Speciale per Africa ExPress Sandro Pintus 11 novembre 2024
Venancio Mondlane, candidato alla presidenza del Partito Ottimista per lo Sviluppo del Mozambico (PODEMOS), ha raccontato di essere sfuggito a un attentato in Sudafrica.
L’attentato mancato
Il candidato presidente ha denunciato l’agguato in un video su Facebook postato lo scorso 4 novembre. Il contenuto del filmato è stato riportato dai media internazionali ma Africa ExPress non ne ha trovato traccia sulla pagina Fb di Mondlane.
Secondo quando scritto dalla BBC, Mondlane è dovuto scappare con la famiglia dal retro dalla sua abitazione a Sandton, ricco quartiere di Johannesburg. Ha raccontato che alcuni assassini si erano recati a casa sua per cercare di ucciderlo. Il candidato presidente, dopo essersi rifugiato in un salone di parrucchiere, è riuscito a trovare un luogo per sfuggire ai killer. “Ero con mia moglie e mia figlia e correvo da un posto all’altro”, scrive la BBC.
La settimana di sciopero indetta da Venancio Mondlane dal 1° al 7 novembre, dopo l’omicidio di Dias e Guambe, ha sicuramente avuto successo. Le manifestazioni, con le parole d’ordine “Povo no poder” e “O Pais è nosso”, ci sono state in tutto il Paese e hanno portato il Mozambico sotto riflettori di livello internazionale.
La polizia ha impiegato una forza eccessiva contro le manifestazioni pacifiche di protesta per i brogli elettorali, sparando lacrimogeni e proiettili veri ad altezza d’uomo. I manifestanti hanno reagito con pietre e incendiando pneumatici e auto per fare barricate.
Subiu para 34 o número de vítimas mortais em resultado da violência policial durante as manifestações populares em reivindicação da justiça e verdade eleitoral. pic.twitter.com/j1RLj5HV7v
— CDD – Centro para Democracia e Direitos Humanos (@CDD_Moz) November 7, 2024
La reazione della polizia è stata violentissima. Secondo il Centro per la democrazia e diritti umani (CDD) gli attacchi delle forze dell’ordine hanno causato 34 morti. I feriti sono decine e centinaia gli arresti.
“La polizia impedisce il diritto di manifestare e utilizza mezzi che dovrebbero essere per proteggere il popolo. Ma li usa per ammazzare lo stesso popolo che ha giurato di proteggere”, si legge sul Bollettino del CDD -.
La società civile in piazza
Centinaia di medici sono scesi in piazza. Sono loro che hanno visto i morti e curato i feriti nelle manifestazioni contro i brogli elettorali. La parola d’ordine era “Basta morti per le pallottole”.
Le femministe e artiste mozambicane hanno invece scritto un decalogo intitolato “Lascia passare il mio popolo”. Chiedono un’indagine indipendente sulle elezioni; una riforma elettorale; protezione delle libertà civili; responsabilità per gli attacchi alle manifestazioni e ai giornalisti; dialogo e riconciliazione.
Anche l’Associazione degli scrittori mozambicani (AEMO) vuole il dialogo tra le parti. Chiede un incontro urgente tra Venâncio Mondlane, e il candidato alla presidenza del FRELIMO, Daniel Chapo, per trovare una soluzione e porre fine ai conflitti nel Paese. “Mondlane e Chapo, si incontrino per porre fine all’attuale clima di instabilità e violenza, per evitare ulteriori perdite di vite umane e distruzione di infrastrutture. Si facciano concessioni reciproche senza essere guidati da arroganza o posizioni radicali”.
Il “messia” Mondlane
Il candidato alla presidenza di PODEMOS si presenta sui social anche come un religioso ispirato da poteri celesti. “Io so che Dio ha messo le sue ali sul Mozambico. Sta preparando una grande luce affinché il Mozambico possa vibrare e brillare per essere una grande Nazione nel futuro”. Tra due bandiere nazionali Mondlane, con gli occhi chiusi e le mani giunte, inizia i suoi appelli al Popolo (au Povo) sui social.
Il settimo giorno
Per l’ultimo giorno di sciopero generale, Venanzio Mondlane ha chiesto al popolo mozambicano di convogliare pacificamente nel centro di Maputo. Lì si trova Ponta Vermelha, sede della presidenza della Repubblica. Nell’ultimo appello ha invitato i mozambicani a rimanere in piazza finché non sarà ristabilito il “diritto del popolo” a governare per aver vinto le elezioni. E cita Samora Machel, primo presidente del Mozambico: “Povo no poder” (Potere al popolo).
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 e ti richiameremo. Specifica se vuoi essere iscritto alla Mailing List di Africa Express per ricevere gratuitamente via whatsapp le news del nostro quotidiano online.
Africa Express viene diffuso in tempo reale sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R
ai quali ci si può abbonare gratuitamente.
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau
10 novembre 2024
“La Libia sta arrestando e deportando i lavoratori nigeriani illegali. E li costringe a pagare 500 dollari. E’ una ritorsione per la multa di 50 mila dollari data alla Federazione calcistica”.
Poco calcio, tanti calci in faccia fra Libia e Nigeria. I tempi supplementari della partita di pallone mai disputata fra la nazionale di Tripoli (Cavalieri del Mediterraneo) e quella di Abuja (Super Aquile) sono diventati uno spinoso caso politico, tra allarmi e smentite. E qualche velenosa fake news.
La denuncia di arresti e deportazione di massa, oltre che di multe ai danni dei migranti, è stata lanciata alla fine di ottobre da membri della comunità nigeriana in quel di Tripoli.
Verdetto contestato
Il tutto sarebbe una conseguenza del verdetto emesso dalla Confederazione calcistica africana (CAF) il 26 ottobre per il trattamento poco “sportivo” riservato alle Super Eagles. I giocatori avrebbero dovuto sfidare, a Benghazi, i Cavalieri del Mediterraneo il 15 ottobre nella partita di ritorno per le qualificazioni alla Coppa d’Africa, che si disputerà nel 2025 in Marocco.
Dirottati e trattenuti
La nazionale nigeriana è stata dirottata e trattenuta per oltre 12 ore nell’aeroporto lontano e secondario di Al-Abraq, nella Libia orientale, senza viveri né possibilità di comunicazione. Per protesta, le Super Eagles si sono rifiutate di giocare il match e sono… volate verso casa.
La CAF in seguito alla denuncia della Federazione nigeriana ha dato a quest’ultima la partita vinta per 3-0 e ha inflitto alla Federazione libica una ammenda di 50 mila dollari.
Malcelata soddisfazione
La sentenza della commissione disciplinare del massimo organismo calcistico africano, presieduta dal senegalese Ousmane Kane, ha provocato malcelata soddisfazione in Nigeria, ma indignazione in Libia.
A cui sono aggiunte le voci allarmistiche lanciate da un blog molto seguito, il Libya News Today 1 che riferiva come diversi canali tv spingessero il governo ad arrestare e cacciare lavoratori nigeriani senza documenti.
