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Gli 11 cardinali africani che siedono in conclave

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NAIROBI – Sono 11 i cardinali africani che siedono in conclave, una piccola lobby che potrebbe giocare un ruolo decisivo. Peter Kodwo Appiah Turkson (Ghana), John Njue (Kenya), Gabriel Zubeir Wako (Sud Sudan), John Olorunfemi Onaiyekan (Nigeria),  Laurent Monsengwo Pasinya (Repubblica Democratica del Congo), Robert Sarah (Guinea), Anthony Olubunmi Okogie (Nigeria),  Antonios Naguib (Egitto), Wilfrid Fox Napier (Sud Africa), Théodore-Adrien Sarr (Senegal), Polycarp Pengo (Tanzania),

Alcuni dei porporati sono progressisti, altri conservatori, alcuni sono strettamente coinvolti nella politica locale, altri si tengono a debita distanza. A dispetto di quanto vogliono mostrare sono profondamente divisi tra loro, sia dal punto di vista della dottrina, sia su quello dei comportamenti sociali. Divisi soprattutto su due punto: l’Aids e i diritti degli omosessuali. In alcuni Paesi africani, l’omosessualità è punita con il carcere. E poi è bene non scordarsi che in Africa esistono rivalità etniche e tribali e – sfortunatamente – neppure la Chiesa riesce a sottrarsi a queste regole.

L’ultimo papa africano fu Gelasio I, dal 492 al 496. Probabilmente però era bianco, originario di quella che è oggi l’Algeria.

Oggi in Africa, secondo ino studio del dicembre 2011 del Pew Forum on Religion and Public Life, vivono 176 milioni di cattolici.

Tra i candidati più papabili oggi i bookmaker danno il ghanese Peter Kodwo Appiah Turkson, nato l’11 ottobre 1948 a Wassaw Nsuta, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nominato cardinale da Papa Benedetto XVI,  il 24 ottobre 2009. Dal 16 ottobre 2010 è membro della congregazione della dottrina e della fede.Peter Turkson Reuters

Turkson, non ha nascosto le sue ambizioni. Nel 2009 il Daily Mail l’ha citato così: “Se Dio volesse vedere un uomo di colore anche come papa, grazie a Dio”. Conservatore sui temi sessuali,  ha più volte riaffermato la validità della dottrina sociale della Chiesa sulla contraccezione, ribadendo le convinzioni dl Papa Ratzinger, secondo cui  i preservativi non sono una soluzione alla diffusione dell’AIDS in Africa. Sebbene non abbia escluso l’uso dei profilattici “in ogni circostanza”, ha affermato che non crede nella qualità dei preservativi in Africa: “il loro uso potrebbe generare falsa fiducia”, ha sostenuto indicando nell’astinenza, nella fedeltà e nella rinuncia al sesso come la chiave per combattere l’epidemia.

Il cardinale ghanese ritiene inoltre che i soldi spesi per i preservativi sarebbe meglio spenderli per farmaci antiretrovirali destinati a chi è già infetto.

John Njue, 68 anni, kenyota (di etnia kikuyu, la dominante nel paese che pochi giorni fa ha eletto a presidente della repubblica il multimiliardario accusato dal tribunale internazionale di crimini contro l’umanità, Uhuru Kenyatta) è arcivescovo di Nairobi. Nato nei pressi di Embu, nella Rift Valley, ha studiato filosofia a Roma, alla Pontificia Università Urbaniana, e teologia alla Pontificia Università Lateranense. Il 6 gennaio 1973, è stato ordinato sacerdote da Paolo VI nella basilica di San Pietro.John Njue

Tra il 1978 e il 1982 è stato rettore del seminario maggiore di St. Augustine, a Mabanga, quindi al Saint Joseph di Nairobi per un anno, tra  ill’85 e l’86.

È stato nominato arcivescovo coadiutore di Nyeri il 23 gennaio 2002. Ha presieduto la Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale kenyana.

Benedetto XVI il 6 ottobre 2007 lo ha nominato arcivescovo di Nairobi e creato cardinale nel Concistoro del 24 novembre 2007.

