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Ventiquattro caccia da guerra di Leonardo alla Nigeria con sistemi di puntamento made in Israel

Dal Nostro Corrispondente di Cose Militari
Antonio Mazzeo
20 novembre 2024

Nuovo affare miliardario della holding regina del complesso militare-industriale italiano, con l’Aeronautica militare nigeriana. L’ex colonia britannica sceglie inoltre come partner-contractor una delle maggiori aziende israeliane.

E’ produttrice di sistemi di morte attualmente impiegati nel genocidio della popolazione palestinese di Gaza.

caccia M-346FA per Nigerian Air Force

Nuove commesse

All’inizio del 2025 il gruppo Leonardo consegnerà alla Nigerian Air Force (NAF) i primi tre caccia M-346FA. Si tratta della variante da combattimento multi-ruolo del velivolo progettato e realizzato per l’addestramento dei piloti di cacciabombardieri di quarta e quinta generazione.

Gli altri 21 velivoli dovrebbero giungere in Nigeria entro la fine del 2026. Gli M-346FA sostituiranno la vecchia flotta di caccia Dassault Alpha Jet A/E, potenziando le capacità e le strategie aeree del paese africano.

Addestramento e formazione

Il ministero della Difesa ha ordinato i 24 velivoli di Leonardo nell’agosto 2021, sborsando non meno di 1,2 miliardi di euro. Come parte dell’accordo, il gruppo italiano assicurerà pure l’addestramento e la formazione dei piloti, la manutenzione dei velivoli e la fornitura delle relative munizioni.

L’Aeronautica militare nigeriana ha anche espresso la necessità di stabilire un hub per garantire il supporto logistico a lungo termine della flotta degli M-346FA.

“In Nigeria, l’aereo M-346 Master svolgerà compiti di addestramento e di supporto aereo ravvicinato, attacchi via terra e via mare, missioni di pattugliamento e di difesa aerea”, spiega il sito specializzato Military Africa.

“La variante FA – aggiunge – è anche in grado di operare in modo molto efficace come velivolo tattico multi-ruolo, in missioni aria-superficie, aria-aria e di ricognizione tattica. Le sue capacità e l’armamento avanzato rafforzeranno ulteriormente la prontezza militare della Nigeria nel rispondere a una serie di sfide alla sicurezza”.

Piloti formati in Italia

Parte della formazione dei piloti nigeriani alla conduzione dei caccia sarà svolta presso l’International Flight Training School dell’Aeronautica Militare italiana, nella base aerea di Galatina (Lecce) e nello scalo di Decimomannu (Sardegna).

Armamenti israeliani

“Le aziende israeliane Elbit Systems e Rafael Advanced Defense Systems, note per la loro competenza in avionica e armamenti avanzati, forniranno componenti cruciali.

Tra questi il sistema radar PESA e varie munizioni”, rivela Military Africa. “Questi contributi potenzieranno le capacità operative dell’M-346 Master. Gli consentirà di svolgere molteplici ruoli, come supporto a terra, attacco aria-terra, supporto aereo ravvicinato (CAS) e interdizione, con munizioni guidate di precisione”.

Intermediario Paesi africani

Secondo Africa Intelligence, per la selezione dei fornitori dei sistemi di munizionamento degli M-346FA di Leonardo, le forze armate nigeriane si sarebbero rivolte ad una società israeliana.

Abuja per la gestione della logistica e delle infrastrutture informatiche e di telecomunicazione ha scelto Ebony Enterprises Ltd., con quartier generale a Herzliya Pituach, distretto di Tel Aviv.

Console onorario di eSwatini

La società è di proprietà dell’imprenditore Niso Belazel, presidente della Camera di Commercio Israele-Africa e console onorario di eSwatini (ex Swaziland) in Israele.

Belazei è noto alle cronache per aver fatto da intermediario nella vendita di armi ad alcuni Paesi africani, tra cui Uganda, Rwanda ed Etiopia.

“Tra le principali aziende di difesa contattate per l’armamento dell’aereo M-346 Master della Nigeria ci sono la francese Thales, l’israeliana Elbit Systems e l’europea Nexter”, aggiunge Military Africa.

Trasporto di munizioni

“A bordo del velivolo – spiega ancora – possono essere trasportate varie munizioni e carichi. Tra questi missili aria-aria IRIS-T o AIM-9 Sidewinder, vari missili aria-superficie, missili antinave, bombe e razzi a caduta libera e guidati da laser, un pod per cannoni da 12,7 mm, pod di ricognizione e puntamento e pod per guerra elettronica. La mira delle armi viene eseguita tramite il sistema integrato Helmet Mounted Display e i display multifunzione”.

E’ Analisi Difesa a confermare l’impiego di sofisticati sistemi di puntamento israeliani da parte dei caccia prodotti in Italia. “L’M-346FA è dotato di un radar multimode Grifo-346, sistema di autoprotezione DASS, sette punti di attacco esterni”, spiega .

“Questi ultimi – aggiunge – hanno una capacità di carico di oltre due tonnellate tra serbatoi aggiuntivi, pod Litening per il puntamento laser degli obiettivi e Reccelite per ricognizione e sorveglianza. Sono inoltre dotati di una vasta gamma di armamenti tra cui missili aria-aria AIM-9L/M e IRIS-T, bombe a guida laser e GPS, missili aria-terra MBDA Brimstone, ecc.”.

I pod Litening e Reccelite sono prodotti dagli stabilimenti di Rafael Advanced Defense Systems Ltd. E’ la principale società a capitale statale israeliano operante nel settore militare-industriale (con focus in campo aero-spaziale e dei velivoli senza pilota).

Litening è il pod più utilizzato al mondo per il targeting in combattimento e la navigazione – riportano con enfasi i manager del gruppo israeliano -. Esso incorpora un’ampia gamma di sensori in grado di individuare, riconoscere e identificare gli obiettivi (…). Le capacità avanzate operative del pod Litening rafforzano la missione e l’efficienza dei cacciabombardieri e il loro raggio di combattimento, grazie a tutti i tipi di munizioni aria-superficie, incluse quelle a guida laser, GPS ed EO/IR”.

Monitoraggio e sorveglianza

Rafael Advanced Defense Systems descrive invece il pod Reccelite come uno dei sistemi elettro-ottici aerei e terrestri più avanzati per il monitoraggio e la sorveglianza dei confini e di vaste superfici terrestri. “E’ possibile estendere il controllo visivo fino a 80 km di distanza. Ciò consente al caccia e al suo pilota di non esporsi al nemico”, aggiunge il gruppo israeliano. “Reccelite è stato testato in combattimento ed è impiegato da diverse forze aeree internazionali con una grande varietà di velivoli”.

Reccelite

I pod Litening-5 e Reccelite di Rafael equipaggiano gli aerei leggeri da combattimento di Leonardo perlomeno da quattro anni. Ares Difesa, nel maggio 2020, ha rivelato che i due gruppi industriali avevano sottoscritto uno specifico accordo di cooperazione. “Questa è la prima integrazione del pod Litening-5 EO per la piattaforma M-346FA di Leonardo”, riportava il sito specializzato. “Integrato con i pod di Rafael, il jet ora avrà capacità comprovate da combattimento, usando il pod di mira multi-spettrale Litening 5. Esso è utilizzato da 27 forze aeree e trasportato da oltre 25 piattaforme in tutto il mondo. Litening 5 offre immagini della telecamera a colori a infrarossi in tempo reale (FLIR + SWIR) e HD diurne. I suoi sensori ad alta risoluzione e l’efficiente design EO/IR garantiscono un funzionamento affidabile a notevoli distanze. I pod Litening hanno registrato oltre 2 milioni di ore di volo”.

Intelligenza artificiale

“Con il sistema ISR di Reccelite, il velivolo d’attacco leggero sarà in grado di eseguire la ricerca del bersaglio, utilizzando l’intelligenza artificiale avanzata e altri algoritmi intelligenti per il rilevamento, il tracciamento e per concludere la procedura della sua identificazione”, aggiungeva Ares Difesa.

L’accordo tra Leonardo SpA e Rafael Advanced Defense Systems è stato commentato con particolare enfasi dai manager dei due gruppi industriali-militari.

“Questa nuova cooperazione con Leonardo apre nuovi mercati per integrare i nostri sistemi avanzati in piattaforme leggere addizionali e convenienti. Tutto questo anche grazie alla nostra vasta esperienza e alla capacità di integrazione in tutti i domini”, dichiarava il vicepresidente di Rafael, Guy Oren.

