africana ha lanciato un ultimatum di 15 giorni alla giunta nigerina per reintegrare il governo democraticamente eletto del Paese. L’ECOWAS terrà un vertice di emergenza domenica ad Abuja, in Nigeria.

Il blocco dell’ECOWAS, composto da 15 nazioni, ha cercato senza successo di ripristinare le democrazie nelle nazioni in cui i militari hanno preso il potere negli ultimi anni. Quattro nazioni sono gestite da regimi militari in Africa occidentale e centrale, dove ci sono stati nove colpi di stato riusciti o tentati dal 2020.

Sanzioni economiche

Se l’ECOWAS imporrà sanzioni economiche al Niger, come avviene normalmente durante i colpi di Stato, ciò potrebbe avere un impatto profondo sui nigeriani, che vivono nel terzo Paese più povero del mondo, secondo gli ultimi dati delle Nazioni Unite.

Tuttavia, in un discorso televisivo sabato, il colonnello maggiore Amadou Abdramane, uno dei militari che hanno spodestato Bazoum, ha accusato la riunione ECOWAS di aver elaborato un “piano di aggressione” contro il Niger e ha detto che il Paese si sarebbe difeso da solo.

Gli esperti nigerini dicono che è troppo presto per sapere come andranno le cose.

“Le tensioni con i militari sono ancora in corso. Potrebbe esserci un altro colpo di Stato dopo questo, o un intervento più forte da parte dell’ECOWAS, potenzialmente con la forza militare, anche se è difficile prevedere come ciò possa accadere e quale forma possa assumere”, è il parere di  Tatiana Smirnova, ricercatrice in risoluzione dei conflitti e missioni di pace presso il Centre FrancoPaix. “Molti attori – ha concluso -stanno anche cercando di negoziare, ma l’esito non è chiaro”.

Sam Mednick
__

I giornalisti dell’Associated Press Angela Charlton a Parigi e Chinedu Asadu ad Abuja, Nigeria, hanno contribuito a questo articolo.

Golpisti contro il presidente che vuole modernizzare il Niger: scuole gratis fino a 18 anni alle donne e monogamia

Niger dopo il golpe resta l’incognita del ruolo della Russia

Il golpe in Niger e le missioni militari “all inclusive”

Il golpe in Niger e le missioni militari “all inclusive”

Speciale per Africa ExPress
Francesco Cosimato*
29 luglio 2023

Il recente colpo di Stato in Niger ci costringe a guardare bene cosa succede in Africa, quali sono i rischi generali della presenza in quel continente, in aggiunta, quali sono i rischi particolari dei contingenti che seminiamo in giro per il mondo.

Mentre fior di analisti si lanciano in articolate ed acute analisi del significato degli avvenimenti di questi giorni in Niger, cioè la deposizione del presidente da parte di una giunta militare, ritengo utile riflettere anche sulle caratteristiche di questo interventismo dai contorni non chiarissimi.

L’operazione italiana rientra in una più ampia missione di parternariato militare nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) in Niger (EUMPM Niger, European Union Military Partnership Mission) per sostenere il Paese nella lotta contro i gruppi terroristici armati.

In particolare, “l’Agenzia Industrie Difesa (AID), in coordinamento con lo Stato Maggiore della Difesa, si occuperà di costruire le infrastrutture e le infrastrutture di un battaglione trasmissioni delle Forze Armate per rafforzare le loro capacità logistiche e di una base operativa avanzata per sostenere le operazioni nella regione di Tillabéry. Unitamente a tali attività verranno forniti equipaggiamenti non letali e strumenti operativi per facilitare la missione sul territorio”.

Il questa foto in quella successiva dimostrazioni a Niamey subito dopo il colpo di stato

Il virgolettato è tratto dal sito di AID. Inoltre, leggiamo sempre sullo stesso sito che “le attività, finanziate dalla Commissione Europea, rafforzano la collaborazione con il Niger nel settore della Difesa e ribadiscono l’impegno di tutta l’Unione Europea per il raggiungimento di una maggiore stabilità e della pace in Niger e in tutto il Sahel”.

In questo caso, parliamo di una missione che, a fronte di obiettivi molto ambiziosi, non ha compiti di creazione diretta della sicurezza di quel Paese attraverso l’imposizione di un accordo internazionale, ma solo di assistenza alle forze armate locali.

Come è ormai noto, in Africa operano con spregiudicatezza numerosi “operatori”, cioè milizie mercenarie, che hanno lo scopo di attirare i Paesi d’interesse nell’orbita politica, economica e militare di potenze appartenenti all’area dei cosiddetti BRICS, che non sono limitati solo alla Russia ed alla Cina.