E’ uno tra i più conservatori del conclave. Famose le sue filippiche contro il governo keniota che intendeva legalizzare l’aborto, “un concetto estraneo alla nostra società” e minacciando dio far saltare lo stesso governo. Posizioni ortodosse anche sul preservativo, “il cui uso sfrenato – secondo il cardinare di Nairobi – è la vera causa della diffusione dell’HIV e quindi AIDS”. Criticata duramente anche la decisione installare una fabbrica di profilattici in Kenya, minaccia alla morale cattolica.

Njue è stato accusato di essere troppo vicino alla sua tribù kikuyu e di aver spesso taciuto sulle angheria commesse dei suoi leader. Il risultato è che non è molto amato dalle altre etnie keniote.

Dal Sud Sudan è arrivato invece a Roma il cardinale Gabriel Zubeir Wako, sud sudanese di nascita (il 27 febbraio del 1941 a Mboro, nei pressi di Wao) ma quando il 1° luglio 2011 il Paese è diventato indipendente ha scelto di restare a Khartum, capitale del Sudan, il cui governo è filo islamico. La ricerca di un dialogo con i musulmani ha informato la sua condotta prima come arcivescovo di Khartum (nominato nell’incarico da Paolo VI) e poi da cardinale (elevato al rango da Giovanni Paolo II).Gabriel Zubeir Wako

Le condizioni in cui vive Wako sono complicate e difficili. Il governo di Khartoum è rigido e il suo presidente Omar Al Bashir è ricercato dal tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità, genocidio, incitamento allo stupro. Nell’ex condominio anglo-egiziano l’accusa di tentare di convertire i musulmani è sempre in agguato. A Khartoum è complicato perfino reperire il vino per la messa e si rischiano pene corporali, frustate e bastonate, se a qualcuno viene il sospetto che si voglia berlo a tavola.

Wako è l’unico cardinale scampato a un attentato. Un arabo della tribù misserya (responsabile dei crimini contro le popolazioni locali in Darfur) ha cercato di assassinarlo mentre stava celebrando la messa nel cortile della chiesa comboniana di Khartoum domenica 10 ottobre 2010, giorno dell’anniversario della morte di Daniele Comboni, il santo che fondato la chiesa sudanese. Ciononostante ha sempre sostenuto l’importanza del dialogo con i “fratelli” musulmani.

I rapporti tra i cardinali Wako e Turkson non devono essere dei migliori. Il secondo infatti è duramente anti islamico e in un libretto (da cui lo stesso Vaticano ha preso le distanze) aveva profetizzato che “in 39 anni la Francia sarebbe diventata una Repubblica Islamica”.

Il congolese Laurent Monsengwo Pasinya è uno dei più famosi prelati africani. Discepolo del cardinale Carlo Maria Martini, profondamente coinvolto nella vita politica del suo Paese, è una figura piuttosto controversa. C’è chi lo ama e lo dipinge come difensore dei diritti umani (per altro cosa innegabile) e chi lo detesta e l’ha soprannominato “Cardinale in Mercedes” sottolineando le sua vicinanza con il defunto dittatore cleptocrate Mobutu Sese Seko.CONCISTORO:BAGNASCO,IN TROPPI PAESI MANCA LIBERTA' RELIGIOSADopo aver frequentato il seminario in Africa viene nominato arcivescovo di Kisangani (l’x Stanleyville) nel 1988 diventa presidente della conferenza episcopale dello Zaire (diventata Repubblica Democratica del Congo nel 1997).  Nel 2007  è arcivescovo di Kinshasa e cardinale il 20 novembre 2010.

Negli anni ‘90  Monsengwo partecipa attivamente alla vita politica dello Zaire. Nel 1991 diventa presidente della Conferenza Nazionale Sovrana che dovrebbe portare alla democratizzazione del Paese e dal 1992 al 1996 speaker dell’Alto Consiglio della Repubblica, diventato in parlamento di transizione nel 1994.

La Conferenza raggiunge il solo obbiettivo di procrastinare la caduta di Mobutu e del suo governo corrotto. Monswengo viene accusato di essere connivente con il regime o comunque di essersi prestato alle sue manovre dilatorie. Probabilmente ha scelto una difficile terza via tra la dittatura e il caos, ma non è riuscito a trovarla.

Membro della potente Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, Monsengwo, fine intellettuale, parla almeno 14 lingue, comprese le più diffuse europee, nonché diversi idiomi africani.