“Noi guardiamo ad un crescente numero di nazioni che hanno espresso la richiesta di caccia-addestratori in grado di effettuare missioni di supporto aereo ravvicinato, e l’aggiunta di pod di quinta generazione per il targeting e le operazioni di intelligence e riconoscimento, già provate in combattimento da Rafael a livello globale, rappresenta una significativa moltiplicazione delle forze della nostra piattaforma aerea”, il commento del vicepresidente della Divisione aerei da addestramento di Leonardo, Emanuele Merlo.

Hasan Abubakar, capo di Stato maggiore dell’aeronautica nigeriana in Itali

A metà ottobre 2024, una delegazione di alti ufficiali dell’Aeronautica militare nigeriana, insieme ai rappresentanti dei ministeri della Difesa e delle Finanze, sono stati in visita in Italia. In tale occasione è stata finalizzata l’acquisizione dei 24 caccia M-346FA e di 10 elicotteri AW109 “Trekker”, anch’essi progettati e prodotti da Leonardo.

Nigeria secondo cliente

Il team nigeriano, guidato dal capo di Stato maggiore dell’Aeronautica, Hasan Abubakar, ha avuto l’occasione di ispezionare il primo lotto di sei velivoli in via di completamento negli stabilimenti dell’azienda italiana. “La visita ha incluso un’esibizione aerea per mostrare le prestazioni dell’M-346 e sottolinearne le caratteristiche sia in compiti aria-aria che aria-terra”, annota ancora Military Africa.

La Nigeria è il secondo cliente della versione da combattimento del caccia-addestratore di Leonardo, dopo il Turkmenistan che ha ordinato quattro M-346FA e due M-346FT. Altri 12 velivoli nella versione FA e 12 in quella FT dovrebbero essere consegnati alle forze armate dell’Azerbaigian in base ad un memorandum sottoscritto nel 2020.

La versione da addestramento è invece in dotazione alle aeronautiche di Italia (18 velivoli), Polonia (16), Qatar (6), Israele (30), Grecia (10) e Singapore (12). Già altre nazioni hanno espresso interesse ad acquistarlo: tra essi spiccano l’Egitto, l’Uruguay e il Botswana.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ladri di peni e di seni e caccia alle streghe: una maledizione africana senza fine

Speciale per Africa ExPress
Costantino Muscau
19 novembre 2024

“Un diplomatico francese sta rubando i sessi con la magia!” Il grido d’allarme, tra il grottesco e il surreale, giunge dalla Repubblica Centrafricana. Ed è ancor più assurdo se si guarda la fonte: Wagner (oggi Africa Corps), il gruppo mercenario russo.

Terrore a Bangui per i peni “rubati”

Stregoneria arma da guerra

La stregoneria in Africa usata anche come…arma sessuale diplomatica, di guerra, o di vendetta, o di furto. Nella lunga e complessa storia di credenze superstiziose, di pratiche magiche, questa ci mancava.

“Nel disperato tentativo di distogliere l’attenzione dai propri abusi e saccheggi, i mercenari russi si sono improvvisati ‘detective dell’occulto’ – ha riferito il 13 novembre fa il giornale on line Corbeaunews – accusando un consigliere dell’ambasciata francese di essere all’origine di un’ondata di “furti sessuali” che sta scuotendo il Paese.

La macchina propagandistica di Wagner nella Repubblica Centrafricana ha raggiunto livelli di assurdità che farebbero sorridere se la situazione non fosse così grave”.

La voce sul ladro di sesso, infatti, si è diffusa a macchia d’olio e ha creato una psicosi collettiva – continua il giornale – che ha paralizzato diverse località, come nella capitale Bangui e in altre città.

Furto di sesso

Lo stesso fenomeno si era verificato a giugno (nella città di Beloko, alla frontiera col  Camerun), a luglio a Bambani (nella Prefettura di Ouaka) e poi i rumours erano sbarcati nella capitale.

Qui la popolazione l’aveva presa sul ridere, poi il dubbio ha cominciato a farsi strada. Fino a che, il 28 agosto, un diciottenne ha detto che il suo organo era divenuto un …organetto, “come un pezzettino di gesso di 2-3 centimetri”!

Il giorno dopo, la situazione è divenuta surreale: bambini di 7-8 anni hanno sfilato per le strade al grido: “Amiamo il nostro pisellino, non vogliamo perderlo”.

Poco dopo un ruandese dipendente della MINUSCA (Missione dell’ONU nella Repubblica Centraficana) e un’altra persona sono stati fermati dalla folla e portati dalla Polizia, perché sospettati di essere “ladri di peni e di seni”.

Si ignora che fine abbiano fatto i due poveretti.

Questo genere di furto però non è un’esclusiva della Repubblica Centroafricana.

Succede anche in Nigeria

Sempre in agosto, infatti, un nigeriano dello stato di Benue, Jude, 33 anni, dipendente di una banca, ha rischiato di essere bruciato da una folla di 15 persone inferocite: lo accusavano di aver fatto scomparire il membro di un ragazzo.

Lo ha raccontato alla BBC nei giorni scorsi, Leo Igwe, attivista nigeriano in prima linea nell’aiutare i colpevoli “colpevoli” di sorcery.

Nigeria: Leo Igwe combatte stregoneria

Secondo molti studiosi queste accuse sono legate alla cosiddetta Sindrome di Koro, o di retrazione genitale (GRS). il timore che il pene si restringa fino a scomparire.

Si tratta di una malattia psichica legata al contesto culturale in cui si sviluppa, ma, purtroppo, la colpa di “pene rubato” costa la vita a chi viene ritenuto responsabile di tale furto.

Incrementare odio

È vero che la dimensione del pene è un’ossessione di molti maschietti, ma che possa portare al terrore di vederlo restringersi o scomparire lascia esterrefatti.

Comunque, se le accuse suddette fanno sorridere, secondo il professore, Théophile Mada, dell’Università di Bangui, nella Repubblica Centroafricana mascherano una realtà più oscura: “La volontà di infiammare le tensioni tra la popolazione e la presenza francese. Si tratta di una tattica pericolosa che può avere conseguenze drammatiche”.

Caccia alle streghe

Il fenomeno più serio e grave, sostiene Leo Igwe, “E’ connesso alla persistente credenza nella stregoneria e la conseguente criminale caccia alle streghe, che ha assunto dimensioni crudeli.

Tanta gente in Ghana, Centrafrica, Sud Africa, Nigeria, Malawi, Kenya, Tanzania, crede che ci siano persone in contatto con il mondo degli spiriti e capaci di compiere pratiche magiche benefiche o malefiche.

Spesso si attribuiscono alla stregoneria la responsabilità dei problemi finanziari, di malattie o infertilità Gli accusati sono per lo più vulnerabili, poveri, giovani o molto anziani, a volte con disabilità”.

In Nigeria, nello Stato di Plateau sono stati dati alle fiamme due fratellini di 5 e 11 anni addirittura dal loro genitore, che li riteneva posseduti. I bambini sono stati soccorsi in tempo.

In Malawi, nei pressi del  villaggio Mulanje, una donna di 78 anni, Eliza Supuni, è stata picchiata a morte con sbarre di ferro, alla vigilia di Natale.

Arrestati e accusati del brutale omicidio, i suoi tre nipoti, che avevano aggredito anche altre due donne anziane. A spingerli, la convinzione che tutte praticassero la magia.

Accuse in aumento

Secondo un sondaggio dell’Afrobarometer del 2022, il 74 per cento dei malawiani associa la stregoneria alle sfortune subite nella vita, tra cui malattia, povertà e morte prematura.

I dati del ministero per il Genere, il Benessere sociale e lo Sviluppo mostrano che il numero di attacchi e omicidi legati alla stregoneria contro anziani è passato da 21 nel 2022 a 29 nel 2023.

Questa crescita è legata all’aumento del tasso di povertà: la nazione è tra le più disperate al mondo (il 72 per cento dei malawiani sopravvivere con 2 euro al giorno).

Donne anziane accusate di stregoneria

In Tanzania, afferma Anna Henga, direttrice del Legal and Human Rights Centre  “Gli anziani costituiscono la maggioranza delle vittime di omicidi per sospetti di stregoneria, in particolare quelle con gli occhi rossi”.

Il 12 luglio, in Sud Africa – ha pubblicato il “Sunday World” – 7  persone sono state condannate all’ergastolo per aver lapidato, cosparso di benzina e bruciato due sorelle streghe.

Anziani vittime

In Kenya, BBC Africa Eye ha indagato nel luglio scorso sulla sconvolgente ondata di anziani accusati di stregoneria e poi assassinati nella contea di Kilifi, sulla costa.

