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Mauritania: nuovi finanziamenti di Bruxelles per bloccare l’immigrazione irregolare

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
2 marzo 2024

La Mauritania ospita migliaia di rifugiati maliani fuggiti dal proprio Paese negli ultimi mesi dopo l’accentuarsi dei conflitti nel nord, del loro Paese, ma la ex colonia francese sulla costa dell’Oceano Atlantico è anche un punto di transito e di partenza per i migranti dell’Africa occidentale che cercano  di raggiungere le Isole Canarie via mare.

Il premier spagnolo Sanchez a sinistra, Mohamed Ould Ghazouani, presidente della Mauritania e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea

Per discutere di migrazione e di altre questioni, come dello sviluppo dell’idrogeno verde, utilizzando le energie rinnovabili disponibili, di sicurezza e della lotta al terrorismo ma non solo, la presidente della Commissione dell’Unione Europea, Ursula von der Leyen e il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, sono andati in Mauritania l’8 febbraio scorso per incontrare il capo di Stato, Mohamed Ould Ghazouani.

La presenza di Sanchez è dovuta al fatto che l’83 per cento dei migranti in arrivo alle Isole Canarie spagnole attraverso rotte irregolari, passa dalla Mauritania.

Durante i colloqui a Nouakchott  l’UE ha promesso entro la fine dell’anno lo stanziamento di 210 milioni di euro nel settore migrazione, l’aumento degli aiuti umanitari e progetti per l’occupazione, volti soprattutto a giovani e donne.

Migranti sulla rotta Atlantica

La signora von der Leyen ha puntualizzato che In questo modo, l’Unione Europea spera che si possa controllare il flusso migratorio a monte e ha aggiunto: “Il vostro impegno ad aiutare i migranti che prendono la rotta atlantica, una delle più pericolose al mondo, è importante. L’UE e la Mauritania devono intensificare la loro cooperazione in questo settore, così come nella gestione delle frontiere, nei rimpatri e nell’assistenza ai rifugiati”.

Mentre il premier spagnolo ha spiegato l’importanza della cooperazione tra Mauritania e Spagna, per contenere i flussi migratori, problema comune dal 2022, in Mauritania è stato attuato un partenariato operativo congiunto per combattere, tra l’altro, il traffico illegale di migranti e l’immigrazione irregolare.

Dopo gli accordi con Tunisia, Marocco ed Egitto dello scorso anno, l’UE ha nuovamente preparato il carnet degli assegni per cofinanziare in Mauritania un’ampia gamma di settori, ma soprattutto per frenare la migrazione irregolare verso l’Europa.

Durante la 37esima sessione ordinaria dell’Unione Africana del 17-18 febbraio scorso, tenutasi ad Addis Abeba, sede dell’Organizzazione, il capo di Stato mauritano, è stato designato presidente di turno per il 2024, succedendo così al suo omologo comoriano, Azali Assoumani.

 

Mohamed Ould Cheikh Ghazouani, presidente di turno dell’UA

Dopo l’empasse dovuto alla rivalità tra Algeria e Marocco – entrambi si erano candidati per la presidenza di turno all’Unione Africana – per sbloccare la situazione è stato richiesto alla Mauritania di candidarsi per la presidenza 2024.

Va precisato che la presidenza dell’Unione Africana ruota tra le cinque regioni dell’Unione. Quest’anno è il turno del Nord Africa che comprende Algeria, Egitto, Libia, Mauritania, Marocco, Tunisia e Sahara occidentale. Durante il 28esimo vertice (30 gennaio 2017) dell’UA, il Marocco era stato riammesso. Aveva abbandonato l’Organizzazione nel 1984 per protesta contro l’ingresso della Repubblica Araba Sarawi Democratica.

Dopo qualche esitazione, in particolare a causa delle elezioni presidenziali previste per il giugno 2024, il 9 febbraio Nouakchott ha infine accettato. E, secondo Mohamed Salem Mouloud, ex alto funzionario degli Affari Esteri mauritano, “Abbiamo buone relazioni con tutti i Paesi africani. Siamo un esempio di stabilità e di lotta al terrorismo. Tutto ciò parla a favore della nostra candidatura”.

La Mauritania ospita più di 100.000 rifugiati, principalmente dal Mali, come dimostrano i dati dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati. E pochi giorni fa è stato siglato un accordo finanziario tra l’agenzia coreana di cooperazione internazionale KOICA e l’UNHCR di 4 milioni di dollari in tre anni, da destinare alla regione di Hodh Chargui. Con tale finanziamento si vogliono rafforzare l’integrazione dei rifugiati maliani all’interno e all’esterno del campo e fornire un maggiore sostegno alla popolazione locale.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Accordo tra Mauritania e Spagna per bloccare i migranti in fuga verso le Isole Canarie e l’Europa

Sahara Occidentale: scaramucce e scontri a fuoco tra Marocco e Polisario

Il giornalista francese Antoine Galindo di Africa Intelligence arrestato in Etiopia

 

Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
01 Marzo 2024

Liberato ieri, dopo una settimana di detenzione in Etiopia, il giornalista francese Antoine Galindo, collaboratore della rivista specializzata Africa Intelligence, con sede a Parigi.

Antoine Galindo

Forte l’appello dell’organizzazione indipendente newyorkese, Committee to Protect Journalists, che ha, dall’inizio della vicenda, esortato le autorità etiopiche a “rilasciare immediatamente e incondizionatamente” il giornalista.

Appelli anche da Reporter Senza Frontiere che ha pubblicamente denunciato la detenzione arbitraria, inquadrandola come un terribile esempio di ostilità verso il giornalismo indipendente da parte delle autorità etiopiche, le quali cercano di controllare la narrazione delle recenti tensioni socio-politiche del Paese.

Ennesimo esempio, dunque, della preoccupante inadeguatezza di libertà di stampa in Etiopia. Il Paese è il secondo peggior carceriere di giornalisti nell’Africa sub-sahariana, con almeno otto giornalisti dietro le sbarre dal dicembre 2023. Quattro dei quali detenuti in relazione al conflitto nello stato di Amhara.

Il governo Abiy ha represso duramente il dissenso quando sono scoppiati conflitti civili, inclusa la guerra nella regione settentrionale del Tigray.

Giovedì scorso, Galindo è stato arrestato dalle forze di sicurezza etiopiche nella capitale Addis Abeba, presso l’Ethiopian Skylight Hotel, mentre intervistava Batte Urgessa, funzionario politico del Fronte di Liberazione Oromo, partito legalmente riconosciuto in Etiopia, che promuove l’autodeterminazione del popolo Oromo.

Dopo il loro infondato arresto, Galindo e Batte sono stati detenuti nel dipartimento di polizia della capitale, nell’area di Bole Sub-City.

Antoine Galindo è arrivato in Etiopia lo scorso 13 febbraio per seguire il vertice dell’Unione Africana ad Addis Abeba, dove aveva ottenuto ufficiale accreditamento.