Secondo informazioni provenienti da Kinshasa Monsignor Monsengwo in privato ha dimostrato decise aperture sul caso dell’uso dei preservativi per prevenire il contagio dell’AIDS, sul matrimonio dei sacerdoti (in Africa, lui lo sa, gran parte dei preti ha di fatto una moglie e talvolta anche più di una), sui problemi delle sette, che nel continente vengono su come funghi, e sui raporti con l’islam.

Lo danno come papabile per una serie di motivi: la sua esperienza di governo, sia delle cose divine sia di quelle terrene, il suo dinamismo intellettuale e la sua conoscenza dei problemi che una terra di frontiera con l’islam come la sua affronta ogni giorno. Ma a 73 anni potrebbe essere considerato troppo vecchio per questo incarico.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Nelle foto, dall’alto, Peter Kodwo Appiah Turkson (Ghana), John Njue (Kenya), Gabriel Zubeir Wako, Laurent Monsengwo Pasinya

Sudan, giudici saranno addestrati ad amputare per bene i condannati

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Massimo A. Alberizzi
12 marzo 2013
Il vicepresidente della Corte Suprema del Sudan, Abdul Rahman Sharfi, forse spazientito dai medici obiettori di coscienza che si rifiutano di tagliare mani e piedi ai condannati alla mutilazione ha deciso che saranno gli stessi giudici a effettuare le crudeli amputazioni.

Manuale-amputazioni-300x152Amnesty International, che ha denunciato le feroci intenzioni del giudice, ha subito protestato ricordando che queste pratiche sono condannate dal diritto internazionale, ha chiesto che cessino immediatamente tutte le punizioni di questo genere.

La risposta è stata pesante: il draconiano Abdul Rahman Sharfi ha minacciato di perseguire i medici che si rifiutano di eseguire le sentenze di amputazione. L’ultima in ordine di tempo il 14 febbraio scorso quando i medici hanno amputato una mano e una gamba a un uomo che era stato condannato per rapina. E’ stato questo il primo caso documentato dalle organizzazioni per la difesa dei diritti umani dal 2002.

Sharfi da giudice diligente, severo e inflessibile ha elencato ben 16 sentenze di amputazione che sono state effettivamente eseguite in Sudan dal 2001. Con quell’elenco il giudice ha voluto suggerire che questo tipo di punizioni dovrebbero essere più diffuse di quanto non lo siano state in passato.

“E’ un trattamento crudele e disumano, vietato dal diritto internazionale. Deve essere abolito immediatamente – ha spiegato Netsanet Belay, direttore del programma Africa di Amnesty International Director – Il governo del Sudan deve modificare la propria legislazione nazionale per bloccare queste torture. Il codice penale sudanese deve allinearsi con gli standard internazionali”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

Odinga vs Kenyatta, dal voto ora si passa alla battaglia legale

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NAIROBI – Siamo alle battute finali della resa dei conti tra i due schieramenti che si sono affrontati alle elezioni del 4 marzo scorso in Kenya. Il kikuyu Uhuru Kenyatta è stato dichiarato vincitore con il 50,07 dei voti (ha superato la soglia del 50 per cento più 1 per poche migliaia di consensi) e ha festeggiato. Raila Odinga che ha perso la corsa al ballottaggio ha annunciato un ricordo alla Corte Suprema: lo deve presentare entro il 18 marzo. A Nairobi tutti sono soddisfatti che elezioni si siano tenute in un clima calmo e sereno, non ci sono stati scontri tra gruppi tribali diversi, tutti elogiano le responsabilità e il senso democratico mostrati dalla popolazione, ma al di là di questo, se si parla approfonditamente con i diplomatici, i giornalisti occidentali e i residenti espatriati emerge la convinzione che le elezioni non si siano svolte in totale trasparenza e qualche trucchetto è stato comunque messo in atto.

Sul futuro del Kenya pesa il ricorso di Odinga

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NAIROBI – Uhuru Kenyatta, il multimiliardario kikuyu neopresidente del Kenya accusato dalla Corte Internazionale dell’Aja di crimini contro l’umanità, non ha dubbi: “Ho vinto – ha detto -. Le elezioni sono finite, il Paese è stanco, mettiamoci a lavorare”. Il primo ministro Raila Odinga non è altrettanto sicuro di aver perso e la sua coalizione ha denunciato alcune gravi irregolarità. Odinga, tra l’altro, è convinto che alcuni risultati siano stati truccati nelle roccaforti dell’avversario dove – secondo lui – è stato registrato come votante anche chi non ha votato, gonfiando così i voti a favore di Kenyatta.