Vendetta
Il Punch, il quotidiano più diffuso del Paese che si affaccia sul golfo di Guinea, cita un nigeriano, Adenaike Emmanuel, residente a Tripoli, secondo il quale in diverse zone dello stato nordafricano e nella stessa Tripoli si stavano verificando arresti. E ha aggiunto: “I libici non nascondono che in questo modo si vogliono vendicare”.
Il presidente della Comunità Nigeriana in Libia, Peter Osagie Omoregbe, in un video condiviso da blog di cittadini nigeriani, ha confermato che gli arresti sono avvenuti e che ha inviato una lettera ufficiale al Libyan Immigration Office.
“È una situazione preoccupante – ha affermato – poiché prendono di mira persone innocenti indipendentemente dal fatto che abbiano passaporti o carte di residenza. Questo comportamento è senza precedenti. Ora invece media, giornalisti e bloggers locali hanno cominciato a dire che deve essere la Nigeria a pagare la multa. Molti di noi sono spaventati, ma anche la nostra ambasciata sembra avere le mani legate”.
Rapporti differenti
E pensare che lo scorso anno i rapporti fra Libia e Nigeria apparivano ben differenti. Il I agosto 2023, proprio in occasione dell’insediamento di Peter Osagie Omoregbe quale neo eletto presidente della comunità nigeriana, l’ambasciatore Kabiru Musa aveva espresso il suo sostegno ai suoi connazionali e tutti si erano detti impegnati a promuovere gli interessi dei nigeriani in Libia e a costruire una comunità forte e unita.
Qualche giorno dopo la lettera di Omorgebe, un altro residente nigeriano, Omo Oba Legba, ha riferito che la situazione era peggiorata.
In un video su Facebook ha postato :”Sono stato informato da un amico poliziotto di non uscire neanche a far la spesa, perché sarà arrestato chiunque sia nigeriano, indipendentemente dal fatto che possieda passaporti libici. Questa situazione è un allarmante campanello d’allarme per il nostro popolo affinché prenda coscienza della crisi in corso. Le Super Eagles se ne sono tornate a casa, hanno intascato i soldi, comunque, e i loro problemi involontariamente sono caduti su di noi”.
“Non c’entro niente”
In un video pubblicato da Libya INF. TV un altro immigrato ha supplicato la polizia a cessare gli arresti sottolineando: “Il calcio non c’entra niente con noi, lasciateci fuori”.
Perfino il capo del National Institution for Human Rights in Libia, (NIHRL), Ahmed Hamza, si è espresso con fermezza. “Mettiamo in guardia contro qualsiasi forma di ritorsione contro i lavoratori stranieri e migranti in Libia, in particolare i lavoratori nigeriani, da parte delle forze di sicurezza, dei gruppi armati, o dei cittadini”, ha dichiarato.
E ha denunciato: “La diffusione dell’incitamento all’ostilità nei confronti degli stranieri, dipingendoli come residenti illegali o irregolari. La gestione dell’ingresso, dell’uscita e del soggiorno dei lavoratori stranieri (che secondo Hamza sarebbero circa 200 mila, ndr) è responsabilità del Ministero del Lavoro e della Riabilitazione, dell’Agenzia anti-immigrazione illegale, del Dipartimento dei passaporti e degli affari esteri e le azioni illegali potrebbero portare alla giustizia nazionale e persino internazionale”.
“Il ministero degli Interni libico, sotto il governo di unità nazionale – ha concluso – fermi queste pericolose campagne. Tutti i residenti all’interno dei confini della Libia, indipendentemente dal loro status giuridico, devono essere protetti”.
Tema caldo
In Nigeria, d’altra parte, il tema era caldo. Il canale televisivo TVC News Nigeria ha organizzato un programma con l’intervento degli ascoltatori che hanno invitato il governo e la cosiddetta Commissione della Diaspora a darsi una mossa.
Curiosamente, il personaggio più importante della trasmissione è stato Jake Epelle, 63 anni, esperto di Politiche di sviluppo e di patrocinio, ma anche figura di riferimento degli africani albini.
Jake, infatti, vittima nell’infanzia e giovinezza, di umilianti discriminazioni per la sua condizione genetica, è giustamente famoso per aver creato la Albino Foundation, impegnata a combattere i pregiudizi contro chi soffre della rara malattia dell’Albinismo, molto più diffusa in Africa, rispetto al’Europa.
Situazione drammatica
La situazione sembrava farsi drammatica, tanto più che negli stessi giorni si era diffusa la notizia che 166 cittadini nigeriani erano stati rimpatriati. Un fatto che non aveva nulla a che vedere con la disputa legata al calcio.
Si trattava, infatti, di un ritorno volontario a casa di disperati o di persone pentite e bisognose di aiuto, avvenuto con il supporto delle Nazioni Unite e che si verifica frequentemente, senza problemi.
All’improvviso, però, è tornato il sereno. Nella prima settimana di questo mese il ministero degli Affari Esteri di Abuja si è fatto vivo con una dichiarazione ufficiale del suo portavoce, Eche Abu-Obe.
“I nigeriani in Libia sono al sicuro e svolgono le loro attività quotidiane senza interferenze e privi di qualsiasi forma di molestia da parte delle autorità libiche – si legge nel comunicato -. Il ministero degli Affari Esteri desidera ribadire che il benessere dei cittadini nigeriani in qualsiasi parte del mondo è una priorità assoluta della Repubblica Federale della Nigeria e continuerà a impegnarsi per salvaguardarlo in ogni momento. Il contrario di quanto pubblicato il 3 novembre da Punch“.
Pescare nel torbido
Tutto a posto, dunque. Tanto rumore per nulla? Quando il caso sembrava chiuso, sgonfiatosi come un pallone bucato, ecco che qualcuno a pensato bene di pescare nel torbido. Venerdì 8 novembre è comparsa, infatti, una notizia su Facebook secondo cui il CAF 1) avrebbe impedito alla Libia di ospitare incontri di calcio in casa, 2) avrebbe disposto, come punizione di giocare la partita di ritorno in Nigeria e 3) avrebbe multato la Federazione libica gioco calcio di ben 100 mila dollari, non 50 mila!
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero
+39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Africa Express viene diffuso in tempo reale
sulla piattaforma Telegram al canale https://t.me/africaexpress
e sul canale Whatsapp https://whatsapp.com/channel/0029VagSMO8Id7nLfglkas1R ai quali ci si può abbonare gratuitamente.
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 9 novembre 2024
Uno scandalo politico-sessuale sta travolgendo la Guinea Equatoriale. Nei computer e cellulari Baltasar Ebang Engonga, sono stati trovati oltre 400 video porno durante una perquisizione delle autorità giudiziarie nell’ambito di una indagine per presunta frode fiscale.
Ebang Engona è conosciuto in tutto il Paese con il nome di “Bello” e fino a pochi giorni fa era il direttore generale dell’Agenzia Nazionale di Investigazione Finanziaria della Guinea Equatoriale, l’organismo incaricato di combattere la criminalità finanziaria e la corruzione. Ora è al centro di questa vicenda che sta facendo tremare il Paese e non solo.
In apparenza uomo normale
Bello, sposato, padre di diversi figli e pronipote del capo dello Stato, è stato immediatamente defenestrato con decreto presidenziale e ora si trova in detenzione preventiva a Black Beach, la terribile prigione di Malabo, capitale del Paese.