Il giorno dell’arresto, Selamawit Kassa, ministro di Stato etiope del Servizio delle comunicazioni, in un comunicato stampa ha chiarito che l’arresto del giornalista francese, era legato al non rispetto del suo accreditamento, che lo autorizzava solo a coprire il vertice dell’Unione Africana, e non a raccogliere “informazioni su questioni interne politiche inerenti l’Etiopia”.

Lo scorso sabato, Galindo è comparso davanti al tribunale dell’amministrazione comunale di Addis Abeba, con l’accusa di aver cospirato con due gruppi armati, per incitare disordini nella capitale etiope.

E’ stato accusato di legami con l’Oromo Liberation Army, gruppo armato attivo nello stato regionale dell’Oromia e classificato come “terrorista” in Etiopia, e con il Movimento Nazionale Amhara (Fano), gruppo di milizie che opera nella regione etiope di Amhara. Non è stata avanzata nessuna prova sostanziale e tangibile, nonostante le gravi accuse.

Batte Urgessa invece rimane ancora in carcere. Come la maggior parte dei leader del Fronte di Liberazione Oromo, Batte non è nuovo a arresti senza udienza e torture.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Sudan: bloccati i convogli umanitari alla frontiera con il Ciad, milioni di sudanesi rischiano di morire di fame

Speciale per Africa ExPress
Cornelia  I. Toelgyes
29 febbraio 2024

Oltre mezzo milione di sudanesi in fuga stanno cercando protezione nel vicino Sud Sudan, il Paese più giovane della Terra, giacché ha guadagnato la sua indipendenza solo nel 2011. Mentre martedì Washington, l’ONU e tutte le associazioni umanitarie hanno denunciato il blocco dei convogli che attraversano il confine con il Ciad.

Sud Sudan: oltre mille profughi arrivano giornalmente dal Sudan in guerra

Dopo il divieto imposto da Khartoum di far arrivare i convogli umanitari destinati al Darfur via Ciad, la situazione è peggiorata ulteriormente. Nella travagliata regione sudanese milioni di persone rischiano di morire di fame. L’allarme è stato lanciato martedì scorso da un gruppo di difesa dei diritti degli sfollati.

Reuters è riuscita ad ottenere una copia digitale dell’ordine diramato dall’esercito, che vieta ai convogli l’accesso a una via cruciale per i rifornimenti destinati alla regione del Darfur, controllata dalle RSF.

Come era prevedibile, il ministero degli Esteri sudanese ha respinto le “false accuse” di Washington. Sostiene infatti che il confine tra Sudan e Ciad è “il principale punto di ingresso per armi ed equipaggiamenti” destinati dagli antigovernativi del Rapid Support Forces per commettere “atrocità” contro i sudanesi.

Per scappare dal sanguinario conflitto in Sudan, la gente utilizza camion carichi all’inverosimile di persone sofferenti, disperate e affamate. I mezzi arrivano a Renk, che dista solamente una decina di chilometri dal confine sud sudanese. I due centri di transito allestiti dall’ONU allo scoppio del conflitto, sono sovraffollati. Secondo l’ONU, finora sono arrivati in 560 mila e l’afflusso non tende a diminuire; mediamente 1.500 fuggitivi chiedono giornalmente ospitalità nei campi di Renk.

Sempre secondo fonti delle agenzie del Palazzo di Vetro, 25 milioni di persone, più della metà della popolazione dell’ex protettorato anglo-egiziano, necessitano di aiuti umanitari, mentre 3,8 piccoli, al di sotto dei cinque anni soffrono di malnutrizione.

Dall’inizio del conflitto in Sudan, scoppiato il 15 aprile del 2023 tra i due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), gli ex janjaweed e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, hanno messo in ginocchio l’intera popolazione, che è costretta a fuggire a causa dei continui attacchi un po’ in tutto il Paese. Mancano medicinali, medici, ospedali (gran parte dei quali sono chiusi perché distrutti o funzionano a singhiozzo) per non parlare del cibo e dei beni di prima necessità.

Sudan: vietato il transito dei convogli umanitari provenienti dal Ciad

“La fame, la mancanza di cibo non devono assolutamente essere usati come arma da guerra nei confronti di cittadini innocenti”, ha specificato il General Coordination for Displaced People and Refugees (Coordinamento generale per gli sfollati e i rifugiati, ndr), e ha aggiunto che negare il cibo agli sfollati è un crimine di guerra.

Il gruppo ha puntato il dito anche contro gli ex janjaweed (i “diavoli” a cavallo che stupravano le donne, uccidevano gli uomini e rapivano i bambini durante la guerra in Darfur), accusandoli di aver ostacolato le consegne e di aver saccheggiato gli aiuti umanitari. Ovviamente le RSF hanno respinto le accuse.

Del resto anche Medici Senza Frontiere (MSF) ha fatto sapere martedì scorso che un gruppo di uomini armati non meglio identificati ha fatto irruzione nella loro base a Zalingei, capoluogo del Darfur centrale, controllato dai paramilitari di Hemetti.

Intanto lunedì scorso Washington ha nominato Tom Periello come inviato speciale per il Sudan. Secondo quanto ha dichiarato Anthony Blinken, segretario di Stato USA, Periello dovrebbe cercare di coordinare l’impegno dei partner africani e mediorientali per fermare il conflitto in Sudan.

Anche Linda Thomas-Greenfield, ambasciatore USA accreditata al Palazzo di Vetro, mercoledì scorso, durante un suo intervento al Consiglio di Sicurezza, ha chiesto all’ONU di intervenire per contribuire a porre fine a un conflitto che dura ormai da quasi un anno Gli Stati Uniti hanno affermano che le parti in causa hanno commesso crimini di guerra, e le RSF e le milizie alleate si sono macchiate anche di crimini contro l’umanità e pulizia etnica.

Tripoli, Libia: al Burhan (a sinistra) con Mohamed al-Menfi

Qualche giorno fa il presidente sudanese al Burhan è stato ricevuto a Tripoli da Mohamed al-Menfi, leader del governo libico sostenuto dalle Nazioni Unite nella Libia occidentale. Il capo di Stato sudanese è stato accompagnato dal ministro degli Esteri, Ali Sadiq, e dal direttore dell’intelligence, Ahmed Ibrahim Mufaddal.

Come il Sudan, anche la Libia è divisa, giacchè la parte orientale della ex colonia italiana è controllata dall’Esercito nazionale libico (LNA) di Khalifa Haftar, i cui comandanti  hanno stretti legami con l’RSF e altri gruppi armati del Darfur. I consulenti delle Nazioni Unite, in un recente rapporto hanno identificato la Libia come fornitrice di armi, carburante e autovetture agli ex janjaweed.

Cornelia I. Toelgyes
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Scene dall’apocalisse in Sudan: Khartoum è diventata una città spettrale, morte e distruzione ovunque

Miti da sfatare: Israele è veramente una democrazia, l’unica del Medio Oriente?

 

Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
29 Febbraio 2024

Il sistema politico e sociale di Israele è davvero quello di una democrazia? Sulla base di un concetto minimalista di democrazia, che si limita a pochi criteri fondamentali come la libertà di espressione e il diritto di voto, Israele è una democrazia entro i confini del 1949.