L’organizzazione keniota per i diritti umani Haki Yetu ha effettuato una ricerca e ha appurato che tra il 2020 e il maggio 2022 nella contea sono stati compiuti 138 omicidi collegati alla stregoneria.

Molti altri kenioti sono stati aggrediti e si è scoperto che spesso all’origine delle aggressioni, le accuse della stregoneria sono pretesti per impadronirsi delle terre delle vittime.

Una di queste è Tambala Jefwa, 74 anni, accoltellato due volte in casa. La prima volta ci ha rimesso un occhio, la seconda stava per rimetterci la vita. Il motivo, il solito: stregone malvagio.

Gli assalti erano il seguito di una lite con i membri della famiglia per la proprietà dei suoi 12 ettari dove coltiva mais e alleva polli.

Intendiamoci, niente di nuovo sotto il sole del Kenya. Da anni le cronache registrano una scia di sangue legata alla magia con decine di vittime.

Già negli anni ’30  – ricorda la Catherine Luongo, docente della Northeastern University di Boston, nel suo libro Witchcraft and colonial rule in Kenya, 1950-1955 – un villaggio nel distretto di Michagos a sud-est di Nairobi, 60 uomini, guidati da un certo Kumwaka, assassinarono a bastonate la loro vicina, Waiiki, perché credevano che avesse fatto un sortilegio alla moglie di Kumwaka per farla ammalare e renderla muta.

Davanti alla Corte Suprema del Kenya gli assassini si difesero dicendo di essersi attenuti a una vecchia forma di giustizia locale chiamata kinyore, che veniva praticata contro le streghe. I giudici britannici li condannarono a morte (pena poi modificata in appello).

Centro aiuto vittime

Ora per fronteggiare i sanguinosi assalti, nel distretto di Malindi è stato creato un centro di soccorso che ospita e protegge una trentina di anziani

Il più impegnato contro questa mortale attività è proprio il nigeriano Leo Igwe, fondatore dell’associazione per la difesa delle presunte streghe (Advocacy For Alleged Witches).

Dopo aver completato il dottorato in studi religiosi nel 2017, Leo Igwe, ha spiegato che non poteva restare inerte. “Si deve porre fine a questa caccia alle streghe. Non dovremmo romanticizzarla in alcun caso dicendo: Oh, fa parte della nostra cultura.  Non fa parte della nostra cultura uccidere i nostri genitori. Non fa parte della nostra cultura uccidere persone innocenti”.

Basta caccia alle streghe

Le leggi per contrastare il fenomeno ci sono, le Nazioni Unite hanno approvato una risoluzione che condanna le violazioni dei diritti umani associata alla stregoneria, ma non è cambiato molto.

Certo non sta a noi occidentali giudicare. Non possiamo dimenticare come tra il 1400 il 1700 il numero delle vittime della caccia alle streghe in Europa sia stato calcolato – secondo il Dizionario enciclopedico Utet – in più di un milione (altre stime recenti sono più basse).

Uno dei giudici dei processi, il teologo e giurista tedesco Benedict Karpzov (1595-1666) dichiarò di avere sottoposto a giudizio circa 20.000 persone. Nè si deve dimenticare che l’ultima megera massacrata in Italia risale al 1828

Spiriti malvagi

Dobbiamo lanciare una campagna contro la superstizione e la fede nella stregoneria. Deve essere detto che le streghe e gli spiriti sono entità immaginarie. Questa campagna dovrebbe essere portata in tutte le scuole, college, università. Dovrebbe essere pubblicizzato su radio, tv, giornali, nei mercati, nelle chiese e nelle moschee. In particolare, – accusa Leo Igwe – dobbiamo controllare le attività dei nostri cosiddetti pastori e di altri uomini e donne di Dio che usano la Bibbia o i libri sacri per perpetrare e giustificare atti atroci e abusi dei diritti umani. Questi ciarlatani religiosi continuano ad agire e predicare in modi che rafforzano la fede nelle streghe e provocano persecuzione e uccisione”.

Tremate, tremate le streghe son tornate… si diceva un tempo. In una parte dell’Africa non se ne sono mai andate.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Ghana: linciata a morte 90enne accusata di stregoneria da un prete feticista

Terrore dei vampiri in Malawi: l’ONU ritira il suo staff dal sud del Paese

Orrore in Tanzania: trovati i corpi di dieci bambini mutilati per riti di stregoneria

Netanyahu sapeva dell’attacco d Hamas? Il New York Times svela inchiesta dei giudici israeliani

Speciale Per Africa ExPress
Eugenia Montse*
18 novembre 2024

Cosa sapeva degli attacchi del 7 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu? Un’inchiesta in corso in questo momento in Israele vede sul banco degli imputati i suoi assistenti, per aver possibilmente alterato i verbali di una conversazione del capo di governo con un ufficiale di primo rango dell’esercito, che lo avrebbe avvisato, ore prima dell’assalto, di ciò che si stava preparando da parte di Hamas.

Lo scrive il New York Times, e l’accusa, riferisce il quotidiano, è solo una delle tante rivolte agli assistenti di Netanyahu nelle ultime settimane.

Trascrizioni alterate

I funzionari sono indagati per aver fatto trapelare documenti militari riservati, alterato le trascrizioni ufficiali delle sue conversazioni e intimidito le persone che controllavano l’accesso a quei file.

L’inchiesta del NY Times è basata largamente su fonti anonime, le persone coinvolte nell’indagine hanno ricevuto l’ordine di massima riservatezza, il che non consente, al momento, di comprendere quale sia l’effettiva portata delle accuse.

Quadro serio

Il quotidiano newyorchese mette però insieme tutti i suoi “cosa sappiamo finora”, compilando in questo modo un quadro piuttosto serio delle possibili responsabilità dello staff del Primo ministro.

L’indagine ha preso infatti abbrivio da una denuncia presentata dal general maggiore Avi Gil, che il 7 ottobre ricopriva la carica di segretario militare del Primo ministro (ha lasciato l’incarico a maggio scorso) e con il quale Netanyahu intrattenne numerose conversazioni la mattina del 7 ottobre.

Denuncia scritta

Gil, scrive il NYT, “ha denunciato per iscritto al procuratore generale che le trascrizioni ufficiali delle telefonate avute quella mattina con il primo ministro sembravano essere state alterate”.

Il generale Avi Gil autore del rapporto scritto

In particolare, di una delle conversazioni in cui Gil avvisava Netanyahu che centinaia di agenti di Hamas sembravano sul punto di invadere, sarebbe stato alterato, nelle trascrizioni ufficiali, il dettaglio non secondario dell’orario in cui la chiamata era avvenuta.

Non secondario innanzitutto perché Netanyahu sostiene fin dall’inizio di non aver ricevuto nessun tipo di allerta sui movimenti di Hamas al confine di Gaza, e perché ha sempre rifiutato l’avvio di una inchiesta ufficiale che mettesse in luce le responsabilità dei vertici politici e militari, comprese le sue, per non aver né visto né impedito in tempo la realizzazione di una carneficina.

Senza fiducia

Era una delle richieste dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, sollevato dall’incarico qualche settimana fa per il “venir meno della fiducia”.

Prosegue il NYT raccontando di un ufficiale il cui compito era controllare l’accesso alle registrazioni telefoniche e che sarebbe stato ricattato da un alto funzionario dell’entourage del Primo ministro, lo stesso che avrebbe chiesto di alterare le trascrizioni delle telefonate, attraverso un video che, se diffuso, gli avrebbe procurato notevole imbarazzo.

Documento alla Bild

Infine, i funzionari sono anche accusati, da sei ufficiali diversi, di aver inoltrato un documento altamente riservato a un organo di stampa estero, specificamente il quotidiano tedesco Bild.

Un documento che poi Netanyahu stesso citò in un suo intervento a settembre scorso, per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica la sua posizione contraria a qualsiasi trattativa per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Famiglie degli ostaggi

Bild aveva scritto, nel suo articolo, che sulla base di quel documento si deduceva che Hamas stesse cercando di manipolare le famiglie degli ostaggi, per convincere Netanyahu a scendere a compromessi nei colloqui di tregua e ad accettare termini meno favorevoli a Israele.

Familiari degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas protestano per le strade di Tel Aviv

Netanyahu aveva dunque citato, nel suo discorso, proprio l’articolo di Bild per sostenere che Hamas stesse cercando di “seminare discordia tra noi, di usare la guerra psicologica sulle famiglie degli ostaggi”.