Secondo il procuratore generale, Anatolio Nzang Nguema, potrebbe essere anche perseguito per reato contro la salute pubblica, qualora gli esami medici dovessero rilevare che il protagonista del sexgate fosse infetto da una malattia a trasmissione sessuale.
Video messi in rete
Negli ultimi giorni c’è stata una fuga del materiale recuperato e i social network e i siti web per adulti sono stati inondati da decine di video hard provenienti dalla Guinea Equatoriale. Sono stati pubblicati filmini intimi che mostrano il capo dell’autorità fiscale del Paese in posizioni compromettenti con diverse donne, mogli di ministri, alti funzionari e dignitari, nei suoi uffici del ministero, nel bagno e in camere d’albergo.
Intanto i filmati porno, appena messi in rete sono diventati virali nel giro di poche ore, suscitando commenti a non finire e l’hashtag #BaltasarEbangEngonga è salito in cima alla lista degli argomenti più discussi.
Il 54enne funzionario, al centro dell’inchiesta, oltre a essere un congiunto della famiglia presidenziale, è figlio di un politico molto in vista: Baltasar Engonga Edjo’o, attuale presidente della Commissione della Comunità Economica e Monetaria dell’Africa centrale (CEMAC) nonché un ex ministro del regime. Per alcuni sarebbe potuto essere un possibile successore dell’attuale presidente. Ma lo scandalo sta favorendo i suoi rivali, in primis il figlio dell’attuale dittatore.
Internet rallentato
Teodoro Nguema Obiang, vicepresidente della Guinea Equatoriale e figlio del capo dello Stato ha subito chiesto al ministero delle Telecomunicazioni di applicare le misure necessarie per evitare la diffusione di altri video.
Il viceministro ha poi sottolineato che saranno sospesi tutti i dipendenti pubblici che hanno avuto rapporti sessuali negli uffici dei loro dipartimenti. Una violazione del codice di condotta e della legge sull’etica pubblica non può essere tollerata.
Mandato d’arresto internazionale
Va ricordato che il figlio di Obiang, noto come Teodorin, è ben conosciuto come playboy e per il suo stile di vita lussuoso. Inoltre è stato tra le persone ricercate dall’Interpol, ma la richiesta del mandato di arresto internazionale è stato poi cancellata. Il padre ha fatto risultare le proprietà sequestrate in Francia come beni della Guinea Equatoriale e non del figlio. Nonostante le accuse e i processi in contumacia in USA e Francia e il sequestro dei suoi beni, continua a esercitare le funzioni di vice-presidente del suo Paese e a girare indisturbato il mondo.
Teodorin probabile successore
E’ poco probabile che l’anziano Obiang si ripresenti alle prossime presidenziali. Ora il dittatore sta spianando la strada al figlio Teodorin, attualmente suo vice. Già nel 2016 il capo dello Stato aveva promesso che non si sarebbe più ricandidato. Allora aveva spiegato ai giornalisti: “La Guinea Equatoriale non è una monarchia, ma non posso farci niente se mio figlio ha talento”.
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Dalla Nostra Corrispondente Elena Gazzano
Città del Capo, 8 Novembre 2024
Il 28 ottobre 2024, il Sudafrica ha depositato le prove presso la Corte Internazionale di Giustizia (ICJ), che inchioderebbero Israele per aver violato la Convenzione delle Nazioni Unite sul Genocidio nella Striscia di Gaza.
Questo atto legale, depositato all’Aja dal governo di Pretoria rappresenta una delle contestazioni più significative riguardanti il conflitto israelo-palestinese.
Diritto internazionale
Il Sudafrica ritiene che le azioni militari di Israele costituiscano genocidio secondo il diritto internazionale. Accuse che Israele nega categoricamente.
Nel suo dossier, il governo di Pretoria ha presentato 5.000 pagine di documentazione. Le accuse includono il blocco degli aiuti umanitari, l’uso della fame come strategia militare e lo sfollamento forzato dei palestinesi a causa degli attacchi.
Sebbene i dettagli siano riservati per rispettare i protocolli dell’ICJ, si sostiene che l’accusa parla di un preciso intento di annientare la popolazione di Gaza.
Catastrofe umanitaria
Il rapporto arriva dopo oltre un anno di guerra, iniziata il 7 ottobre 2023 dopo l’attacco di Hamas. L’ICJ ha confermato di aver ricevuto il fascicolo, ma non ha fornito ulteriori dettagli. Il memorandum contiene oltre 750 pagine di argomentazioni e più di 4.000 allegati, tra rapporti e testimonianze oculari.
In una dichiarazione a corredo, il governo di Pretoria ha evidenziato l’urgenza di un intervento internazionale per affrontare la “catastrofe umanitaria” a Gaza.
La risposta militare israeliana ha suscitato severe critiche, con il numero di vittime tra i civili in continuo aumento. Secondo il ministero della salute di Gaza, dall’inizio del conflitto sono morti oltre 43.500 palestinesi.
Ilmemorandumrappresenta l’ultimo passo nella battaglia legale contro Israele, iniziata a dicembre 2023. Da allora, l tribunale dell’Aja ha ripetutamente chiesto a Israele di fermare la sua offensiva militare.
Sebbene le decisioni della Corte internazionale di giustizia siano legalmente vincolanti, essa non dispone di strumenti pratici per farle rispettare.
Appello di Ramaphosa
Ramaphosa durante il suo discorso all’Assemblea generale dell’ONU aveva sottolineato: “L’impegno globale per i diritti umani, che ha aiutato a porre fine all’apartheid, deve ora sostenere anche la Palestina.”
Ma la comunità internazionale è divisa sulla questione israelo-palestinese. Alcuni Paesi occidentali stanno sostenendo Israele, mentre molti Stati africani, mediorientali e organizzazioni umanitarie continuano a manifestare forte contrarietà per quanto riguarda questo sanguinoso conflitto.
Manifestazioni di piazza
A Città del Capo e in altre città sudafricane, manifestazioni pubbliche a sostegno dell’azione legala promossa dal governo sono in continuo aumento. I cittadini chiedono che venga posto fine alle violenze a Gaza e in Libano.
Per il Sudafrica e i suoi alleati, l’obiettivo è promuovere una soluzione pacifica attraverso le Nazioni Unite, proteggendo i civili e prevenendo ulteriori perdite.
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
E’ difficile che Africa ExPress pubblichi
qualcosa fuori dal contesto africano o mediorientale.
Ma l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti
è talmente importante (e devastante) che non può essere
ignorata da un quotidiano come il nostro.
E quest’analisi di Claudio Gatti coglie nel segno.
m.a.a.
Claudio Gatti
New York, 7 novembre 2024
Il mondo intero oggi si chiede come Donald Trump possa aver stravinto le presidenziali americane. Sulla carta non sembra aver senso che un sociopatico, pluri-bancarottiere, molestatore sessuale, propagatore di menzogne, personificazione di conflitti d’interesse, negazionista elettorale sia stato scelto per la massima carica elettiva della democrazia più importante al mondo. Invece non c’è da sorprendersi.