Gerusalemme [Photo credit Federica Iezzi]
Infatti il Paese non è cambiato molto da allora. Né nella definizione di sé, né nel modo in cui tratta i palestinesi. Non comprendere questo equivale ad approvare tacitamente le politiche violente e coloniali nella Palestina occupata, negli ultimi 75 anni. Se dobbiamo credere che oggi la “democrazia” esclusivista di Israele sia in qualche modo una democrazia, allora siamo giustificati anche nel credere che il governo Netanyahu non sia né meno né più democratico dei precedenti governi dello Stato.

Alle nostre latitudini non è difficile sentir definire Israele come “l’unica democrazia del Medio Oriente”. Eppure l’opinione pubblica lo descrive, sempre più spesso e a gran voce, come una “democrazia imperfetta” o come “uno Stato con segregazione simile all’apartheid”.

In un rapido excursus storico, prima del 1967, Israele sicuramente non avrebbe potuto essere definito come una democrazia. Lo Stato sottoponeva un quinto della sua cittadinanza a un governo militare basato sulle rigorose norme del mandato britannico, che negavano ai palestinesi qualsiasi diritto umano o civile. Solo alla fine degli anni Cinquanta emerse una forte opposizione ebraica agli abusi obiettivi, allentando in parte la pressione sui cittadini palestinesi.

I governatori militari israeliani, nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, possono ancora oggi elaborare leggi speciali, distruggere case e mezzi di sostentamento, recludere in prigione senza processo.

La prova decisiva di ogni democrazia è il livello di tolleranza che è disposta ad estendere verso le minoranze che la abitano. Appare dunque evidente come la sottomissione delle minoranze in Israele non è democratica.

Israele assicura una posizione di superiorità alla maggioranza ebraica, ad esempio attraverso le leggi sulla cittadinanza, le leggi sulla proprietà fondiaria e la legge sul ritorno.

Quest’ultima garantisce automaticamente la cittadinanza a ogni ebreo nel mondo, ovunque sia nato. Pratica palesemente antidemocratica, visto che la legge è stata accompagnata al totale rifiuto del diritto al ritorno dei palestinesi, al contrario riconosciuto a livello internazionale dalla risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948.

La pretesa di essere una democrazia è discutibile anche quando si esamina la politica di bilancio, relativa alla questione fondiaria. Dal 1948 i comuni palestinesi hanno ricevuto finanziamenti molto inferiori rispetto ai loro omologhi israeliani.

Oggi più del 90 per cento della terra è di proprietà del Fondo Nazionale Ebraico. Ai proprietari terrieri non è consentito effettuare transazioni con cittadini non israeliani, e il terreno pubblico ha la priorità d’uso in progetti nazionali, il che significa aprire le porte alle illecite espropriazioni palestinesi e ai continui insediamenti israeliani, con un conseguente vero e proprio cambiamento demografico. La Corte Suprema israeliana è riuscita a mettere in discussione la legalità di questa politica solo in alcuni casi individuali, ma non come linea di principio.

I politici israeliani sono determinati a mantenere in vita l’occupazione militare finché lo Stato rimane intatto. Fa parte di ciò che il sistema politico israeliano considera lo status quo.

L’occupazione non è democrazia. Quando si guarda al dibattito tra i partiti di destra e di sinistra in Israele su questo tema, i loro disaccordi riguardano come raggiungere questo obiettivo, non sulla sua validità.

Ma quali sono stati i metodi adottati dal governo israeliano per gestire i territori occupati? Inizialmente l’area era divisa in spazi arabi e spazi ebraici. Le aree densamente popolate da palestinesi vennero definite “autonome”, di fatto sono rimaste sotto il controllo del governo militare israeliano. Gli spazi ebraici invece furono colonizzati con insediamenti e basi militari. Questa politica aveva il chiaro scopo di lasciare la popolazione palestinese, sia in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, sia nella Striscia di Gaza, in enclavi sconnesse, senza alcuna possibilità di espansione urbana.

Le élite politiche occidentali continuano a trattare Israele come un membro del club esclusivo degli stati democratici. I palestinesi e i loro alleati arabi sono stati in gran parte coerenti nel riconoscere l’estremismo nei successivi governi israeliani, ma quale scusa ha la Comunità Internazionale per non riconoscere che l’ultimo governo guidato da Netanyahu è il più grande Stato di occupazione?

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Gaza: strage di giornalisti e foto reporter dal 7 ottobre al 29 gennaio

Speciale per Africa ExPress
Elena Clara Savino
28 febbraio 2024

Più di cento giornalisti e fotoreporter sono stati uccisi nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’operazione di “pulizia” israeliana. La lista dei morti che abbiamo stilato noi di Africa ExPress è incompleta e va dal 7 ottobre 2023 al 29 gennaio 2024. Abbiamo voluto raccogliere i nomi in un elenco perché sia di monito e chi continua a ribadire che Israele ha il diritto di difendersi ma tace su chi può esercitare questo diritto. Sui nemici, cioè i militanti di Hamas, o sulla rete indifesa che non ha nulla da spartire con Hamas tranne l’etnia?

Giornalisti uccisi nella Striscia di Gaza dal 7 ottobre 2023 al 29 gennaio 2024

Si parla di “sproporzione” israeliana. Ma non si tratta solo di dimensioni. Si tratta di capire e individuare contro chi Israele ha scatenato l’inferno. I giornalisti sono stati e sono un target, come se gli israeliani non vogliano testimoni scomodi. Infatti finora non hanno fatto entrare nessuno nella Striscia, tranne quelli embedded, ciò accompagnati dall’esercito o dei servizi Israeliani. Se molte cose in questo conflitto non sono chiare, lo si deve anche al fatto che sul campo non si sono giornalisti indipendenti che possano raccontare cosa sta veramente accadendo nella Striscia.

Molti nomi non diranno niente al grande pubblico, ma noi abbiamo voluto ricordarli tutti.

Gennaio 29, 2024

Mohammed Atallah, redattore palestinese di 24 anni per il sito web di notizie locali Al-Resalah e per un altro sito indipendente regionale Raseef22, sul quale scriveva anche con uno pseudonimo. Era un redattore appassionato, interessato alle storie di vita quotidiana degli abitanti di Gaza e voleva documentare la corruzione e i ristretti interessi politici nella Striscia. Ucciso in un attacco aereo israeliano insieme ad alcuni membri della sua famiglia.

Gennaio 25, 2024

Iyad El-Ruwagh, giornalista palestinese che lavorava come conduttore per la radio Al-Aqsa Voice Radio, affiliata ad Hamas, è stato ucciso in un attacco aereo israeliano sul campo di Nuseirat, nel nord di Gaza, insieme a quattro dei suoi figli: Loay, Nada, Yazan e il piccolo Ahmed. Su facebook leggiamo le terribili condizioni della famiglia.

Gennaio 14, 2024

Yazan al-Zuweidi, fotografo palestinese e operatore di ripresa per l’emittente privata Al-Ghad con sede al Cairo. Ucciso, insieme a suo fratello e suo cugino, in un attacco aereo israeliano su Beit Hanoun, nel nord di Gaza. Al-Zuweidi aveva 27 anni. Gli è stato impossibile evacuare a sud di Rafah.