Prima circostanza

Non si tratterebbe certo della prima circostanza in cui ufficiali e funzionari dell’esercito inviano a organi di stampa documenti riservati, ma in questo caso il database dell’intelligence militare era altamente riservato, e gli ufficiali accusati di aver fatto trapelare il documento sono stati arrestati, cosa che raramente avviene nei ranghi dell’esercito israeliano per vicende legate ai leak.

Il giornale tedesco si è rifiutato, chiaramente, di rivelare la fonte da cui aveva ricevuto il testo.

Lasciar correre

La questione di quanto realmente Netanyahu sapesse degli attacchi del 7 ottobre, e di quanto eventualmente abbia lasciato correre sacrificando la vita delle persone uccise e prese in ostaggio si trascina in Israele, in un certo senso, dal giorno stesso dell’Al Aqsa Flood (cioè l’attacco del 7 ottobre, ndr).

Già pochissimi giorni dopo, infatti, i giornali hanno pubblicato la notizia che l’intelligence egiziana avesse avvisato Israele, tre giorni prima del 7 ottobre, che si stesse preparando un attacco nei territori israeliani.

Una notizia, data dall’Associated Press, smentita dal gabinetto di Netanyahu ma confermata dall’intelligence americana, sebbene non chiara riguardo a quali termini fossero stati utilizzati dagli egiziani per descrivere l’attacco in preparazione e a quale livello nella scala gerarchica militare fosse stata inviata.

Difesa femminile

A dicembre dell’anno scorso, poi, alcuni giornali hanno scritto di come le “spotter” israeliane, l’unità di difesa femminile con il compito di monitorare le mosse di Hamas nella Striscia di Gaza, avesse avvisato di movimenti insoliti già mesi prima dell’attacco, e che però le loro comunicazioni si fossero “perse nella catena di comando”.

La denuncia era partita dalla base di Nahal Oz, nel sud di Israele, una di quelle poi assaltate da Hamas. Solo due delle militari in servizio si salvarono quel giorno: sei furono rapite, quattordici uccise.

Eugenia Montse*
eugenialidiamontse@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

*nome de plume per motivi di copyright che sveleremo tra qualche giorno.

Questo l’articolo del New YorkTimes di cui si parla

Aides to Benjamin Netanyahu are under investigation over accusations of leaks, record-doctoring and intimidation. The Israeli prime minister’s office denies the claims.

 

 

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Sudafrica: polizia blocca miniera dismessa occupata da minatori illegali ma tribunale condanna la serrata

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
18 novembre 2024

Un tribunale di Pretoria ha messo fine all’assedio della polizia nella miniera d’oro dismessa a Stilfontein in Sudafrica. La Corte ha ordinato agli agenti di porre fine immediatamente al blocco per permettere l’approvvigionamento di viveri. Si tenta così di costringere i minatori illegali, ormai allo stremo, a uscire dal sito.

Sudafrica: miniera dismessa a Stilfontein

Costretti a bere aceto

Il giacimento, che si trova nella provincia del Nord-Ovest, è stato circondato per diversi giorni dalla forze dell’ordine. Dopo le pesanti critiche di alcuni media sudafricani sulla gestione del caso, negli ultimi giorni, la polizia ha permesso ai volontari di andare a trovare i minatori, con cibo e acqua.

Giovedì i soccorritori hanno portato in superficie anche un operaio morto e poi altri tre, ormai stanchissimi e senza più forze. Secondo quanto riportato, pur di sopravvivere, i poveracci sarebbero costretti a mangiare dentifricio e bere aceto. Uno dei sopravvissuti ha raccontato che non è rimasto proprio nulla che possa essere consumato da un essere umano.

Sigillare miniere dismesse

La misura drastica del governo è stata presa nell’ambito dell’operazione Vala Umgodi (“Tappare i buchi” in lingua zulù). Tale iniziativa è stata lanciata da Pretoria nel dicembre 2023 per bloccare lo sfruttamento illegale delle quasi 6mila miniere dismesse  nel Paese.

L’estrazione fuori dalla norma è comune nelle vecchie aree minerarie aurifere del Sudafrica. I minatori si addentrano nei pozzi chiusi alla ricerca di eventuali residui.

Sentenza provvisoria

Il tribunale di Pretoria ha ora ordinato che la miniera non può essere bloccata da nessuna persona o istituzione, sia essa governativa o privata. Ha inoltre stabilito che lavoratori devono uscire, precisando però che nessuno, eccetto il personale di emergenza, può entrare nei pozzi.

La polizia ha preso atto dell’ordine dei giudici, ma ha dichiarato che ciò non impedirà loro di arrestare chiunque metta fuori piede dalla miniera.

Yasmin Omar, un avvocato che ha contribuito a portare avanti la causa, ha dichiarato all’emittente statale SABC (South Africa Broadcasting Corporation) che si tratta solamente di un ordine temporaneo del tribunale di Pretoria. “Ci consente almeno di fornire aiuti di emergenza alle persone. Un’udienza completa è in agenda per martedì prossimo”, ha precisato.

Sono dei criminali

Qualche giorno fa il ministro della presidenza, Khumbudzo Ntshavheni, aveva dichiarato ai giornalisti che il governo non avrebbe inviato nessun aiuto ai minatori di Stilfontein: “Sono dei criminali, li staneremo”, aveva sentenziato.

Ministro Khumbudzo Ntshavheni: “niente aiuti ai criminali”

Gli operai rimangono spesso nei pozzi per mesi, senza mai uscire. Vengono riforniti di viveri e acqua tramite una catena di approvvigionamento. Un vero business per i residenti della zona. Ora, pur a corto di beni di prima necessità da giorni, i minatori temono di uscire. Perché, come è già successo altrove, rischiano l’arresto non appena mettono la testa fuori dal sottosuolo. Tra di essi ci sono anche molti migranti. Sono in Sudafrica senza regolare permesso di soggiorno. Per loro si prospetta dunque anche il rimpatrio forzato.

Il 2 novembre scorso la polizia ha comunicato che dal 18 ottobre oltre mille operai sono risaliti in superficie per fame e sete da altri siti dismessi nella provincia. Anche in questi casi gli agenti avevano interrotto la catena di approvvigionamento.

Minatori illegali in un giacimento dismesso

Il portavoce della polizia, Athlenda Mathe, ha riferito giorni fa ai reporter di AP che nessun agente o militare sarebbe sceso nella miniera di Stilfontein per far uscire i lavoratori. Un’operazione in tal senso è ritenuta troppo pericolosa.

Sequestro armi

Da quando è partita l’operazione lo scorso dicembre, la polizia ha sequestrato 369 armi di grosso calibro, 10.000 munizioni, 5 milioni di rand (275.000 dollari) in contanti e diamanti non tagliati per un valore di 32 milioni di rand (1,75 milioni di dollari) .

Se inizialmente la posizione del governo nei confronti dei minatori illegali di Stilfontein è stata durissima, da venerdì Pretoria ha fatto un piccolo passo in dietro.

Pronti a salvarli

Senzo Mchunu, ministro della Polizia, è arrivato in loco due giorni fa con una delegazione governativa per parlare con i parenti e le comunità locali. In tale occasione il ministro ha confermato: “Pur trattandosi di criminali, il governo vuole tentare di salvarli. E pertanto è necessario intervenire molto rapidamente, visto che una permanenza prolungata nella miniera potrebbe mettere a rischio le loro vite”.

Molto familiari dei minatori illegali hanno implorato le autorità di impiegare risorse e competenze per tirarli fuori. Una questione non semplice, vista la profondità del sito (2.500 metri).

Da venerdì un gruppo di esperti chiamati da Pretoria, sta tentando di elaborare un piano, volto a una evacuazione forzata del sito minerario. Ma ora bisogna attendere la sentenza definitiva del tribunale.

Diverse comunità locali si lamentano spesso della presenza dei minatori illegali, perché commettono crimini, come rapine e stupri. E non di rado dispute tra i vari gruppi rivali sfociano in scontri sanguinosi.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
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Continua il braccio di ferro in Mozambico: il leader di Podemos invita i militari a disobbedire e proclama nuovo sciopero

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
17 novembre 2024

Continua in Mozambico il braccio di ferro tra Venanzio Mondlane, candidato alla presidenza della Repubblica per PODEMOS e il governo del FRELIMO.

Dal suo rifugio – si suppone in Sudafrica – dopo essere sfuggito con la sua famiglia a un attacco di killer a Johannesburg, ha proclamato la quarta fase della protesta. Tre giorni di sciopero, 13,14 e 15 novembre mirato in più fasi, nei porti e nei valichi di frontiera, in tutti i capoluoghi di provincia.