La spiegazione principale viene dallo zoccolo duro del suo elettorato che, in buona, sostanza, ha lo stesso profilo di chi ha determinato i vincitori delle ultime elezioni in Austria, Italia, Olanda, Svezia e Ungheria: uomini bianchi con livelli di istruzione e di ceti sociali meno elevati.
Il granchio di Marx
Marx aveva preso un granchio quando aveva previsto che l’educazione democratica del proletariato e le contraddizioni economiche del sistema capitalistico avrebbero inevitabilmente portato al socialismo.
Con le classi più deboli (bianche) che oggi votano Meloni, Salvini, Wilders, Åkesson, Orban e Trump, non solo il socialismo rimane un’utopia irrealizzata ma la democrazia si sta trasformando in una parodia di se stessa.
E se Trump ha vinto è perché Kamala Harris è rimasta orgogliosamente ancorata a uno schema politico forse ormai superato.
I modelli occidentali
La realtà è che in America, come in Europa, la crisi dei modelli industriali occidentali ha aperto un varco politico per chiunque sia pronto a manipolare un elettorato che dal sogno americano, o quello del miracolo economico, è passato all’incubo dell’incertezza.
A questa fortissima ansia si è poi sommata la paura creata da flussi migratori apparentemente incontenibili di popoli diversi nel colore della pelle, nella cultura e nella religione. Tutto ciò, mentre la società subiva una trasformazione epocale.
Dal dominio degli industriali siamo scivolati nel dominio dei finanzieri per finire in quello degli influencer – dall’essere si è passati all’avere e ora all’apparire.
Appagamento politico
É quindi consequenziale che l’appagamento politico non sia più legato a benefici economici o sociali concreti, e che i politici più disinvolti stiano oggi offrendo soluzioni a pulsioni emotive – in primis ansia e paura – che hanno rivitalizzato istinti tribali primordiali.
Istinti ferocemente alimentati da media chiamati social ma che in realtà sono a-social, perché lo spettacolo su cui si reggono produce un enorme agglomerato di persone isolate ma unite attorno ad astrazioni che sostituiscono bisogni reali con voglia di rivincita.
Come nello sport, in politica non si chiedono ormai più cambiamenti strutturali – né palestre né strade, né piscine né scuole –, si chiede soprattutto la vittoria sull’avversario.
Dissoluzione dei partiti
Dalla dissoluzione dei partiti e delle ideologie ne è conseguita la dissoluzione delle idee politiche. Certo, la politica è sempre stata rappresentazione, ma se in passato i suoi protagonisti spesso vendevano un’illusione ideologica, ora offrono un’illusione fine a se stessa.
Nel passaggio da una politica dell’apparizione a una politica dell’apparente, non vince più chi sa vendere un’idea meglio degli altri, ma chi riesce a illudere gli elettori non avendo alcunché da vendere. In un certo senso siamo davanti alla versione contemporanea di ciò che per secoli ha provocato la lusinga religiosa: la rappresentazione non solo viene vissuta come realtà ma la sua forza emotiva prevale su di essa.
La stampa israeliana (in particolare il quotidiano “GLOBI” del 29 ottobre scorso ha riportato con ampio risalto la notizia che dal prossimo anno 2025 l’esercito Israeliano sarà equipaggiato con potenti raggi laser ad alta energia montati su speciali veicoli corazzati.
Il nuovo sistema Iron Beam “Magan” (un sistema di arma unico al mondo) è prodotto dalla società israeliana Rafael in collaborazione con l’americana Lockheed Martin è stato inizialmente pensato e progettato per la difesa antiaerea e antimissile.
Ha un raggio d’azione di circa 10 km (ma nel prossimo futuro sarà esteso ad oltre 20). Da ricordare che il raggio laser viaggia alla stessa velocità della luce, ossia 300.000 km al secondo, oltre 1 miliardo di km all’ora con una potenza di circa 100 kW.
Costo irrisorio
Il costo di ogni singolo colpo è stimato in circa 5 dollari (il costo dell’energia) contro i 100.000 dollari del costo di ogni singolo razzo sparato dal vecchio sistema Iron Dome.
Viene sottolineato che attualmente è in fase di sperimentazione (forse a Gaza?) ed è possibile che diversi di questi dispositivi mobili siano già stati approntati sul territorio di Israele e sul confine con Libano e Giordania in vista dell’imminente attacco iraniano.
Accordi di cooperazione
Come riporta il quotidiano israelianoRafae ha attualmente in essere accordi di cooperazione strategici nel campo delle armi laser per lo sviluppo di nuove versioni del Laser destinato all’esportazione (Israele in questo campo sta facendo massicci investimenti).
Quando diventeranno operativi questi nuovi sistemi d’arma tutti gli altri sistemi bellici equivalenti, paragonati ai Laser Militari israeliani diventeranno armi primitive, oltre a permettere ad Israele di primeggiare su tutti gli scenari bellici a costo praticamente quasi pari a zero aumenterà considerevolmente l’interdipendenza di Israele dalle forniture di armi tradizionali USA…
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Speciale per Africa ExPress Antonio Mazzeo
Novembre 2024
La holding italiana Fincantieri SpA arma e addestrerà le forze navali militari dell’Emiro del Qatar. Il colosso della cantieristica nazionale e BQ Solutions, società qatariota preposta ad assicurare il supporto strategico alle forze militari e di sicurezza del Paese, hanno firmato un Memorandum d’Intesa.
L’obiettivo è sviluppare programmi di istruzione e addestramento, creati sotto la guida italiana, per le Forze Navali del Qatar.
Addestramento
A firmare l’accordo il responsabile vendite della Divisione Navi Militari di Fincantieri, Mauro Manzini, e l’amministratore delegato di BQ Solutions, Abdulrahman Darwish Fakhro, in occasione della 14ª edizione di MILIPOL Qatar, l’esposizione globale delle aziende di intelligence, sicurezza interna e anti-terrorismo, tenutasi a Doha dal 20 al 26 ottobre 2024.
“Abbiamo stabilito un quadro di collaborazione, grazie al quale le due società lavoreranno insieme per potenziare le capacità navali del Qatar attraverso soluzioni di formazione avanzate”, riporta l’ufficio stampa del Gruppo Fincantieri.
Nuova intesa
“La nuova intesa con BQ Solutions sarà mirata a elevare la qualità e l’ampiezza dei programmi di addestramento disponibili per il personale qatariota. Le iniziative comprenderanno formazione tecnica, operativa e linguistica per dotare le forze navali del Qatar di competenze operative, tecniche e logistiche all’avanguardia”.
I primi di marzo 2024Fincantieri SpA aveva firmato un Memorandum d’Intesa quasi analogo con il Comando generale della Marina Militare del Qatar (QENF – Qatar Emiri Naval Forces) con l’obiettivo di “intavolare un dialogo che conduca a nuovi contratti per la fornitura di percorsi di formazione e addestramento all’avanguardia per il personale delle forze navali qatariote”.
La firma dell’accordo tra il direttore generale Navi Militari di Fincantieri, Dario Deste, e il generale Abdulla Hassan Al-Sulaiti (Comandante delle Qatari Emiri Naval Forces) era avvenuta in occasione della Doha International Maritime Defence Exhibition& Conference – DIMDEX 2024, l’expo internazionale dei sistemi bellici navali che si tiene ogni due anni nell’Emirato.