Gennaio 11, 2024

Mohamed Jamal Sobhi Al-Thalathini, giornalista palestinese che lavorava per l’emittente Al-Quds Al-Youm, affiliata ad Hamas. E’ stato ucciso in un attacco aereo israeliano sulla sua casa nel sud di Gaza

Gennaio 10, 2024

Ahmed Bdeir, giornalista palestinese che lavorava per il sito di notizie locale Bawabat al-Hadaf, affiliato al Fronte Popolare per la Liberazione della palestina.E’ stato ucciso in un attacco aereo israeliano a Khan Yunis, vicino all’ospedale colpito da una scheggia davanti al cancello dell’ospedale dei Martiri di al-Aqsa,

Gennaio 7, 2024

Hamza Al Dahdouh, giornalista palestinese e cameraman di Al-Jazeera, e figlio del capo dell’ufficio di Gaza di Al-Jazeera Wael Al Dahdouh.E’ stato ucciso in un attacco di droni israeliani insieme al giornalista freelance Mustafa Thuraya. Entrambi  stavano guidando una missione nel sud di Gaza.

Mustafa Thuraya, operatore freelance palestinese che lavorava per l’Agence France-Presse (AFP). Ucciso in un attacco di droni israeliani insieme al giornalista di Al-Jazeera Hamza Al Dahdouh,

Gennaio 5, 2024

Akram ElShafie, 53 anni, giornalista palestinese che lavorava come reporter e redattore per l’agenzia di stampa palestinese Safa dal 2019.È morto dopo una agonia di 2 mesi a seguito delle ferite gravi da fuoco israeliano subite il 30 ottobre. Aveva presentato una richiesta di evacuazione dei giornalisti da Gaza per essere curato, ma la domanda è stata rifiutata da Israele. L’ultimo rapporto che ha scritto riguardava la cooperazione e la solidarietà tra i rifugiati di Gaza nella guerra.

Dicembre 29, 2023

Jabr Abu Hadrous, giornalista palestinese e reporter dell’emittente Quds Al-Youm, affiliata ad Hamas, ucciso in un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Nuseirat (nord di Gaza), insieme a sette membri della sua famiglia.

Dicembre 28, 2023

Mohamed Khaireddine, giornalista e cameraman palestinese che lavorava per la TV Al-Aqsa e per la TV Quds Al-Youm affiliate di Hamas. È stato ucciso in un attacco aereo israeliano nella sua casa a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, insieme a 12 membri della famiglia.

Dicembre 24, 2023

Mohamad Al-Iff, giornalista e fotografo palestinese per il giornale locale e l’agenzia di stampa Al-Rai, di proprietà del governo di Hamas, è stato ucciso in attacchi aerei israeliani su Gaza City, a nord di Gaza, insieme a un numero imprecisato di membri della famiglia

Mohamed Azzaytouniyah, operatore di media palestinesi e ingegnere del suono per la radio locale Al-Rai, di proprietà del governo di Hamas. È stato ucciso in attacchi aerei israeliani su Gaza City, a nord di Gaza, insieme a un numero imprecisato di membri della famiglia, tra cui suo padre (tweet del cugino di Al-Iff, Hammam che conferma il decesso negli stessi attacchi che hanno ucciso Mohamad Al-Iff).

Ahmad Jamal Al Madhoun, giornalista palestinese e vicedirettore del giornale locale di proprietà del governo di Hamas e dell’agenzia di stampa Al-Rai e direttore dei contenuti visivi dell’agenzia. Ucciso in un attacco aereo israeliano sul nord di Gaza.

Dicembre 23, 2023

Mohamed Naser Abu Huwaidi, giornalista palestinese di 29 anni chelavorava per il giornale privato Al-Istiklal. Ucciso in un attacco aereo israeliano sull’area di Shajaiah nel nord di Gaza mentre copriva le conseguenze degli attacchi aerei.

Dicembre 22, 2023

Mohamed Khalifeh, operatore dei media e direttore del canale televisivo Al-Aqsa, affiliato ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza, insieme a sua moglie e a tre dei suoi figli.

Muhammad Nasr Abu Huwaidi, giornalista. Ucciso in seguito a un bombardamento israeliano sul quartiere d’Al-Shuja’iya nella Striscia.

Dicembre 19, 2023

Adel Zorob, giornalista freelance palestinese che ha lavorato con diversi media, tra cui la radio Al-Aqsa Voice Radio, affiliata ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Rafah, a sud di Gaza, insieme a 25 membri della famiglia. Zorob ha postato notizie sulla guerra di Gaza sulla sua pagina Facebook. La famiglia Zorob aveva scelto di non abbandonare la propria casa

Dicembre 18, 2023

Abdallah Alwan, operatore di media palestinesi e specialista di voice-over che ha contribuito a diversi giornali e emittenti tra cui la piattaforma di proprietà di Al-Jazeera Midan, la rivista Mugtama e Al-Jazeera. E’ stato conduttore radiofonico per la Radio del Sacro Corano dell’Università Islamica. Ucciso in un attacco aereo israeliano nella sua casa a Jabalia. Nel suo ultimo post del 17 dicembre, Alwan scriveva: “Ogni mattina, diciamo che la scorsa notte è stata la peggiore notte della guerra… Tutti i giorni sono peggiori l’uno dell’altro. Questo descrive brevemente la guerra”.

Dicembre 17, 2023

Assem Kamal Moussa, un giornalista palestinese che produceva reportage visivi e scritti per il sito web di notizie privato locale Palestine Now. Ucciso in un attacco aereo israeliano su Khan Yunis, a sud di Gaza.

Haneen Ali Al-Kashtan, giornalista palestinese che ha collaborato con diversi media, tra cui il giornale locale affiliato a Fatah Al-Kofiya e la TV locale di proprietà privata Baladna TV. Uccisa in un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Nuseirat, nel nord di Gaza, insieme ad altri membri della famiglia.

Dicembre 15, 2023

Samer Abu Daqqa, operatore di ripresa di Al-Jazeera Arabic. Ucciso da droni mentre copriva le conseguenze degli attacchi notturni israeliani su una scuola sotto l’egida dell’ONU, che ospitava glisfollati di Khan Yunis. Il suo collega, il capo dell’ufficio di Al-Jazeera Wael Al Dahdouh, è stato ferito nello stesso attacco.

Dicembre 9, 2023

Dua Al-Jabour, giornalista freelance palestinese che lavorava con il sito web locale Eyes Media Network. Uccisa in un attacco aereo israeliano nella sua casa di Khan Yunis insieme al marito e ai Nel suo ultimo post Jabbour scriveva: “Sopravvivere alla morte ogni giorno è estenuante… Allah, non darci ciò che non possiamo sopportare”

Ola Atallah, giornalista freelance palestinese che ha collaborato con diversi media. Uccisa in un attacco aereo israeliano nella casa in cui si era rifugiata con la famiglia, nell’area di El-Daraj a Gaza City. Diverse fonti riportano la morte di 9 membri della sua famiglia. Atallah ha lavorato come reporter per l’agenzia Anadolu fino al 2017. Era ben nota sui social media per i suoi reportage sulla vita a Gaza durante la guerra. Scriveva nel suo ultimo tweet dell’8 dicembre: “Quante altre notti di terrore e morte Gaza deve contare?”