Porto Maputo, la capitale del Mozambico, fermo per lo sciopero proclamato da Mondlane

“È la fase più dolorosa delle proteste che servono a fare pressione sugli organi elettorali affinché riconoscano la volontà del popolo” – ha affermato alla CNN-Portugal. L’obiettivo è continuare a paralizzare l’economia del Paese per costringere il governo mostrare i “risultati reali” delle elezioni che confermano la sua vittoria.

Mondlane alza il tiro

Il leader, dopo il successo dello sciopero generale in tutto il Mozambico durato una decina di giorni, alza il tiro. Le manifestazioni, sono state decise dopo l’assassinio di due importanti esponenti di PODEMOS. Lo sciopero generale iniziato contro i brogli elettorali dell’elezione presidenziale e dell’Assemblea nazionale ha avuto un prezzo altissimo. Il Centro di Integrità pubblica (CIP) parla di 50 morti in tre settimane. Ma anche centinaia di feriti e migliaia di arresti oltre alla paralisi dell’economia.

Più morti che a Cabo Delgado

I morti uccisi dalla polizia per reprimere le manifestazioni in tutto il Paese sono più del doppio di quelli provocati dalla guerra anti-jihadista nel nord del Mozambico nello stesso periodo. “A Cabo Delgado (nel settentrione, appunto, ndr), nello stesso periodo si contano 21 decessi tra jihadisti, militari e civili – c’è scritto in un documento del CIP -. La guerra è a Maputo, non a Cabo Delgado”.

L’autogol del governo

Il governo del FRELIMO intanto, col blocco di internet sui telefoni mobili, ha segnato un fragoroso autogol. Era mirato ad impedire soprattutto le comunicazioni su Whatsapp, Facebook e Youtube. I manifestanti hanno aggirato l’ostacolo collegandosi a internet via VPN (Virtual Private Network), che elude la sorveglianza del potere sulla rete.

Sotto processo popolare anche la rete mobile. Le compagnie di telefonia sono accusate di aver eseguito ordini illegali del FRELIMO, partito al governo dal 1975. Hanno due cause in tribunale per aver danneggiato i clienti; inoltre stanno perdendo parecchio denaro.

La reputazione di Vodacom, filiale della britannica Vodafone, è ai minimi storici. È accusata di essere collusa con il partito al potere che limita le libertà dei cittadini.

“Militari, disobbedite!”

Il 15 ottobre, terzo giorno della quarta fase dello sciopero generale, un Venanzio Mondlane avvolto nella bandiera nazionale è andato in diretta social. Con 30 mila utenti connessi, ha invitato i militari a disobbedire.

“Militari, onore a voi! Siete voi i veri patrioti, questo Paese è nelle vostre mani. Non accettate nessun ordine illegale. Gli ordini dicono di attaccare il vostro popolo, rifiutatelo! Avete giurato di appoggiare il vostro popolo. Avete giurato su questa bandiera che è la bandiera nazionale. Non è la bandiera del Frelimo.

Dopo l’appello ai militari il candidato presidente di PODEMOS ricorda la manifestazione delle 21.00: “Manifestaçao do Panelaço”  (Manifestazione delle padelle).

“Dalle 21 alle 22 battiamo le padelle in qualsiasi luogo siamo – incita Mondlane -. Usiamo i  fischietti, suoniamo le vuvuselas, tamburi, clacson delle auto, cantiamo, suoniamo anche i campanelli delle biciclette”.

Mondlane manifestaçao do panelaço
Manifestaçao do panelaço (Manifestazione delle padelle)

L’obiettivo è riempire di rumore tutto il Paese per farsi sentire e nel mondo per i voti rubati alle elezioni del 9 ottobre. Ma anche contro le violenze della polizia e i morti in piazza. Mentre scriviamo la Manifestaçao do Panelaço è stata indetta anche per il 16 novembre.

Il Frelimo lascerà il potere?

Fernando Jorge Cardoso esperto portoghese di Affari africani, su  Rádio e Televisão de Portugal (RTP), ha spiegato bene perché il FRELINO non lascerà il potere.

“Il sistema mozambicano non permette il cambio di potere. Non si tratta di FRELIMO o del presidente Nyusi ma di un insieme di interessi consolidati che hanno a che fare con un insieme di affari” – spiega Cardoso -.

“Si tratta – continua – della concessione di terre e risorse minerarie ai vari dirigenti, politici e militari. C’è poi l’industria dei rapimenti che vede implicata una parte della polizia. Quella dei rapimenti è una delle maggiori “industrie” del Paese seconda a quella della droga”.

Per Mondlane, e per il popolo mozambicano, non sarà facile.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Elezioni in Mozambico, assassinati due esponenti del partito di opposizione Podemos

Elezioni in Mozambico: i quattro candidati alla presidenza della Repubblica e il gas di Cabo Delgado

Elezioni in Mozambico: Frelimo e Podemos “abbiamo vinto” ma osservatori UE protestano per irregolarità

Mozambico elezioni 2024: tra brogli e omicidi Daniel Chapo è il nuovo presidente. Forse

 

L’ambasciatrice americana in Kenya lascia tra le polemiche

Dal nostro Inviato Speciale
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, 15 novembre

L’ambasciatrice americana in Kenya, la multimiliardaria Meg Whitman, si è dimessa, dopo la vittoria di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Mercoledì lascerà la sua residenza di Nairobi in Muthaiga road, in via di ristrutturazione.

L’ambasciatrice americana in Kenya, Meg Whitman, quando era alla HP

La Whitman, non è una diplomatica di carriera (è laureata in matematica e scienze) ma una businesswoman.

Amministratrice di eBay

E’ nota soprattutto per aver portato il fatturato di eBay da 5,7 milioni di dollari a 8 miliardi, come amministratore delegato dal 1998 al 2008.

Negli anni ’80 era nel cda della Disney, poi amministratore delegato di HP e ha fatto parte dei consigli di amministrazione di Procter & Gamble e General Motors.

Il suo patrimonio personale, secondo la rivista Forbes, ammonta a 3,1 miliardi di dollari. Whitman è tra le donne più ricche del mondo ed è stata inserita nell’elenco delle 100 donne più potenti del pianeta.

Onore e privilegio

E’ stata nominata da Biden ambasciatrice in Kenya per motivi politici. Nella sua lettera di dimissioni ha sottolineato di aver svolto il suo ruolo come un “onore e un privilegio”, lasciando intendere che le sue dimissioni sono legate al ritorno di Trump alla Casa Bianca.

“Come tutti gli ambasciatori degli Stati Uniti – ha dichiarato nell’annunciare le sue dimissioni – ho servito il mio Paese su richiesta del presidente. Il popolo americano si è espresso e a gennaio si insedierà un nuovo leader. Auguro a lui e alla sua nuova squadra di avere successo”.

Dal 2022

Whitman è stata nominata ambasciatrice degli Stati Uniti in Kenya nell’agosto 2022, dopo la nomina da parte di Biden nel dicembre 2021 e la conferma da parte del Senato degli Stati Uniti nel luglio 2022.

La partenza da Nairobi della 68enne miliardaria coincide con i piani di Trump di rimodellare il governo americano, spazzando via gli alleati di Biden.

Nuove nomine

Trump ha già avviato le nomine, come quella ad ambasciatore in Israele dell’integralista Mike Huckabee, che sostiene gli insediamenti israeliani nelle terre contese.

Elon Musk e Vivek Ramaswamy

Altre nomine includono il miliardario Elon Musk e Vivek Ramaswamy a capo di un nuovo “Dipartimento per l’efficienza del governo” (Doge), un acronimo che strizza l’occhio alla criptovaluta preferita di Musk, Dogecoin.

Il senatore della Florida Marco Rubio, critico nei confronti di Cina, Iran e Venezuela, è stato indicato come prossimo segretario di Stato.

Nata repubblicana

Politicamente la Whitman nasce repubblicana e è stata candidata nel 2010 a governatore della California.

Nel 2012 era nel comitato elettorale di Mike Romney, che perse le elezioni a favore di Barak Obama, e precedentemente nel 2008 aveva sostenuto John McCain, anch’egli sconfitto da Obama.

Ha quindi cambiato cavallo è si è schierata con i democratici appoggiando Hillary Clinton, sconfitta da Donald Trump.

Nel 2020 ha messo tutto il suo peso elettorale (leggi finanziario) a favore di Biden, che ha battuto Trump. E ha avuto la sua ricompensa: l’ambasciata a Nairobi.

Un certo sollievo

Qui in Kenya, le dimissioni della Whitman sono state accolte con un certo sollievo. In questi anni ha ricevuto parecchie critiche perché più volte ha espresso il suo sostegno al presidente William Ruto, oggetto di un crescente malcontento pubblico.