“Il Gruppo e la Marina del Qatar proseguiranno il dialogo su contenuti e modalità affinché Fincantieri possa continuare a erogare e migliorare i moduli italiani all’avanguardia in materia di formazione e addestramento con il supporto delle autorità italiane e degli altri partner nell’ambito della Difesa”, annunciavano i manager italiani.“I moduli si baseranno su un approccio formativo innovativo e sulla costante crescita delle capacità marittime della Marina del Qatar, garantendo al contempo la piena integrazione e interoperabilità con le capacità militari terrestri e aeree del Qatar e con le Marine straniere alleate”.
Percorsi di addestramento
“Dando seguito ai percorsi di addestramento già efficacemente completati in Italia da Fincantieri, focalizzati sull’operatività del Sistema di Combattimento Italiano a bordo delle navi e coerenti con gli strumenti formativi già forniti, la Marina del Qatar è interessata a implementare programmi di formazione e di addestramento allo scopo di mantenere con aggiornamenti continui le competenze acquisite internamente”, concludevano i dirigenti della holding della cantieristica.
Supporto logistico a lungo termine
Come rilevato da Analisi Difesa, oltre alla formazione fornita agli equipaggi e ai manutentori delle basi della Marina Militare del Qatar, Fincantieri ha assunto il compito di garantire il supporto logistico integrato a lungo termine (dai 5 ai 10 anni) delle unità navali consegnate negli ultimi anni all’Emirato.
Altri servizi logistici saranno forniti da Fincantieri a favore del nuovo Centro di addestramento e simulazione delle forze navali del Qatar per il mantenimento delle sue capacità operative e per la formazione del futuro personale.
Coinvolto Leonardo
Il Centro è stato fornito e realizzato dalle società controllate Fincantieri NexTech e Cetena SpA (Centro di ricerca in campo marittimo), con il gruppo industriale Leonardo come fornitore e sviluppatore del simulatore del sistema di combattimento.
“L’infrastruttura addestrativa del centro–scrive Analisi Difesa – comprende un simulatore di plancia e del Combat Operation Centre, due simulatori non completi rispettivamente di plancia e COC per simulare una seconda piattaforma, oltre a strutture per istruttori, nonché un numero di simulatori dedicati alla replica di piattaforme elicotteristiche per interazione con unità navali, imbarcazioni veloci, armi leggere ed operazioni navali, oltre ad aule, apparecchiature di simulazione e addestramento, il tutto integrato insieme a vantaggio di uno scenario di missione il più possibile realistico”.
DIMEX 24
In occasione della kermesse delle industrie belliche navaliDIMDEX 2024, il complesso militare-industriale italiano aveva schierato a Doha alcune delle sue figure di maggiore rilievo: il sottosegretario di Stato alla Difesa, Matteo Perego di Cremnago, il Capo di Stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, il segretario generale della Difesa e direttore nazionale degli armamenti, generale Luciano Antonio Portolano, l’allora presidente di Fincantieri SpA, generale Claudio Graziano (già Capo di Stato maggiore delle forze armate e presidente del Comitato militare dell’Unione europea), tragicamente scomparso qualche mese dopo.
A fare bella mostra di sé a DIMDEX 2024, nel porto di Hamad, la fregata missilistica “Federico Martinengo” della marina militare italiana, realizzata negli stabilimenti liguri di Fincantieri di Riva Trigoso (Genova) e Muggiano (La Spezia).
“Il Gruppo italiano sta guardando a nuovi programmi per unità navali in Qatar”, sottolineava Analisi Difesa.
“Le Qatar Emiri Naval Forces–QENF hanno espresso interesse per una nave di supporto logistico in grado di compiere un’ampia gamma di missioni. Nel suo portafoglio prodotti, Fincantieri ha la famiglia di LSS classe Vulcano, che oltre al rifornimento della flotta e ad altre missioni militari, può anche condurre attività di soccorso in caso di calamità e fornire aiuti umanitari grazie ad estese strutture mediche e aree modulari”.
Per curare i nuovi affari e garantire l’assistenza post-vendita e i servizi in loco, la holding italiana ha dato vita alla società Fincantieri Service Middle East con sede a Doha.
MoU per Omega 360
Un terzo Memorandum of Understanding è stato firmato da Fincantieri il 22 ottobre 2024 con Barzan Holdings (società posseduta al 100 per cento dal ministero della Difesa del Qatar e responsabile del potenziamento delle capacità militari delle forze armate dello Stato), per lo sviluppo congiunto del programma radar Omega360, sensore centrale per il sistema anti-drone nazionale del Qatar.
Il Memorandum è stato sottoscritto a margine dell’incontro bilaterale tenutosi a Villa Pamphili a Roma tra la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e l’Emiro del Qatar, Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, in visita ufficiale in Italia.
Joint venture
“Questo accordo sancisce la cooperazione tra le due aziende nel definire una possibile joint venture che porterà alla localizzazione della produzione in Qatar e alla fornitura di 40 unità radar Omega360;la produzione dei primi sistemi operativi è prevista entro la fine del 2026”, dichiaravano i manager di Leonardo.
Ignoto l’ammontare della commessa, ma secondo alcune fonti interpellate da Analisi Difesa, essa potrebbe avere un valore indicativo di un centinaio di milioni di euro per l’acquisto degli apparati radar, più le spese per il supporto tecnico-logistico, l’addestramento e la manutenzione per i quali sarà costituito in Qatar un Centro di eccellenza sempre in cooperazione con Barzan e le forze armate dell’Emirato“ con l’obiettivo di potenziare la capacità tecnologica locale e promuovere lo sviluppo di soluzioni all’avanguardia per la difesa aerea”.
Sistema innovativo
Fincantieri descrive Omega360 come un “innovativo sistema di sorveglianza a corto raggio in grado di coprire simultaneamente e con grande accuratezza tutti i 360 gradi”.
Particolarmente efficace contro micro e nano droni, grazie alla capacità di risoluzione dello spettro doppler integrata con algoritmi di intelligenza artificiale, il sistema radar garantirebbe ottime capacità di classificazione e identificazione a grande distanza dei bersagli aerei e di superficie (missili, piccole imbarcazioni, periscopi di sommergibili, micro droni e altri bersagli a ridotta segnatura radar).Omega360 è stato sviluppato presso i laboratori di Roma di Fincantieri NextTech.
Già al salone DIMDEX 2018 a Doha,Fincantieri e Barzan Holdings avevano firmato una lettera di intenti per studiare possibili forme di collaborazione negli ambiti della Coastal Defense Surveillance del Qatar.
Accrescere la partnership
Il 24 gennaio 2020 i due gruppi avevano poi sottoscritto un Memorandum of Understanding per “accrescere la partnership attraverso la valutazione e gli studi di nuove tecnologie e capacità” in vista dell’acquisizione di nuove unità navali di superficie e sottomarini.