Dicembre 3, 2023

Hassan Farajallah, ricopriva una posizione di alto livello presso la TV Al-Quds. Ucciso dai bombardamenti israeliani nella Striscia di Gaza.

Shaima El-Gazzar, giornalista palestinese per El-Gazzar. Uccisa insieme ai suoi familiari in un attacco aereo israeliano sulla città di Rafah.

Dicembre 1, 2023

Abdullah Darwish, cameraman palestinese per la TV Al-Aqsa. Ucciso in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza.

Montaser Al-Sawaf, cameraman palestinese dell’agenzia turca Anadolu, è stato ucciso in attacchi aerei israeliani nella Striscia di Gaza.

Adham Hassouna, giornalista freelance palestinese e professore di media presso le università di Gaza e Al-Aqsa. Ucciso, insieme a diversi membri della famiglia, in un attacco aereo israeliano a Gaza City.

Novembre 24, 2023

Mostafa Bakeer, giornalista palestinese e cameraman della TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas, è stato ucciso in un attacco aereo israeliano a Rafah, nel sud di Gaza.

Novembre 23, 2023

Mohamed Mouin Ayyash, giornalista palestinese e fotografo freelance. Ucciso in un attacco aereo israeliano sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, nel centro di Gaza, insieme a 20 membri della sua famiglia.

Novembre 22, 2023

Mohamed Nabil Al-Zaq, giornalista palestinese e social media manager per la TV Al-Quds affiliata ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano su Shejaiya, nel nord di Gaza.

Novembre 21, 2023

Farah Omar, reporter libanese del canale televisivo Al-Mayadeen, affiliato a Hezbollah. Ucciso da un attacco israeliano nell’area di Tayr Harfa, nel sud del Libano, vicino al confine con Israele. Stava documentando l’escalation di ostilità lungo il confine israelo-libanese. Ha dato un aggiornamento in tempo reale un’ora prima della sua morte.

Rabih Al Maamari, cameraman libanese del canale televisivo affiliato a Hezbollah Al-Mayadeen. Ucciso da un attacco israeliano nell’area di Tayr Harfa, nel sud del Libano, vicino al confine con Israele, insieme alla sua collega Farah Omar.

Novembre 20, 2023

Ayat Khadoura, giovane giornalista freelance palestinese e presentatrice di podcast. Uccisa insieme a un numero imprecisato di membri della famiglia in un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Beit Lahya, nel nord di Gaza, e Khadoura. Ha condiviso video sui social media sulla situazione a Gaza fino all’ultimo giorno di vita.  Nel suo “ultimo messaggio al mondo” del 6 novembre diceva: “Avevamo grandi sogni, ma ora la nostra aspirazione è quella di essere uccisi tutti interi affinché possano riconoscerci, non come parti di corpo raccolti in un sacco in modo che sappiano chi siamo”.

Ecco la testimonianza di Ayat:

We are human beings just like the people of every country.
We had very big dreams but unfortunately, today our aspirations are that if we are martyred, it is one piece so that we may be recognized — not as body parts collected in bags.
Now we dream that in death, there is a shroud for us, and we can be laid to rest in a grave.
We dream now for the war to stop, that we don’t hear the sounds of air strikes.

Siamo esseri umani, proprio come gli abitanti di ogni altro Paese.
Avevamo sogni molto grandi, ma purtroppo oggi possiamo solo sperare che, se dovessimo morire, il nostro corpo resti intero e non fatto a pezzi, dilaniato dalle bombe e raccolte in sacchi.
Ora sogniamo che per la nostra salma ci sia un sudario e che possiamo riposare in una tomba.
Ora sogniamo che la guerra si fermi, che non si senta più il rumore degli attacchi aerei.

Alaa Taher Al-Hasanat, giornalista uccisa nello stesso giorno della morte di Ayat Khadoura, in seguitoa un bombardamento delle forze di occupazione israeliane sulla sua casa.

Novembre 19, 2023

Bilal Jadallah, direttore di Press House-Palestine un’organizzazione no-profit che sostiene lo sviluppo di media palestinesi indipendenti. Ucciso nella sua auto a Gaza in un attacco aereo israeliano.

Novembre 18, 2023

Abdelhalim Awad, operatore dei media palestinese e autista per la TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas, Awad è stato ucciso in un attacco alla sua casa nella Striscia di Gaza. Awad lavorava a tempo pieno dall’inizio della guerra a Khan Yunis ed era partito per visitare la sua famiglia la scorsa settimana.

Sari Mansour, direttore del Quds News Network, e la sua collega e amica Hassouneh Salim, fotoreporter freelance palestinese sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano sul campo profughi di Bureij, nel centro di Gaza.

Mostafa El Sawaf, scrittore e analista palestinese che ha collaborato con il sito web di notizie locale MSDR News. Ucciso in un attacco aereo israeliano insieme a sua moglie e due dei suoi figli in piazza Shawa, a Gaza City.Amro Salah Abu Hayah, operatore dei media palestinesi nel dipartimento di trasmissione del canale televisivo Al-Aqsa affiliato ad Hamas.Ucciso in un attacco a Gaza.

Mossab Ashour, fotografo palestinese, ucciso durante un attacco al campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza.

Novembre 13, 2023

Ahmed Fatima, fotografa per la tv egiziana Al Qahera News TV e operatrice per Press House-Palestine. Uccisa mentre copriva con altri colleghigli eventi nelle vicinanze diAl-Shifa Hospital

Yaacoub Al-Barsh, direttore esecutivo della radio locale Namaa. Morto in seguito alle ferite gravi da un attacco aereo israelianodel12 novembre sulla sua casa nel nord di Gaza, secondo il gruppo per la libertà di stampa con sede a Beirut.

Novembre 10, 2023

Ahmed Al-Qara, fotoreporter che lavorava per l’Università di Al-Aqsa e come libero professionista. Ucciso in un attacco all’ingresso della città di Khuza’a, a est di Khan Yunis,

Novembre 7, 2023

Yahya Abu Manih, giornalista del canale radio Al-Aqsa affiliato ad Hamas. Ucciso in un attacco nella Striscia di Gaza,

Mohamed Abu Hassira, giornalista dell’agenzia di stampa Wafa gestita dall’Autorità Palestinese. Ucciso in un attacco nella sua casa a Gaza insieme a 42 membri della famiglia.

Novembre 5, 2023

Mohamed Al Jaja, operatore media e consulente per lo sviluppo organizzativo presso la Casa della Stampa-Palestina, che possiede l’agenzia di stampa Sawa a Gaza e promuove la libertà di stampa e l’indipendenza dei media. Ucciso in un attacco alla sua casa insieme a sua moglie e alle sue due figlie nel quartiere di Al-Naser nel nord di Gaza.

Novembre 2, 2023

Mohamad Al-Bayyari, giornalista palestinese del canale televisivo Al-Aqsa, affiliato ad Hamas, è stato ucciso in un attacco aereo israeliano su Gaza City.