La signora Whitman senza cortesie in diverse occasioni è stata invitata da esponenti della società civile e da commentatori politici di andarsene ed è stata accusata d’interferire negli affari interni del Paese.

Sui social media locali la vittoria di Trump è stata accolta con gioia: “Auspico che il nuovo corso alla Casa Bianca acceleri la partenza della Whitman”, hanno scritto in molti.

Pesante polemica

Nel maggio 2023, l’ambasciatrice ha scatenato una pesante polemica quando ha descritto le elezioni del 2022 in Kenya come “le più libere, le più giuste e le più trasparenti” nella storia del Paese.

Raila Odinga, leader dell’opposizione in Kenya

La reazione del leader dell’opposizione ed ex primo ministro Raila Odinga, sconfitto alle presidenziali da Ruto, anche grazie a una dubbia correttezza della procedura di voto, è stata durissima: “L’ambasciatrice è disonesta. Il Kenya non è gli Stati Uniti e non è neppure una colonia degli Stati Uniti. Quando è qui tenga la bocca chiusa”.

Al seggio elettorale

La presenza di Whitman al seggio centrale elettorale prima della proclamazione di Ruto come presidente ha suscitato aspre critiche.

I suoi forti legami con il discusso leader keniota le hanno permesso di organizzare nel maggio scorso una visita di Stato a Washington, la prima di un capo africano in oltre 15 anni.

Chiuso bocca e occhi

I precedenti ambasciatori statunitensi in Kenya hanno spesso criticato la corruzione del governo e altri abusi. Whitman è stata zitta e ha chiuso bocca e occhi, sostenendo Ruto in ogni occasione.

E’ stata accusata di non aver denunciato le violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo di Ruto, tra cui rapimenti e uccisioni extragiudiziarie. Sebbene abbia occasionalmente affrontato tali questioni, ha ampiamente difeso le politiche economiche del presidente.

Forte malcontento

Il malcontento dell’opinione pubblica contro il governo rimane forte: i kenioti hanno protestato contro l’aumento delle tasse e del costo della vita e hanno criticato la corruzione rampante e scatenando una rivolta giovanile a giugno e luglio.

Ma sembra che l’ambasciatrice non se ne sia accorta,

Ha infatti difeso il suo lavoro con enfasi e ha dichiarato “di essere orgogliosa di aver guidato una politica incentrata sulle persone che salva vite umane, aumenta la sicurezza e crea opportunità economiche per i kenioti e gli americani”.

Fondi d’emergenza

Ha sottolineato poi: “Abbiamo fornito fondi di emergenza per le inondazioni catastrofiche del 2023 e per la lotta in corso contro la malaria, l’HIV e l’MPOX”.

“Il governo degli Stati Uniti – ha aggiunto – ha come priorità la salute e il benessere dei nostri amici in Kenya. Quest’anno, gli Stati Uniti hanno elevato il Kenya a primo alleato principale non-NATO nell’Africa sub-sahariana, a testimonianza del nostro impegno per i valori democratici e la sicurezza condivisi”.

Rapporti corruttivi

Ma non pare proprio – secondo i commentatori in Kenya – che si sia impegnata per sostenere valori democratici. Piuttosto si è distinta per aver aiutato con forza il business, soprassedendo sui rapporti corruttivi che nel Paese si sono rafforzati e sviluppati ancor di più dopo l’elezione a presidente di William Ruto.

Nuove manifestazioni in Kenya

E’ stata l’unica rappresentante occidentale a non firmare un documento di critica alla repressione delle violenze da parte del governo.

Nella sua lettera di dimissioni, scrive il quotidiano kenyota The Standard, “Whitman ha anche sottolineato i suoi sforzi per promuovere gli investimenti americani in Kenya, che, secondo lei, hanno aperto le porte a un maggior numero di aziende statunitensi per fare affari nel Paese”.

Nonostante il Kenya sia investito da una forte crisi economica, l’inflazione subisca aumenti quasi quotidiani, la povertà colpisca le famiglie a reddito medio e la disoccupazione sia ad alti livelli, la Withman scrive: “Quando sono arrivata nel 2022, ho dato priorità all’espansione dei legami con le aziende e gli imprenditori americani. Grazie a questi sforzi, il commercio, i posti di lavoro e gli investimenti statunitensi in Kenya sono ai massimi storici”.

Il presidente del Kenya, William Ruto e il suo omologo statunitense, Joe Biden

E non ha perso l’occasione per elogiare la leadership del presidente William Ruto, descrivendolo come “molto forte, intelligente, strategico e capace di ottenere risultati”, citando la sua promessa di elevare il Kenya allo status di Paese a reddito medio-alto entro il 2030.

È sempre stato chiaro, comunque, che la Whitman si sarebbe concentrata su ciò che conosceva meglio: gli affari. Infatti, come ha raccontato in un’intervista a una pubblicazione locale, Biden l’ha nominata per il suo acume e i suoi contatti imprenditoriali

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
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Kenya, processo per terrorismo al profeta della “Setta della Fame” responsabile del massacro di Shakahola

Kenya: Ruto silura gabinetto dei ministri e promette governo di larghe intese

In Kenya i manifestanti non mollano: la polizia carica i dimostranti a Nairobi e Mombasa

In Kenya la gente ha vinto: le proteste di piazza organizzate sui social (Instagram e TikTok)

In Kenya vince la protesta: Ruto non promulga la nuova legge finanziaria

I manifestanti contro la finanziaria assaltano il parlamento: almeno 5 morti uccisi dalla polizia in Kenya

La guerra del pane: manifestazioni in tutto il Kenya contro la nuova legge finanziaria

Febbre dell’oro: arrestati in Mali tre dirigenti di una miniera australiana

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
14 novembre 2024

L’amministratore delegato e due dirigenti della società australiana Resolute Mining, comproprietaria di una miniera d’oro in Mali, sono stati arrestati venerdì scorso a Bamako, capitale del Mali.

Pepite d’oro

Il fatto è stato confermato dalla compagnia con sede a Perth, città nell’Australia occidentale. L’amministratore delegato, Terence Holohan e due suoi collaboratori si erano recati in Mali per discutere con le autorità di Bamako alcune questioni fiscali relative a pratiche commerciali della compagnia nel Paese.

Il governo aveva già fatto partire alcune denunce, “prive di fondamento”, come ha precisato Resolute Mining.

Terence Holohan, amministratore delegato di Resolute Mining

Presunta frode fiscale

Appena terminata la riunione con i funzionari governativi, per i dirigenti di Resolute Mining, tutti di nazionalità britannica, sono scattate le manette con l’accusa di presunta frode e danni erariali. I tre sono stati immediatamente portati nel centro di detenzione dove vengono trattenuti coloro che sono coinvolti in atti di corruzione e crimini economici.

E, come ha precisato Serge Daniel, autorevole e apprezzato giornalista, collaboratore di importanti testate francesi, “sono in ballo grosse somme di denaro, la società deve molti soldi allo Stato maliano. Le pratiche commerciali della compagnia australiana sono tutt’altro che ortodosse e trasparenti”.

Accordo con governo

Resolute Mining detiene l’80 per cento della miniera aurifera di Syama, nel sud-ovest del Paese, mentre il restante 20 per cento è nelle mani del governo maliano, secondo quanto riportato sul sito web dell’azienda. “Stiamo lavorando con il governo maliano per trovare un accordo che possa garantire il futuro a lungo termine del giacimento d’oro di Syama, ma allo stesso tempo la nostra priorità assoluta rimane la sicurezza e il benessere dei dipendenti”.

Syama, miniera aurifera di Resolute Mining in Mali

Liberazione dopo pagamento

La compagnia australiana, pur di salvare la faccia e di far uscire di galera i propri quadri, ha ceduto alla pressioni di Bamako e si è detta pronta a sborsare decine di milioni di euro, come ha riportato Serge Daniel nel suo account X: “Mezzo miliardo di CFA (circa 76,5 milioni di euro) subito e altrettanti a medio termine”. Un protocollo d’intesa in tal senso sarebbe stato siglato ieri tra le autorità maliane e la compagnia australiana. I dirigenti saranno liberati non appena arriva il primo assegno milionario.

Oro, importante risorsa

Il Mali è il terzo produttore di oro del’Africa. La produzione annua è di 66,5 tonnellate e il pregiato minerale è uno dei principali pilastri dell’economia del Paese: rappresenta il 25 per cento delle entrate fiscali. Questa preziosa risorsa svolge un ruolo cruciale nello sviluppo economico del Mali.