Quattro anni primaFincantieri aveva ottenuto un maxi-contratto dalle Forze Armate del Qatar per la costruzione di sette navi militari e la fornitura di un ampio pacchetto di servizi di supporto, tra cui la formazione del personale, il supporto operativo e il supporto logistico integrato, l’addestramento tecnico per manutentori di base,ecc..
Il programma del valore di quasi 4 miliardi di euro prevedeva nello specifico la fornitura di quattro corvette, una nave anfibia (LPD – Landing Platform Dock) e due pattugliatori d’altura (OPV – Offshore Patrol Vessel).
Consegna imbarcazioni da guerra
Alla data odierna Fincantieri ha già consegnato alla Marina qatariota sei imbarcazioni da guerra; l’ultima è prevista entro la fine dell’anno.
I due pattugliatori hanno una lunghezza di circa 63 metri, una larghezza di 9,2 metri, una velocità massima di 30 nodi, e possono ospitare a bordo 38 persone di equipaggio.
Le corvette sono unità altamente flessibilicon capacità di assolvere a molteplici compiti, che vanno dal pattugliamento con capacità di soccorso in mare al ruolo di nave combattente. Lunghe circa 107 metri e larghe 14,70 metri, possono raggiungere una velocità massima di 28 nodi ed ospitare a bordo 112 persone, diversi battelli veloci gonfiabili e un elicottero NFH90.
Il 24 gennaio 2023, presso lo stabilimento Fincantieri di Palermo, si è svolta la cerimonia di varo di “Al Fulk”, l’unità anfibia LPD, alla presenza del Vice primo ministro e ministro della Difesa del Qatar, H.E. Khalid bin Mohamed Al Attiyah, e del ministro della difesa italiano, Guido Crosetto.
L’imbarcazione LPD ha una lunghezza di circa 143 metri, una larghezza di 21,5 metri, una velocità di 20 nodi e può ospitare a bordo circa 550 persone. È dotata di due rampe carrabili e di un bacino interno allagabile in grado di ospitare un mezzo da sbarco che può essere dispiegato utilizzando un sistema di gru. Il ponte di volo è inoltre dimensionato per gli atterraggi e i decolli degli elicotteri NFH90.
Dentro i privati
I sistemi radar, da combattimento e missilistici di tutte le unità navali consegnate al Qatar sono stati progettati e prodotti da aziende controllate dalla holding Leonardo e da Elettronica S.p.A, altra importante società italiana del comparto militare. Per il loro acquisto l’emirato ha sborsato un altro miliardo di euro circa.
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau
4 Novembre 2024
New York, New York… Per le atlete keniote la città icona degli Usa si è rivelata il giardino dell’Eden.
Se Eva nel Paradiso terrestre mangiando la mela ha causato un sacco di guai, tre maratonete venute da Nairobi, domenica pomeriggio 3 novembre, divorando la Grande Mela, hanno ottenuto tanta gloria e 200 mila dollari. Prima, seconda e terza: anche se non più giovanissime, hanno dominato la 53° edizione della Maratona di New York.
Mamma e soldatessa
Nell’ordine: Sheila Chepkirui, 33 anni, mamma e soldatessa del Kenya Defence Forces, Hellen Hobiri, 34 anni, sergente maggiore dell’Aeronautica, Vivian Cheruiyot, 41, poliziotta dell’Anticrimine.
Per Sheila è il primo successo – col tempo di 2 ore, 24 minuti e 35 secondi – nelle World Marathon Majors, le 6 gare riconosciute come le principali al mondo (Boston, Berlino, Chicago, Londra, Tokio e ovviamente NY city).
Dalla Rift Valley
La Chepkirui, originaria di Kipchimchim, alla periferia di Kericho (città e contea nella Rift Valley, Kenya), alla sua quarta maratona, non era data come favorita, (aveva ottenuto un secondo posto a Berlino e un quarto in aprile a Londra), eppure ha messo in fila due fortissime sue connazionali.
Grandi festeggiamenti nel paese natale, per Sheila, la cui gara è stata seguita su uno schermo gigante anche da altri atleti e allenatori della zona. Orgoglioso – riferisce The Nation – il governatore Erik Mutai, che ha commentato: “La sua vittoria è una vittoria per il Kenya e per la nostra contea.
Migliorare le strutture
È la conferma che una nuova creatura è nata nel blocco dell’atletica mondiale. Questo ci spingerà a migliorare le strutture nella contea per favorire la preparazione degli atleti”.
Dopo un avvincente duello negli ultimi due chilometri, Sheila ha percorso l’ultimo mezzo miglio mozzafiato e ha costretto alla resa la fortissima Hellen Obiri, prima lo scorso anno sia al Central Park sia a Boston, dove ha concesso il bis quest’anno.
Stile goffo
La Obiri, dallo stile goffo (sembra che stia sempre per cadere in avanti!), ma efficace, sperava nella doppietta americana. Invece si è dovuta accontentare della piazza d’onore e di 60 mila dollari di premio; la prima, invece, ha incassato 100 mila dollari e la terza, Vivian Cheruiyot, 40 mila.
A 41 anni il bronzo
Anche questa è stata un osso duro, nonostante l’età e il fisico minuto (40 kili per 1,54): nel 2018 ha trionfato nella capitale britannica ed è stata argento a New York City.
Nata nel distretto rurale di Keiyo nella Rift Valley, gareggia da quando aveva 15 anni! All’età di 31 anni, ha rinunciato a difendere i titoli mondiali sui 5000 e 10.000 metri a Mosca per dare alla luce un figlio, Allan Kiprono, nell’ottobre 2013.
Nel giugno 2014 ha ripreso ad allenarsi e a vincere, guidata dal marito Moses Kiplagat. A 41 anni è ancora in strada e domenica era lì, a far parte del mix esplosivo tutto femminile, tutto kenyota nella Grande Mela, che ha visto alla partenza 54 mila runners di tutto il mondo.
Partecipazione italiana
Fra essi 2443 italiani (seconda nazione più rappresentata dopo gli Usa). I nostri connazionali che hanno portato a termine la Major, l’ultima della stagione, sotto il muro delle 3 ore, sono stati 66. Il più veloce di tutti è stato il bolzanino Markus Ploner, con un tempo di tutto rispetto: 2h26’19”.
Atleta somalo olandese
Ma sul podio più alto maschile, avrebbe potuto, a buon diritto, mettersi a cantare a squarciagola “New York New York” di Frank Sinatra, il dominatore Abdi Nageeye in 2 ore 7 minuti 39 secondi. “I want to be a part of it, New York New York,…I wanna wake up in that city and find I’m top of the list (voglio farne parte, voglio svegliarmi e scoprire che sono in cima…).
Abdi Nageey “è l’incarnazione dello spirito olimpico: un crogiolo di nazioni, che tira fuori il meglio dagli atleti”: così lo ha definito il sito World Athletics.
Nato a Mogadiscio nel 1989, è fuggito a 6 anni nei Paesi Bassi, ha vissuto brevemente in Etiopia, in Siria e poi di nuovo in Olanda, di cui è diventato cittadino. Si è poi stabilito, con la famiglia, in Kenya, a Eldoret dove si allena.