Mentre quando un privato va in vacanza può scegliere di spendere di più per avere un servizio migliore, noto come “all inclusive”, cioè “tutto compreso”, quando uno Stato lancia una missione militare il costo è sempre “all inclusive”, nel senso che non si può scegliere di costruire solo una base militare, ma si deve sapere che si potrebbe rimanere coinvolti in attività “cinetiche”, cioè a dire che si potrebbe finire coinvolti in combattimenti.

Se davvero l’Unione Europea ha l’obiettivo di “migliorare la capacità delle forze armate del Niger di contenere la minaccia terroristica, proteggere la popolazione nel Paese e assicurare un ambiente sicuro e protetto, nel rispetto del diritto in materia di diritti umani e del diritto internazionale umanitario”, come abbiamo letto testualmentennegli scopi della missione, probabilmente si deve immaginare un dispositivo multinazionale molto più massiccio ed articolato che, basato su una solida volontà politica, possa far capire ai malintenzionati che si sta facendo sul serio.

La storia delle missioni di peacekeeping, dai tempi del fallimento di UNPROFOR (1995), ha bocciato senza appello il modello di operazioni militari ONU/UE perché non si basa su una chiara volontà politica e su robuste Forze Armate, con una chiara indicazione della capacità di agire efficacemente nelle fasi più dure della missione e di usare convenientemente il fuoco disponibile.

Qualsiasi missione di peacekeeping può evolvere verso uno scenario, pur inaspettato, di confronto diretto. I governi italiani, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, hanno disperso le scarse forze a disposizione in una miriade di operazioni minori e frammentate che non sembrano in grado di essere corrispondenti agli interessi strategici del Paese in cui operano.

Bisogna anche ammettere che la legge che dimensiona lo strumento militare, cosiddetta legge “Di Paola”, è relativa ad uno scenario che la guerra convenzionale in corso in Europa ha ormai relegato nella Storia delle Forze Armate.

Auspico che si prenda atto della gravità della situazione, a tutti i livelli, per ripensare la strategia di Difesa e Sicurezza del nostro Paese.

Francesco Cosimato*
f.cosimato@gmail.com
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

*Generale in congedo con una quasi quarantennale esperienza militare, quattro missioni all’estero e molte attività internazionali. Già Public Affairs Officer in seno alla NATO. Presiede un Centro Studi strategici (www.centrostudisinergie.eu)

Golpisti contro il presidente che vuole modernizzare il Niger: scuole gratis fino a 18 anni alle donne e monogamia

Niger dopo il golpe resta l’incognita del ruolo della Russia

Niger dopo il golpe resta l’incognita del ruolo della Russia

Africa ExPress
Niamey, 28 luglio 2023

Il generale Abdourahamane Tchiani ha preso la parola oggi a mezzogiorno (ora locale) alla TV di Stato del Niger, autoproclamandosi presidente del Conseil National pour la Sauvegarde de la Patrie (CNSP) (Consiglio Nazionale per la Salvaguardia della Nazione).

I militari golpisti posano per una “foto ricordo” subito dopo la loro autoproclamazione in televisione

Tchiani ha dichiarato di essere il leader del colpo di Stato per rovesciare Mohamed Bazoum, presidente democraticamente eletto nel 2021. Fino al momento del golpe è stato il capo della guardia presidenziale. Intanto Bazoum è ostaggio dei golpisti con la sua famiglia nel Palazzo presidenziale e va precisato che non ha ancora rassegnato ufficialmente le proprie dimissioni.

“Le azioni del CNSP sono motivate solamente dal desiderio di preservare la nostra amata patria di fronte al continuo deterioramento della situazione della sicurezza. Le autorità spodestate non hanno fatto intravedere una via d’uscita dalla crisi e dalla cattiva governance economica e sociale”, ha specificato Tchiani durante il suo intervento in TV.

Chiesta comprensione ai partner

Attualmente la situazione riguardante la sicurezza è preoccupante, “attacchi mortali e traumatici”, perché il governo Bazoum non è stato in grado di affrontare il grave problema, malgrado l’appoggio e l’apprezzato sostegno dei nostri partner esterni e i sacrifici dei nigerini.

Il generale ha poi criticato la poca collaborazione con il Mali e il Burkina Faso, “eppure – ha precisato – condividiamo l’area di Liptako Gourma (la cosiddetta zona della tre frontiere ndr), dove i terroristi sono particolarmente attivi”.

Infine ha chiesto comprensione e sostegno ai partner tecnici e finanziari. Ma l’Unione Europea, tramite un comunicato dell’Alto commissario dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha fatto sapere che qualsiasi rottura dell’ordine costituzionale avrà conseguenze per la cooperazione tra l’UE e il Niger, compresa l’immediata sospensione di ogni sostegno finanziario.