Giro di vite

Fino a poco fa tutta l’estrazione dell’oro era in mano a società straniere, tra questi anche la Resolute Mining, le canadesi Barrick Gold e B2Gold e la britannica Hummingbird Resources. Tuttavia recentemente la giunta militare di transizione ha nazionalizzato la miniera di Yatela, nella regione di Kayes (ovest), gestita da due società sudafricane e canadesi.

Ma già prima del golpe militare, l’allora presidente Ibrahim Boubacar Keïta e il suo governo, nel 2019, avevano iniziato trattative in tal senso con queste compagnie.

Dallo scorso ottobre il sito minerario di Yatela è gestito dalla SOREM (Société de Recherche et d’Exploitation des Ressources Minérales), società statale fondata nel 2022 dai putschisti.

Società governativa

Recentemente il governo ha affidato alla SOREM una licenza di esplorazione su un’area di 97,41 chilometri quadrati a Intahaka, che dista un’ottantina di chilometri da Gao.

E’ evidente che la giunta militare di transizione, presieduta da Assimi Goïta, vuole dare un giro di vite sulle aziende straniere. Bamako vuole ritrattare le condizioni di contratto con le società che usufruiscono di licenze minerarie, per ottenere maggiori vantaggi finanziari per il Paese.

Crollo del titolo in borsa

Dopo l’arresto dei dirigenti della società australiana, lunedì scorso le azioni di Resolute Mining sono crollate del 32 per cento, il peggior giorno di negoziazione degli ultimi 16 anni.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Mali: altri articoli li trovate QUI

Africa ExPress ha raggiunto i sui primi 5000 articoli

Africa ExPress
Nairobi, 15 novembre 2024

Africa ExPress è una stella piccola nell’universo dei quotidiani online. In poco più di 11 anni abbiamo messo in rete “solamente” 5000 articoli.

Inizio 2013

Abbiamo iniziato le nostre pubblicazioni nella primavera del 2013, allora con un solo post alla settimana. Con il tempo siamo cresciuti, anche grazie alla collaborazione di tanti amici, tutti esperti e veterani dell’Africa o/e del Medio Oriente. Da diversi anni mettiamo in rete un articolo al giorno, a volte anche due.

Quotidianamente vi informiamo con passione, conoscenza e professionalità di ciò che accade nel continente dimenticato, come la sofferenza della gente, dei vari conflitti. Ma amiamo ricordare anche della forza e della grande capacità di sollevarsi delle persone che lo popolano. E senza tralasciare piccole nozioni storiche o eventi sportivi nei quali gli africani eccellono.

Ringraziamenti

Dunque un grazie a tutti i nostri lettori e naturalmente ai collaboratori, al nostro webmaster che in questi anni ci hanno dato una mano. Ovviamente noi di Africa ExPress lavoriamo gratuitamente. Non abbiamo pubblicità. Siamo volontari dell’informazione.

Il team di Africa ExPress
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Fincantieri a gonfie vele nel mercato bellico della marina militare degli Emirati Arabi Uniti

Speciale per Africa ExPress
Antonio Mazzeo
13, Novembre 2024

Fincantieri SpA, il gruppo leader della cantieristica italiana, si proietta sempre più verso la produzione bellica a fianco dei regimi all’indice per le violazioni dei diritti umani e/o direttamente coinvolti in alcuni dei più sanguinosi conflitti mediorientali.

Fincantieri e EDGE firmano nuovo MoU

Il 5 novembre 2024, la società con quartier generale a Trieste, controllata per il 71,32 per cento da CdP Industrie(finanziaria di Cassa Depositi e Prestiti – Ministero dell’Economia e delle Finanze) ha firmato un Memorandum of Understanding con il Gruppo EDGE, holding a capo del complesso militare-industriale degli Emirati Arabi Uniti.

La EDGE è particolarmente attiva nel settore missilistico, della cyber-defense, dei sistemi di guerra elettronica ed intelligence, della cantieristica navale, dei veicoli terrestri leggeri e pesanti e dei droni.

Collaborazione settore subacqueo

L’accordo, che punta allo sviluppo di progetti nel settore subacqueo, è stato firmato da Hamad Al Marar, amministratore delegato e direttore generale di EDGE e da Pierroberto Folgiero (Ad di Fincantieri), in occasione dell’Euronaval, importante salone della difesa navale a livello internazionale, svoltosi nei giorni scorsi a Parigi.

EDGE e Fincantieri lavoreranno insieme alla progettazione, allo sviluppo e alla creazione di capacità per la fornitura di soluzioni avanzate per sistemi subacquei con e senza equipaggio negli Emirati attraverso “Maestral”, la joint venture di costruzione navale con base ad Abu Dhabi recentemente lanciata dai due Gruppi”, riporta l’ufficio stampa di Fincantieri.

“L’accordo preliminare aprirà la strada e darà impulso allo sviluppo di sofisticate soluzioni su misura per le specifiche esigenze subacquee delle marine militari di tutto il mondo (…). Consentirà alle due organizzazioni di condividere le competenze e di sviluppare una gamma di prodotti innovativi e interoperabili, conferendo ulteriore slancio alle capacità sovrane degli Emirati Arabi Uniti nelle tecnologie di difesa all’avanguardia, a beneficio degli stessi e delle altre marine militari”.

Creazione Joint Venture

Il pre-accordo per la joint venture “Maestral” di Fincantieri-EDGE era stato firmato il 21 febbraio 2024 a Palazzo Marina, Roma (sede dello Stato maggiore della Marina Militare), alla presenza di Matteo Perego di Cremnago, sottosegretario di Stato per la Difesa; dell’ammiraglio Enrico Credendino, Capo di Stato maggiore della Marina; del generale di Corpo d’Armata Luciano Portolano, Segretario Generale Difesa e Direzione Nazionale Armamenti; dell’allora presidente di Fincantieri, il generale Claudio Graziano, già Capo di Stato maggiore della Difesa ed ex presidente del Comitato Militare dell’Unione europea (recentemente deceduto).

Affare da 30 miliardi di euro

“La creazione della joint venture consentirà di cogliere le opportunità della cantieristica navale a livello globale, con un focus sulla produzione di una vasta gamma di navi militari e prodotti subacquei e un business con base negli Emirati Arabi Uniti dal valore stimato di 30 miliardi di euro”, hanno spiegato i manager di Fincantieri.

La joint venture avrà sede ad Abu Dhabi e sarà controllata per il 51 per cento dal Gruppo industriale emiratino, mentre la direzione gestionale sarà affidata a Fincantieri.

“Essa avrà diritti di prelazione per gli ordini non NATO, sfruttando in particolare l’attrattiva degli accordi G2G (government-to-government) degli Emirati e dei pacchetti di finanziamento del credito all’esportazione, insieme a una serie di ordini strategici effettuati da alcuni selezionati Paesi membri della NATO”, aggiungeva il gruppo cantieristico italiano.

“Questo accordo strategico – continuava – potenzia la capacità di EDGE di progettare e costruire fregate e altre grandi navi, ampliando il suo raggio d’azione. La JV ambisce inoltre a sviluppare l’ambito underwater con un programma di sottomarini di medie dimensioni”.

Joint venture

La costituzione della joint venture è stata formalizzata il 20 maggio 2024 ad Abu Dhabi, durante una cerimonia ufficiale alla presenza del Capo di Stato emiratino, lo sceicco Khaled bin Mohamed bin Zayed Al Nahyan e -ancora una volta – del sottosegretario Matteo Perego di Cremnago e dell’ammiraglio Enrico Credendino.

“La firma di oggi rappresenta la prova concreta di come questa joint venture sia una piattaforma industriale di grande valore, che ci permetterà non solo di cogliere le opportunità che si presentano in un mercato strategico come quello degli Emirati, ma anche di sviluppare ulteriormente le nostre capacità commerciali, creando così nuove e importanti occasioni di crescita e di espansione nel settore della difesa internazionale in collegamento con la piattaforma di esportazione di Abu Dhabi”, dichiarava enfaticamente l’amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero.

Ordinati 10 pattugliatori d’altura

A margine della firma dell’accordo, il presidente del Gruppo EDGE, Faisal Al Bannai, annunciava l’ordine da parte delle Forze della Guardia Costiera degli Emirati Arabi di 10 pattugliatori d’altura (OPV) con ridotta segnatura radar ed elevata flessibilità operativa.

Pattugliatore d’altura (OPV)

“Queste unità saranno costruite sia nei nostri cantieri di Abu Dhabi, sia in Italia”, aggiungeva Faisal Al Bannai. “Ciò apre a Maestral l’opportunità di promuovere alle marine e alle guardie costiere di tutto il mondo un’ampia gamma di soluzioni navali diversificate, tra cui una serie completa di navi tecnologicamente avanzate”.