Mohammed Abu Hatab. Giornalista e corrispondente di Palestine TV, emittente finanziata dall’Autorità Palestinese. Ucciso insieme a 11 membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla loro casa a Khan Yunis.

Novembre 1, 2023

Majd Fadl Arandas, membro del Sindacato dei giornalisti palestinesi che lavorava per il sito web di notizie Al-Jamaheer. Ucciso in un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Nuseirat, nella Striscia di Gaza.

Iyad Matar, giornalista che lavorava per la TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas. Ucciso insieme a sua madre in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza, secondo l’agenzia di stampa Roya News con sede ad Amman  e il canale locale Palestine Today.

Ottobre 31, 2023

Imad Al-Wahidi, Operatore dei media e amministratore del canale televisivo palestinese gestito dall’Autorità Palestinese, è stato ucciso con i suoi familiari in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza.

Majed Kashko, un operatore dei media e direttore dell’ufficio del canale televisivo palestinese gestito dall’Autorità Palestinese, è stato ucciso con i suoi familiari in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza.

Ottobre 30, 2023

Nazmi Al-Nadim, vicedirettore delle finanze e dell’amministrazione di Palestine TV, è stato ucciso con i membri della sua famiglia in un attacco alla sua casa nella zona di Zeitoun, a est di Gaza.

Ottobre 27, 2023

Yasser Abu Namous, lavorava nell’organizzazione media Al-Sahel; è stato ucciso in un attacco alla sua casa di famiglia a Khan Yunis, Gaza.

Ottobre 26, 2023

Duaa Sharaf, giornalista palestinese Sharaf, conduttrice di Radio Al-Aqsa,  uccisa con il suo bambino in un attacco missilistico nel quartiere di Yarmouk nell’area Al-Zawaida al centro della Striscia.

Ottobre 25, 2023

Jamal Al-Faqaawi, giornalista palestinese della Mithaq Media Foundation, affiliata alla Jihad islamica. Ucciso in un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Khan Yunis, nel sud di Gaza.

Saed Al-Halabi, giornalista della TV Al-Aqsa, ucciso in un attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza.

Ahmed Abu Mhadi, giornalista della TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas, ucciso in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza.

Salma Mkhaimer, giornalista freelance uccisa insieme a suo figlio in un attacco aereo israeliano nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Ottobre 23, 2023

Mohammed Imad Labad, giornalista del sito web di notizie Al Resalah, ucciso in un attacco aereo israeliano sul quartiere di Sheikh Radwan a Gaza City.

Ottobre 22, 2023

Roshdi Sarraj, giornalista e co-fondatore di Ain Media, società palestinese specializzata in servizi professionali per i media. Ucciso in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza.

Ottobre 20, 2023

Capriolo Idan, fotografo del quotidiano israeliano Ynet. Dichiarato morto il 20 ottobre, dopo che il suo corpo è stato recuperato. Sua moglie e sua figlia sono state uccise in un attacco di Hamas il 7 ottobre al Kibbutz Kfar Aza.

Mohammed Ali, giornalista di Al-Shabab Radio (Radio dei Giovani), ucciso in un attacco aereo israeliano nel nord della Striscia di Gaza.

Ottobre 19, 2023

Khalil Abu Aathra, operatore video per la TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas. Ucciso insieme al fratello in un attacco aereo israeliano a Rafah.

Ottobre 18, 2023

Sameeh Al-Nady, giornalista e direttore della TV Al-Aqsa, affiliata ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano nella Striscia di Gaza, secondo il Sindacato dei giornalisti palestinesi e l’agenzia di stampa palestinese Safa.

Ottobre 17, 2023

Mohammad Balousha, giornalista e responsabile amministrativo e finanziario dell’ufficio del canale mediatico locale “Palestine Today” a Gaza. Ucciso in un attacco aereo israeliano sul quartiere di Al-Saftawi nel nord di Gaza.

Issam Bhar, giornalista della TV Al-Aqsa affiliata ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano nel nord della Striscia di Gaza, secondo quanto riportato da Hamas.

Ottobre 16, 2023

Abdulhadi Habib, giornalista che lavorava per l’agenzia di stampa Al-Manara e l’agenzia di stampa HQ. Ucciso insieme a molti membri della sua famiglia quando un attacco missilistico ha colpito la sua casa vicino al quartiere di Zeitoun, a sud di Gaza City.

Ottobre 14, 2023

Yousef Maher Dawas, scrittore che collabora con il Palestine Chronicle e per We Are Not Numbers (WANN), un progetto palestinese senza scopo di lucro guidato da giovani. Ucciso in un attacco missilistico israeliano sulla casa della sua famiglia nella città di Beit Lahia, nel nord della Striscia di Gaza, secondo WANN e Palestine Chronicle.

Ottobre 13, 2023

Salem Mema, giornalista e scrittrice palestinese, morta sotto un bombardamento

Salam Mema, madre, scrittrice, guida del Comitato delle Donne Giornaliste presso l’Assemblea dei Media Palestinese, un’organizzazione impegnata a promuovere il lavoro mediatico dei giornalisti palestinesi. Il suo corpo è stato recuperato dalle macerie tre giorni dopo che la sua casa nel campo profughi di Jabalia, situato nel nord della Striscia di Gaza, è stata colpita da un attacco aereo israeliano il 10 ottobre.

Husam Mubarak, giornalista della radio Al Aqsa affiliata ad Hamas. Ucciso in un attacco aereo israeliano nel nord della Striscia di Gaza.

Issam Abdallah, giornalista dell’Agenzia Reuters

Issam Abdallah, operatore video dell’agenzia di stampa Reuters con sede a Beirut. Ucciso vicino al confine con il Libano da un bombardamento proveniente dalla direzione di Israele. Abdallah e altri giornalisti stavano coprendo i bombardamenti nei pressi di Alma Al-Shaab, nel sud del Libano, tra le forze israeliane e il gruppo militante libanese Hezbollah.

Ottobre 12, 2023

Ahmed Shehab, giornalista di Sowt Al-Asra Radio (Radio Voice of Prisoners). Ucciso insieme alla moglie e ai tre figli in un attacco aereo israeliano sulla sua casa a Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza.

Ottobre 11, 2023

Mohamed Fayez Abu Matar, fotoreporter freelance. Ucciso durante un attacco aereo israeliano nella città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Ottobre 10, 2023

Saeed al-Taweel, caporedattore del sito web Al-Khamsa News, è stato ucciso quando aerei da guerra israeliani hanno colpito un’area che ospitava diversi media nel quartiere Rimal di Gaza City.

Mohamed Sobh, fotografo dell’Agenzia Khabar

Mohammed Sobh, fotografo dell’agenzia di stampa Khabar. Ucciso quando aerei da guerra israeliani hanno colpito un’area che ospitava diversi media nel quartiere Rimal di Gaza City.

Hisham Alnwajha, giornalista dell’agenzia di stampa Khabar. Morto per le ferite riportate nell’attacco aereo israeliano, che ha colpito l’area che ospitava diversi media nel distretto di Rimal a Gaza City.