Nigeria, 7 ostaggi (tra cui un italiano) ammazzati a sangue freddo

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Dal nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 10 marzo 2013
Li hanno assassinati a sangue freddo come se fossero degli animali. Probabilmente li hanno messi in fila indiana, un colpo alla nuca, come si faceva una volta con i condannati a morte. Il tutto nel nome di un dio che viene dipinto come amorevole e misericordioso. I sanguinari militanti di Ansaru  al-Muslimeen Bilad al-Sudan (Difensori dell’Islam nei Territori dell’Africa Nera Africani) il gruppo islamico nigeriano che il 16 febbraio ha rapito a Bauchi  sette ostaggi occidentali, ieri non ha avuto nessuna pietà e ha annunciato l’esecuzione.

Kenya, Uhuru vince per 4109 voti Raila contesta. Si temono disordini

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DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
NAIROBI
– Multimiliardario e accusato dalla Corte Penale Internazionale di crimini contro l’umanità, Uhuru Kenyatta, figlio del padre della patria è stato dichiarato ufficialmente nuovo presidente del Kenya. Lui e il suo vice, William Ruto (anche lui sotto processo per gli stessi reati a L’Aja), festeggiano. Raiga Oginga e Kalonzo Musioka, i loro sfidanti non ci stanno e non riconoscono i risultati, il Kenya trema perché la gente teme una nuova ondata di violenza, come quella che seguì le elezioni (probabilmente truccate) del dicembre 2007. Kenyatta e Ruto hanno superato il 50 per cento dei consensi per 4109 voti su oltre 12 milioni di voti espressi.

Kenyatta in testa festeggia una vittoria che Raila contesta

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DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI
– I sostenitori di Uhuru Kenyatta festeggiano la vittoria del loro eroe e del suo vicepresidente William Ruto. Una vittoria non ancora certissima, ma molto probabile, al primo turno. Poco prima di mezzanotte il conteggio è ancora in corso, alle ultimissime battute: Kenyatta è Ruto sono al 50,9 per cento e loro avversari, Raila Odinga e Kalonzo Musyoka al 42 per cento.

Il distacco, grande, non deve però ingannare. Per vincere al primo turno i candidati devono ottenere il 50 per cento dei voti (oltre che risultare primi nel 25 per cento delle circoscrizioni, cosa che entrambi i ticket hanno ottenuto). In corsa ci sono altri sei candidati, ciascuno dei quali ha raggiunto un piccolo numero di voti. I vincitori devo quindi raggiungere il 50 per cento dei voti espressi, poco più di 10 milioni.

Kenya, la rimonta di Raila su Kenyatta, un bug del computer rallenta il conteggio dei voti

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DAL NOSTRO INVIATO
NAIROBI
– Continua il conteggio dei voti in Kenya, ma i risultati provvisori sono stati falsati da un bug del computer che aveva assegnato un malloppo di preferenze a Uhuru Kenyatta, a discapito dell’altro candidato, Raila Odinga.

Kenyatta sembrava indirizzato verso una vittoria strabiliante. Aveva raggiunto il 55 per cento dei voti espressi, mentre Odinga si era assestato sul 42. Sono partite le proteste del CORD, l’alleanza elettorale di Odinga e stamattina Kalonzo Musioka, il candidato alla vicepresidenza nel ticket con Odinga, durante una conferenza stampa, aveva espresso serie riserve sui conteggi elettronici dei voti, i cui risultati provvisori davano in vantaggio, grande vantaggio Kenyatta.

Suspance a Nairobi in attesa dei risultati delle elezioni

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NAIROBI – La tensione si taglia con il coltello. Per tutto il giorno le strade di Nairobi sono rimaste semideserte. In una città dove il traffico è intenso e caotico, viaggiare in auto speditamente sembrava un miracolo. Ma, al dì là della piacevole velocità di movimento, i volti dei rari passanti in pieno centro nella capitale keniota erano tirati e preoccupati.

Kenya lo spoglio delle schede elettorali in tempo reale

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I risultati delle elezioni in Kenya si possono seguire su internet

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