Aiuti militari europei

Il Niger, un Paese poverissimo ma ricco di uranio e con alcuni campi petroliferi è situato nel Sahel, l’arida regione a sud del Sahara che ha dovuto affrontare una crescente insicurezza a causa del peggioramento degli effetti del cambiamento climatico, dell’instabilità politica e delle insurrezioni armate. Gli Stati Uniti hanno dislocato 1.100 soldati e gestiscono due basi per i droni. La Francia, ex potenza coloniale, ha più di 1.500 solati. Anche l’Italia ha un piccolo contingente di poco meno di 500 uomini.

Tra l’altro è bene notare che la Commissione europea ha incaricato l’Agenzia Industrie Difesa (AID) – ente di diritto pubblico controllato dal ministero della Difesa – come responsabile per l’attuazione delle attività di sostegno della UE alle Forze Armate nigerine.

In un comunicato di AID del 18 luglio scorso, si legge: “L’incarico ottenuto nell’ambito del rapporto fiduciario esistente tra Ministero della Difesa italiano e AID, sarà svolto in collaborazione con la missione dell’Unione Europea in Niger e si inserisce nel quadro dell’ European Peace Facility, strumento volto a consolidare la capacità dell’Unione di prevenire i conflitti, costruire la pace e rafforzare la sicurezza internazionale”.

Quinto colpo di Stato

Il colpo di Stato, il quinto in Niger da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960, è il sesto in Africa occidentale in meno di tre anni, dopo Burkina Faso, Guinea e Mali, e minaccia di mettere a repentaglio gli sforzi regionali per combattere le insurrezioni islamiste di gruppi affiliati ad Al Qaeda e allo Stato Islamico.

Secondo un collaboratore di Bazoum il presidente aveva intenzione di rimuovere il generale Tchiani come capo della guardia presidenziale.

Tatiana Smirnova, ricercatrice del Centre FrancoPaix sulla risoluzione dei conflitti e le missioni di pace, sentita dal Washington Post, sostiene che la situazione della sicurezza in Niger non si è affatto deteriorata e anzi è leggermente migliorata, a differenza della spirale di violenza in Mali e Burkina Faso: “La giustificazione che i militari hanno dato al golpe sul declino della situazione della sicurezza è ridicola. È un pretesto”, ha osservato

Una delle possibili motivazioni del colpo di Stato è che Bazoum voleva sostituire Tchiani nel suo ruolo di guardia presidenziale. Esistono comunque  molte incertezze sulla direzione che intende prendere il governo golpista anche perché occorre capire la consistenza delle voci di tensioni all’interno delle forze armate.

Mohamed Bazoum, presidente del Niger

Alcuni leader militari che sembrano coinvolti nel colpo di Stato hanno lavorato a stretto contatto con gli Stati Uniti per anni. E’ il caso del generale Moussa Salaou Barmou, capo delle forze speciali del Niger, che – secondo una fonte diplomatica occidentale a Niamey – ha un rapporto particolarmente forte con gli USA.

Non è ancora chiaro se il Niger seguirà gli esempi di Mali e Burkina Faso, scivolando verso la Russia, o se manterrà la cooperazione con l’Occidente.

Gli attacchi islamisti di gruppi legati ad al Qaeda e all’ISIS nel  Sahel, cominciati in Mali nel 2012 prima di diffondersi nei Paesi vicini, hanno costretto i governi occidentali, e la Francia in particolare a intervenire in aiuto dei governi della regione.

Parallelamente è cresciuto il sentimento anti-occidentale e soprattutto anti-francese. Ciò ha permesso alla Russia di inserirsi a gamba tesa in un contesto deteriorato e diventato ingestibile. Il Mali ha vissuto il suo ultimo colpo di Stato nel 2021 e ora è guidato da una giunta militare che ha isolato il Paese dall’Occidente e ha chiesto il sostegno al gruppo mercenario russo Wagner. I soldati governativi e i contractor di Wagner sono stati accusati di atrocità contro i civili.

Il Burkina Faso, che ha conosciuto l’ultimo colpo di Stato l’anno scorso, ha cercato aiuto ai Wagner per combattere l’insurrezione. Il Paese è ora l’epicentro della violenza e i funzionari stimano che il 40-60 per cento del suo territorio sia andato perduto.

Il Niger è stato fino ad ora un importante alleato americano, francese, dell’UE nella regione; i prossimi giorni saranno essenziali per capire che direzione intende prendere.

Africa ExPress
Twitter: @africexp
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

ALTRI ARTICOLI LI TROVATE QUI