Ottobre 8, 2023

Assaad Shamlakh, giornalista freelance, è stato ucciso insieme a nove membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla loro casa a Sheikh Ijlin, un quartiere nel sud della Striscia di Gaza.

Ottobre 7, 2023

Shai Regev, editrice, e redattrice per TMI, la sezione di gossip e notizie di intrattenimento del quotidiano in lingua ebraica Maariv. Uccisa durante un attacco di Hamas al festival musicale Supernova nel sud di Israele. La sua morte è stata confermata dopo sei giorni dalla denuncia della scomparsa.

Shai Regev, gossip reporter per TMI

Ayelet Arnin, redattrice della Israel Broadcasting Corporation Kan. Uccisa durante l’attacco di Hamas al supernova Music Festival.

Yaniv Zohar, fotografo cameraman israeliano per il giornale in lingua ebraica “Israel Hayom”. Ucciso durante un attacco di Hamas al Kibbutz Nahal Oz nel sud di Israele, insieme a sua moglie e alle sue due figlie.

Mohammad Al-Salhi, foto-giornalista per l’agenzia di stampa Quarta Autorità Al-Salhi. Ucciso a colpi d’arma da fuoco vicino a un campo profughi palestinese nel centro della Striscia di Gaza.

Mohammad Jarghoun, giornalista per Smart Media. Colpito mentre raccontava il conflitto in un’area a est della città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Ibrahim Mohammad Lafi, fotografo per Ain Media. Ucciso a colpi di arma da fuoco al valico di Erez nella Striscia di Gaza verso Israele.

Elena Clara Savino
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Weekend di fuoco in Burkina Faso: terroristi sterminano indistintamente cristiani e musulmani

Africa ExPress
27 febbraio 2024

Malgrado le forze messe in campo dalla giunta militare ad interim burkinabé, capeggiata da Ibrahim Traoré (classe 1988), i terroristi del Sahel continuano indisturbati i loro attacchi contro la popolazione civile e le truppe di Ouagadougou.

Bagno di sangue in Burkina Faso lo scorso fine settimana

Lo scorso fine settimana è stato nuovamente caratterizzato da sanguinarie aggressioni. I miliziani non hanno risparmiato musulmani e tantomeno cristiani. Domenica, 25 febbraio, un gruppo di uomini armati ha attaccato la chiesa di Essakane, villaggio situato nel nord del Paese, mentre il sacerdote stava officiando la Messa domenicale. Il bilancio provvisorio è di 15 fedeli morti – tra loro 12 sul posto – mentre altri tre sono deceduti in un centro sanitario di prima assistenza, in seguito alle gravi ferite riportate durante il vile attacco. Altre due persone sono ancora in ospedale.

Comunicato della Diocesi di Dore, Burkina Faso

Il più grave attacco di questo sanguinario weekend si è consumato alle 5 del mattino di domenica, mentre gli abitanti di Natiaboani (sud-est) si trovavano alla moschea per la prima preghiera del mattino. Un aggressione terribile, che ha fatto decine di vittime, soprattutto tra gli uomini. Un testimone ha riferito a Le Monde: “I terroristi sono entrati in città alle prime ore del mattino. Hanno circondato la moschea e sparato sui fedeli che si trovavano lì per la prima preghiera del giorno. Molti sono stati uccisi, tra loro anche un importante leader religioso”.

La stessa fonte ha poi specificato che si è trattato di un aggressione su larga scala, i terroristi arrivati nella cittadina erano moltissimi. Non hanno nemmeno risparmiato i soldati del distaccamento militare e i Volontari per la Difesa della Patria (VDP, ausiliari civili dell’esercito).

Insomma, domenica scorsa nel Paese si è scatenato l’inferno. Assalti sono stati registrati pure a Kongoussi, nel nord, contro il 16ᵉ battaglione di intervento rapido, a Tankoualou, nell’est, è stato attaccato un distaccamento militare, e infine anche un altro battaglione militare a Ouahigouya, nel nord-ovest del Paese.

Dal 2015 a oggi gli attacchi dei terroristi affiliati a al Qaeda o allo stato Islamico hanno causato la morte di oltre 20 mila persone e hanno costretto a più di 2 milioni di residenti a lasciare le proprie case. Moltissime scuole – a ottobre 2023 erano 6.549 – sono chiuse per problemi di sicurezza, defraudando così i piccoli burkinabè dell’istruzione e del loro futuro.

Ibrahim Traoré, presidente del governo di transizione militare in Burkina Faso

Ibrahim Traoré, salito al potere con un colpo di Stato nel settembre 2022, aveva dichiarato di aver preso in mano la situazione per ristabilire la sicurezza nelle zone sfuggite al controllo del governo centrale. Ma anche sotto il governo della giunta militare la situazione non è migliorata.

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Fotocredit: Serge Daniel

Altri articoli sul BURKINA FASO li trovate qui

Nigeria, leone attacca e sbrana veterinario che cerca di salvare la collega nello zoo del campus universitario

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Africa ExPress
Abuja, 26 febbraio 2024

Si chiamava Olabode Olawuyi, 59 anni, era un veterinario dell’Obafemi Awolowo University (OAU). Un leone maschio lo ha attaccato e sbranato.

“Il signor Olawuyi, era il responsabile del giardino zoologico da oltre un decennio – si legge nel comunicato dell’istituzione -. Nel pomeriggio di lunedì 19 febbraio è stato attaccato da un leone maschio di nove anni mentre stava nutrendo il branco nel loro recinto, del giardino zoologico dell’università”.

Il momento in cui viene ucciso il leone che ha sbranato il veterinario
Il momento in cui viene ucciso il leone che ha sbranato il veterinario Olabode Olawuyi

È successo a Ile-Ife, nello Stato di Osun in Nigeria, 500 km a sud-ovest della capitale, Abuja.

Morto per salvare una collega

Un testimone ha dichiarato alla BBC che una collega di Olawuyi, stava dando il cibo al leone quando è stata attaccata. Il veterinario è corso in suo aiuto e anch’egli ha subìto l’attacco del felino.

Il veterinario è stato immediatamente trasportato al pronto soccorso ma è deceduto durante il viaggio. Gli sforzi dei medici per salvare la vita della vittima si sono dimostrati inutili a causa delle gravi ferite riportate.
Il grande felino conosceva bene Olawuyi. Il veterinario nigeriano si era sempre preso cura di lui e degli altri leoni. Dopo l’attacco, su ordine del rettore, il personale ha ucciso il leone a colpi d’arma da fuoco.

leone Olabode Olawuyi
Uno dei post sui social sulla tragica morte del veterinario Olabode Olawuyi (Courtesy Instagram)

Anche la Nigeria Biodiversity Conservation Alliance (NBCA) é intervenuta sul terribile incidente. “Come organizzazione dedicata alla protezione e alla conservazione della fauna selvatica in Nigeria, riconosciamo i rischi intrinseci associati al lavoro con gli animali selvatici”.