Lunghi 51 metri, i pattugliatori d’altura OPV della classe P51MR saranno sviluppati dalle unità della classe “Saettia” in dotazione alla Guardia costiera italiana. La commessa è di 400 milioni di euro circa.

Cantieri liguri

“Queste navi saranno costruite nei nostri cantieri liguri di Muggiano ma anche con una base nei cantieri emiratini dove dovranno essere manutenute, per accompagnare la loro vita utile” ha dichiarato l’Ad di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, nel corso di un convegno tenutosi a Saturnia, i cui atti sono stati pubblicati da Analisi Difesa.

“Questo accordo con gli Emirati Arabi Uniti servirà ad aumentare le loro capacità di difesa; noi li accompagneremo nella evoluzione in un blocco geopolitico in cui Abu Dhabi vuole diventare un ponte verso l’Africa subsahariana”.

Quelli sottoscritti nel corso del 2024 sono solo gli ultimi di una serie di accordi che il Gruppo Fincantieri ha promosso con società e aziende con sede negli Emirati Arabi Uniti.

Altri accordi

Il 15 dicembre 2021 i manager della holding italiana hanno firmato un Memorandum of Understanding con Mubadala Investment Company (società interamente controllata dal regime emiratino) per l’avvio di una collaborazione nel campo delle tecnologie avanzate e dei servizi nei settori navale, marittimo e industriale.

Creata nel gennaio 2017 a seguito della fusione della Mubadala Development Company e della International PetroleumInvestment Company (società d’investimento nel settore energetico), Mubadala opera in diversi settori economici, da quello petrolifero a quello turistico-immobiliare, all’industria pesante e manifatturiera, al settore aerospaziale e delle telecomunicazioni.

Soluzioni di automazione

Mubadala gestisce un portafoglio investimenti di 302 miliardi di dollari con società presenti in 50 Paesi al mondo; essa controlla una parte rilevante del pacchetto azionario di EDGE Group.

Un altro accordo di collaborazione è stato firmato il 25 febbraio 2020 da Fincantieri con Marakeb Technologies, azienda provider di soluzioni di automazione, in occasione della kermesse internazionale sui droni e i sistemi unmanned di Abu Dhabi.

“Marakeb Technologies mira ad integrare ed espandere le sue capacità nel campo nell’integrazione di tecnologie senza pilota negli Emirati Arabi Uniti attraverso una partnership strategica con Fincantieri”, ha spiegato l’amministratore delegato della società, Basel Shuhaiber.

Isabella Rauti, sottosegretario alla Difesa, presente a IDEX 2033, Abu Dhabi

In occasione dell’esposizione internazionale dei sistemi da guerra IDEX 2023, tenutasi ad Abu Dhabi nel febbraio 2023, i manager di Fincantieri hanno firmato un memorandum con l’Abu Dhabi Ship Building (ADSB), società controllata da EDGE e attiva nella progettazione, costruzione, riparazione, manutenzione, refitting e conversione di navi militari e commerciali.

“Secondo i termini dell’accordo, EDGE e Fincantieri uniranno le forze nella realizzazione della flotta navale emiratina, oltre a creare nuove opportunità di business nel mercato locale e internazionale con soluzioni tecnologiche ad alto valore aggiunto”, ha spiegato Fincantieri.

Governo e forze armate

Anche in questa occasione a consacrare la cooperazione militare tra i gruppi della cantieristica di Italia ed Emirati Arabi erano presenti alti rappresentanti del governo e delle forze armate italiane.

A fianco dell’amministratore delegato Pierroberto Folgiero e del presidente Claudio Graziano sono intervenuti infatti la senatrice Isabella Rauti, sottosegretaria di Stato per la Difesa; Lorenzo Fanara, ambasciatore italiano ad Abu Dhabi;il generale Luciano Portolano, segretario generale della Difesa e direttore nazionale armamenti.

Collaborazione dal 2008

Fincantieri opera nel mercato locale degli Emirati Arabi dal 2008. A partire del 2011 i cantieri di Muggiano (La Spezia) hanno consegnato alla Marina militare emiratinauna corvetta classe Abu Dhabi di 90 metri di lunghezza e due pattugliatori classe Falaj 2.

Per supportare la manutenzione e la piena operatività di queste unità, nel 2010 Fincantieri ha promosso lacostituzione della joint venture EtihadShip Building LLC (quartier generale ad Abu Dhabi), con Al FattanShipyardIndustrye Melara Middle East Dubai.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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L’Italia va alla guerra: la Fincantieri addestrerà forze navali del Qatar

 

Non è solo vendetta: il piano di Israele nel nord di Gaza mira allo sterminio dei palestinesi

EDITORIALE
Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
di ritorno da Dayr al-Balah (Striscia di Gaza), 12 novembre 2024

Chiunque provi a dare un vero senso della portata della distruzione che Israele ha scatenato così rapidamente, o della natura indiscriminata dei suoi bombardamenti in Medio Oriente, deve aggrapparsi a paragoni che fanno un salto indietro di decenni, dal Vietnam, alla Corea, alla seconda guerra mondiale.

L’era moderna del diritto internazionale umanitario proclamato dall’Occidente, così come le istituzioni che l’Occidente ha sostenuto per proteggerlo, stanno andando a fuoco.

Jabalia, nord Striscia di Gaza

Idea di un generale

Continua, sotto un inverosimile disinteressamento da parte della Comunità Internazionale, il progetto di assedio ed evacuazione forzata dal nord della Striscia di Gaza messo a punto, in ogni dettaglio, da Israele.

La mente dietro il piano è Giora Eiland, un generale riservista e una figura politicamente centrista in Israele, familiare a chiunque abbia studiato l’evoluzione della dottrina militare israeliana negli ultimi due decenni.

E non ne fanno un segreto il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, e il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, insieme ad altri ministri dell’estrema destra.

Non solo vendetta

Non è semplicemente una questione di vendetta per le atrocità commesse dal braccio armato di Hamas il 7 ottobre.

All’interno della logica distorta che regola la politica israeliana nei confronti dei palestinesi, l’unico modo per ripristinare la deterrenza dopo l’umiliazione militare del 7 ottobre è quello di annientare completamente la collettività palestinese, comprese le sue città e istituzioni.

Potrebbe essere facile liquidare le proposte israeliane come una magniloquenza genocidaria, ma sono state concepite da personaggi come Eiland, come Uzi Rabi (professore all’Università di Tel Aviv), non solo dal circolo messianico di Ben Gvir e Smotrich.

Zona fortificata

Israele ha portato avanti questo piano gradualmente dall’inizio del suo assalto, costruendo una zona militare fortificata – il corridoio Netzarim – per isolare il nord di Gaza.

Se Israele pensa di poter distruggere Hamas nel nord di Gaza solo con una politica di sterminio, cosa gli impedirà di attuare esattamente la stessa politica nel sud di Gaza in seguito?

Non è Hamas che viene eliminato a Gaza. Sono i fondamenti del diritto umanitario: il principio di distinzione, tra combattenti e non combattenti, e il principio di proporzionalità, nel considerare il vantaggio militare rispetto ai danni sui civili.

Operare nell’ombra

Israele vuole essere in grado di operare nell’ombra, fuori dai radar, quando porta avanti il suo programma di crimini di guerra, come sta continuando a fare a Gaza e come ha iniziato a fare nel Libano meridionale.

La strategia non è solo spietata. E’ sfacciata, persino celebrativa, nella sua paranoia di distruzione. Distrugge il mondo come lo abbiamo conosciuto per generazioni.

E cercando di rimanere nell’ombra di una crisi geopolitica sconvolgente c’è Washington. Grazie alle sue tasche profonde e alla sua indulgenza illimitata alimenta il massacro industrializzato.

La carneficina scatenata in Medio Oriente è di un’altra epoca, molto più oscura. La catastrofe umanitaria che Israele ha progettato a Gaza, con la coproduzione occidentale, non ha precedenti nell’era moderna.

Sospendere Israele dall’ONU

La storia unica di Israele è così scandalosamente egoistica. Ha lavorato per reinterpretare e indebolire gradualmente le regole di occupazione e guerra, in particolare attraverso l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza negli ultimi anni.

Esattamente 50 anni fa, l’assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver dichiarato l’apartheid crimine contro l’umanità e illegale l’occupazione militare della Namibia, ha sospeso il Sudafrica. Per i successivi due decenni si è rifiutata di riammetterlo. Potrebbe fare lo stesso con Israele, ma a quanto pare non osa.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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