“Penso che tutti questi Paesi in cui sono andato, questa vita nomade, mi abbia plasmato e reso quello che sono – ha dichiarato tempo fa -. Ora sono in Kenya, vedo così tante nazionalità diverse. Non importa se vieni da Italia, Kenya, Sud Africa o Brasile – ci stiamo tutti preparando per questo grande gioco che è la maratona, una corsa non facile, dura. Ne comprendiamo tutti la lotta e poi dimentichiamo la nazionalità e ci concentriamo maggiormente su questo bellissimo evento.”
New York, New York
A New York, Abdi aveva collezionato un terzo (nel 2022) e un quarto (2023) posto. E alle olimpiadi di Tokio, l’argento dietro a Eliud Kipchoge. Ora Nageeye è diventato il primo corridore olandese a conquistare la gara maschile (e a riportare il titolo in Europa dopo 29 anni), staccando con uno scatto esplosivo il keniano Evans Chebet, 35 anni, vincitore nel 2022.
“Al traguardo ho pensato, sto sognando? Ho vinto a New York” – ha commentato dopo essersi stropicciati gli occhi al traguardo -. Conoscevo il percorso e mi sono detto: sopravvivi al 36° chilometro e vincerai. Nessuno scommetteva su di me, ma io sapevo che ero in grado di farcela”. Abdi si è svegliato ed era in cima. New York, New York…
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Trovo davvero sconfortante il dibattito su guerra e pace di questi mesi. Vedo solo dichiarazioni di principio, che hanno un significato di scelta di campo, e pochissime proposte che possano, se non far avanzare la situazione politica, almeno far maturare una coscienza collettiva.
Mi sembra soprattutto che sfugga a gran parte dei commentatori un punto: dopo questa catastrofe niente sarà più come prima. Gli equilibri mondiali, così come li abbiamo conosciuti, sono compromessi per sempre, in modo irrimediabile.
Valori dell’Occidente
C’è un punto di partenza nella nostra cultura, finora ben poco discusso, ed è la certezza che i valori dell’Occidente, radicati nell’Illuminismo, siano la nostra stella polare.
Da questi sosteniamo di voler partire, e verso la loro massima realizzazione vogliamo tendere, meglio se senza proporli come basi per uno scontro di civiltà o illuderci che siano il punto di arrivo dell’umanità nel suo complesso.
Crisi insormontabile
Ma lo scontro fra Russia e Ucraina e quello rinnovato fra Israele e i palestinesi (con gli alleati) hanno messo non più in dubbio ma in crisi insormontabile ogni possibile coerenza di questo orientamento.
Il confronto che vedo parte da presupposti incompatibili, non propone nessuno spazio per il compromesso, e dunque è totalmente inutile, anche per la formazione dell’opinione pubblica nel nostro Paese.
Considerazioni storiche
C’è chi parte da considerazioni storiche, magari risale alla notte dei tempi per leggere un diritto, dell’uno o dell’altro. Questa terra appartiene a questo popolo perché… Ma i libri sacri di uno, le ricostruzioni storiche dell’altro, evidentemente non hanno valore universale, e tanto meno trovano spazi di condivisione.
Le letture sono in conflitto radicale, e pensare di far aderire una fazione alla visione dell’altra è illusorio, tanto più quando di mezzo ci sono convinzioni religiose e sfumature nazionaliste.
Obiettivi comuni
Non voglio dire che esaminare le radici di un conflitto sia inutile. Credo invece che sia indispensabile (e ovviamente anche io ho la mia lettura personale, che vale solo per me), ma sono anche fortemente convinto che i passi avanti possano essere fatti solo se si concorda su quali obiettivi comuni possano e dunque debbano essere raggiunti.
A questo punto, com’è ovvio, propongo quelli che ritengo alla portata della buona volontà: la fine delle stragi, l’apertura di tavoli di trattativa, il via libera senza condizioni agli aiuti umanitari, l’impegno a ricercare soluzioni politiche durature.
Punto irrinunciabile
Vorrei che fosse chiaro che per me il punto d’arrivo irrinunciabile è la salvezza delle vite umane. Su tutto il resto si può negoziare, ma se non c’è un’intesa su questo, allora mi viene da sospettare che dietro ogni decisione ci siano interessi non confessabili.
Esco dal generico: la sopravvivenza politica di leader come Vladimir Putin, Volodimir Zelenskij, Benjamin Netanyahu.
Anche qui, come su altri temi, la bussola che propongo è quella del realismo: per chiunque abbia una visione “fredda”, non emotiva, è ben palese che solo molto di rado i governi (e i leader, soprattutto) agiscono nell’interesse esclusivo del popolo, mettendo da parte il proprio.
Contenitori rigidi
Propongo anche di ragionare senza pretendere di imporre contenitori rigidi alla realtà: dibattere su termini come “terrorismo” o “genocidio”, che se applicati o respinti imporrebbero conseguenze concrete, è solo un modo per non affrontare la realtà con un approccio di soluzione politica.
Basta guardare al passato per capire che il terrorista di uno è il combattente della libertà per l’altro. E non c’è nulla di più grottesco dei litigi sul concetto di genocidio, come i massacri fossero “accettabili” purché fuori da uno schema preordinato e proclamato.
Tecnologia digitale
Ma anche se si raggiungesse un primo accordo sugli obiettivi di cui parlo, mettendo per un momento da parte le convinzioni personali, anche se gli scontri diminuissero e le prospettive di pace si concretizzassero, il mondo non potrà mai più essere quello che era.
La tecnologia digitale ha permesso una velocità di trasferimento delle informazioni persino incomprensibile rispetto al passato. Proprio il confronto fra queste due guerre, che le notizie trasmesse in rete rende facile alla gran parte dell’umanità, ha già cambiato gli scenari e le prospettive globali.
Meccanismo attivato
I sondaggi lo rendono più che evidente: al di là dell’Occidente c’è un pianeta sdegnato, pronto ad agire collettivamente. In modo pacato, lento ma inarrestabile, questo meccanismo si è già attivato, con i BRICS ma non solo.
Le leadership dei cosiddetti Paesi sviluppati – che forse andrebbero chiamati solo Paesi ricchi – sono smarrite, si accorgono che il resto del mondo non ha più fiducia nei valori proclamati ma applicati solo in modo partigiano.
Il re è nudo
Il re si è ritrovato nudo. Il doppio standard adoperato fra Russia e Ucraina e fra Israele e palestinesi è ormai fin troppo chiaro. E così, insomma, le vittime non sono solo umane.
A rischiare la scomparsa sono le istituzioni internazionali basate sul consenso. L’ONU, le sue agenzie, la Corte penale internazionale, la Corte di giustizia: tutte hanno subito offensive sfrenate, tutte vengono considerate strumenti di parte, a volte in modo pretestuoso, a volte con critiche giustificate.
In pericolo è lo stesso concetto del multilateralismo. E se, come sembra, le possibilità di un allargamento di questi conflitti sono reali, i meccanismi di ricerca della pace potrebbero mancare quando ce n’è più bisogno.
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes
2 novembre 2024
In questi giorni una coalizione di gruppi della società civile sudanese e internazionale hanno lanciato un appello al mondo intero per proteggere la popolazione nell’ex protettorato anglo egiziano.
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, durante il suo intervento al Consiglio di sicurezza di lunedì scorso, non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione catastrofica in Sudan: “La popolazione sta vivendo un incubo. Violenza, fame, fuga sono all’ordine del giorno, per non parlare di atrocità indescrivibili, come stupri diffusi”.
Niente caschi blu
Ma per il momento Guterres ha escluso l’invio di caschi blu, perché non sussistono le condizioni che una tale missione possa realmente proteggere la popolazione civile.
Milioni di civili in fuga
La guerra, iniziata il 15 aprile 2023, tra i due generali Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, ha costretto alla fuga milioni di persone.
Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sarebbero ben oltre 14 milioni coloro che hanno lasciato le proprie case.
Tra questi 11 milioni sono sfollati, mentre 3,1 milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi. Solo nell’ultimo mese 200mila sudanesi sono fuggiti dalle proprie residenze a causa dei combattimenti e delle incessanti violenze.
Intanto anche ieri sono morte 18 persone nello Stato di Gezira, dove le RSF stanno dando sfogo a tutta la loro rabbia dopo la defezione dell’ex comandante dei ribelli, di Abu Aqla Kikil, che a ottobre è passato nelle fila dell’esercito sudanese. L’ira dei paramilitari è incontenibile.
Nello Stato, una volta sotto controllo di Kikil, gli uomini di Hemetti stanno conducendo una campagna di vendetta. Hanno saccheggiato, ucciso civili che hanno posto resistenza e violentato donne e bambine”, ha dichiarato alla BBC Hala al-Karib, responsabile dell’Iniziativa strategica per le donne nel Corno d’Africa (SIHA).
Suicidio dopo stupri
L’associazione che ha documentato le violenze di genere sin dall’inizio della guerra, ha confermato che nell’ultima settimana a Gezira tre donne si sono suicidate, dopo essere state violentate dai paramilitari.
Secondo la sorella di una delle donne che si è tolta la vita, come racconta SIHA, la congiunta è stata violentata di fronte al padre e al fratello. I due uomini sono poi stati brutalmente ammazzati.
La scia dei suicidi legata alla violenza di genere è probabilmente ben più lunga. Nell’ultimo rapporto di 80 pagine redatto da esperti dell’ONU sono stati documentate almeno 400 violenze sessuali dall’inizio del conflitto fino a luglio 2024. Ma si sospetta che la cifra reale sia molto più alta. “E’ sconcertante il numero degli stupri che abbiamo documentato in Sudan”, ha dichiarato Mohamed Chande Othman, capo del gruppo di lavoro dell’ONU che ha redatto il rapporto.
Le vittime documentate dall’ONU avevano un’età compresa tra gli 8 e i 75 anni. Molte di loro avrebbero avuto necessità di cure mediche, ma la maggior parte degli ospedali e delle cliniche sono stati distrutti durante i combattimenti. Ma il portavoce delle RSF, Nizar Sayed Ahmed, ha negato tutte le accuse. “Sono false e prive di fondamenta”, ha riferito ai reporter della BBC.
Crisi umanitaria
Cindy McCain, direttrice di PAM (Programma Alimentare Mondiale), è stata recentemente a Port Sudan. “Il conflitto in Sudan ha scatenato la più grande crisi di fame al mondo. Ben 25 milioni di persone vivono in grave insicurezza alimentare e senza aiuti umanitari; migliaia di persone rischiano di morire di fame”, ha commentato alla fine del suo breve soggiorno.
Il Sudan è ora tra i primi quattro Paesi al mondo con la più alta incidenza di malnutrizione acuta globale.
Nuova milizia addestrata in Eritrea
E mentre continua l’agonia dei sudanesi, la guerra non conosce sosta. Recentemente è apparsa una nuova milizia nello Stato di Kassala, chiamata “Battaglione dell’Est”.
Gli uomini di questo contingente sono stati addestrati in Eritrea ed il loro comandante è il generale Amine Daoud Mahmoud. La nuova formazione, che coopera con i militari governativi, ha il compito di proteggere la parte orientale del Sudan.
L’apparizione di queste truppe ha suscitato qualche perplessità per il coinvolgimento di nuove fazioni armate nel conflitto. L’esercito sudanese ha il sostegno del dittatore eritreo Isaias Afworki, guerrafondaio da sempre, che recentemente ha dichiarato alla stampa: “Solo l’esercito può ricostruire il Sudan”.
Mosca appoggia Khartoum
E infine ha davvero incuriosito una notizia trapelata una decina di giorni fa. Il 21 ottobre è stato abbattuto un aereo ad Al Malha, che dista 120 chilometri da El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale. Si tratta di un cargo Ilushin IL 76, di fabbricazione russa, gestito da una società di Dubai (Emirati Arabi Uniti), la New Way Cargo e immatricolato in Kirghizistan. Ma le autorità competenti del Paese hanno riferito alla Reuters che dallo scorso gennaio l’aeroplano risulta essere registrato in Sudan. La società emiratina aveva fornito armamenti alle RSF attraverso il Ciad.
Ma da gennaio 2023 l’aereo è atterrato più volte a Port Sudan, dove si trova attualmente il quartier generale dell’esercito sudanese. A bordo sembra che ci fossero due persone di nazionalità russa e tre militari sudanesi. Un dispaccio di Reuters del 24 ottobre, ha segnalato che il velivolo viene ora utilizzato per effettuare lanci aerei di armi, munizioni e provviste ad Al Fashir, dove l’esercito, insieme a ex gruppi ribelli alleati con SAF stanno cercando da mesi di respingere gli attacchi della RSF.
Secondo un capo locale delle RSF, in base a alcuni documenti recuperati, uno dei russi a bordo dell’Ilushin IL 76 era Victor Granov, un uomo d’affari residente in Sudafrica e già associato a Victor Bout. Bout è il trafficante di armi russo, che riforniva in Africa un po’ tutti, ribelli e governi. Fu arrestato in Thailandia e estradato negli Stati Uniti. L’8 dicembre 2022 fu scambiato con la cestista americana Brittney Griner che era stata arrestata in Russia.
Insomma Mosca e i paramilitari di Wagner non appoggiano più i ribelli sudanesi, bensì le autorità di Khartoum. Un’affermazione in tal senso è stata fatta anche dal rappresentante permanente della Federazione russa al Palazzo di Vetro, Vasilij Alekseevič Nebenzja, durante l’ultimo Consiglio di sicurezza.
La Russia e la società Wagner hanno avuto legami con le RSF in passato. Ma recentemente, Mosca si è ristabilita come partner diplomatico del governo militare sudanese e come fornitore di munizioni e armi. Nebenzya ha poi specificato: “Crediamo che il Consiglio supremo (cioè la presidenza della Repubblica, ndr) sia la più alta autorità statale legittima in Sudan. Siamo a favore dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità del Sudan”.
In guerra succede davvero di tutto. Anche le alleanze possono cambiare.
Vuoi contattare Africa ExPress? Manda un messaggio WhatsApp con il tuo nome e la tua regione (o Paese) di residenza al numero +39 345 211 73 43 e ti richiameremo.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Se continui ad utilizzare questo sito noi assumiamo che tu ne sia felice.Ok