Credeva che il leone lo avesse riconosciuto

Ho parlato con alcuni suoi colleghi e mi hanno raccontato cosa è successo. Il leone ha attaccato per prima la sua collega – ha raccontato Wole Odewumi, presidente del NBCA -. Olawuyi è intervenuto per liberare la donna dal leone. Deve aver pensato che il leone lo avrebbe riconosciuto. Il suo intervento per liberare la donna deve aver fatto infuriare l’animale. Il leone ha lasciato la donna e lo ha aggredito”.

“Rimaniamo fermi nel sostenere il più rigoroso rispetto dei protocolli di sicurezza e delle linee guida. Sono stabilite per garantire il benessere sia dei guardiani della fauna selvatica che degli animali sotto la loro custodia”.

Africa ExPress
X (exTwitter): @africexp

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Dopo Cecil ammazzato anche Mopane, altro leone simbolo dello Zimbabwe

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USA e Russia si combattono anche in Centrafrica: mercenari russi Wagner contro quelli americani Bancroft

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
24 febbraio 2024

Come era prevedibile, in Centrafrica i mercenari russi del gruppo Wagner si stanno opponendo con veemenza al dispiegamento degli istruttori della società statunitense Bancroft Global Development.

Bancroft in Centrafrica

Lo scorso autunno il governo di Bangui ha firmato un accordo quadro con Bancroft per diversificare i suoi partner per la sicurezza e per ridurre l’influenza di Mosca ormai presente ovunque nel Paese. Le trattative con la società americana si sono svolte molto discretamente per non urtare i russi. La collaborazione con i contractor USA prevede oltre all’addestramento delle truppe centrafricana, la fornitura di intelligence e la creazione di una brigata volta alla protezione delle risorse naturali.

Ovviamente i miliziani russi non gradiscono la presenza degli americani, che a fatica stanno tentando di stabilirsi nella capitale. E, secondo quanto riportato da Africa Intelligence, a gennaio sono stati arrestati un rappresentante di Bancroft a Bangui e un consigliere del presidente Faustine Touadéra. Entrambi sono poi stati interrogati per ore alla base militare del campo Roux dai mercenari russi del gruppo Wagner e dalla polizia. I due sono stati liberati solamente dopo il diretto intervento del capo di Stato.

Dopo la firma del contratto quadro con Bangui, Bancroft non ha ancora potuto inviare gli istruttori nella ex colonia francese. Attualmente sono presenti solamente alcuni rappresentati della società statunitense, in attesa di direttive chiare sulla reale missione. I tentativi di intimidazione da parte di Wagner e dell’SVR (Servizio Informazioni Russo, uno dei tre servizi segreti di Mosca) sono stati esacerbati dalla rivelazione dell’accordo tra la società americana e il governo centrafricano. Questa situazione ha portato a un’escalation di tensioni, con importanti implicazioni diplomatiche e di sicurezza.

Le relazioni tra Russia e Stati Uniti, nonché la stabilità regionale, rischiano di essere compromesse da questa situazione di stallo a Bangui. Un nuovo sentore di guerra fredda si è aperto nella capitale centrafricana che contrappone il blocco russo a quello occidentale, rappresentato dall’UE e dagli USA.

I russi – e non solo i paramilitari – sono presenti ovunque nella ex colonia francese. Una decina di giorni fa il presidente Faustine Touadéra è partito alla volta di Mosca per partecipare a un forum sulla lotta contro il neocolonialismo. L’annuncio dell’adesione al meeting del capo di Stato centrafricano non è stato dato dal portavoce del presidente, bensì dall’ambasciatore russo accreditato a Bangui.

Centrafrica: mercenari del gruppo russo Wagner

Da mesi gli uomini di Vladimir Putin sono impegnati in una vasta campagna antiamericana dopo la firma preliminare dell’accordo con la società di sicurezza privata Bancroft. Sono state organizzate svariate manifestazioni e da ottobre a parecchi cittadini statunitensi è stato impedito di entrare nella Repubblica Centrafricana.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it

X: @cotoelgyes
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Cambio di mercenari in Centrafrica: addio ai russi, arrivano gli americani

 

L’Unione Europea cancella le Seychelles e altri 3 Paesi dalla lista nera dei paradisi fiscali

Africa ExPress
23 febbraio 2024

L’Unione Europea ha cancellato quattro territori dalla lista nera dei paradisi fiscali, tra questi anche le Seychelles, Stato insulare nell’Oceano indiano, oltre alle Bahamas (Paese caraibico, un arcipelago corallino nell’Oceano atlantico), le isole Turks e Caicos (Territorio d’oltremare del Regno Unito) e Belize (Stato nell’America centro-settentrionale).

Victoria, capitale delle Seychelles

La cosiddetta lista nera dovrebbe, in teoria, combattere l’evasione fiscale delle multinazionali e dei multimiliardari, ma tale meccanismo è sempre stata criticato aspramente dalle ONG perché ritengono tale provvedimento inefficace.

L’elenco degli Stati poco collaborativi in materia fiscale, perché non interessati a un dialogo costruttivo con l’UE o poiché non hanno mantenuto gli impegni presi per attuare le riforme necessarie, viene aggiornato due volte l’anno. Attualmente ne fanno parte ancora 12 giurisdizioni ritenute poco collaborative da Bruxelles: Samoa americane, Anguila, Antigua e Barbuda, Figi, Guam, Palau, Panama, Russia, Samoa, Trinidad e Tobago, Isole Vergini americane e Vanuatu.

La lista nera è stata creata nel dicembre 2017 dopo alcuni scandali, come Panama Papers e i LuxLeaks. L’inclusione di un Paese in questo elenco dovrebbe rendere più difficile il commercio con le aziende che vi hanno sede e prevede anche sanzioni, come il congelamento di fondi europei, contro gli Stati inclusi nel registro.

La ONG OXFAM da tempo considera questo strumento inefficace e senza senso e “lascia fuori Paesi a fiscalità zero come le Isole Vergini Britanniche e non passa al vaglio altri, come gli Stati Uniti e il Regno Unito, nonché paradisi fiscali dell’UE come Lussemburgo e Malta”, ha evidenziato Chiara Putaturo, esperta fiscale della ONG, in occasione dell’ultimo aggiornamento dell’elenco nell’ottobre 2023.

Ma anche alcuni eurodeputati sono piuttosto critici. “Se i ministri delle finanze dell’UE volessero davvero contrastare i paradisi fiscali, dovrebbero elaborare una serie di sanzioni pesanti per i Paesi inclusi nella lista”, ha dichiarato Markus Ferber, eurodeputato del Partito Popolare Europeo (destra) nel febbraio 2023. Allora l’UE ha aggiunto anche la Russia nell’elenco, nel contesto di varie sanzioni economiche contro Mosca, dopo l’inizio del conflitto in Ucraina.

Secondo un rapporto dell’Osservatorio fiscale europeo, pubblicato lo scorso ottobre, le multinazionali di tutto il mondo, non solo quelle europee, hanno trasferito oltre 1.000 miliardi di dollari nei paradisi fiscali nel 2022. Cifre da capogiro, che rappresentano il 10 per cento delle entrate fiscali a livello mondiale. E dagli anni 70 il deficit è in costante aumento.

Africa ExPress
X: @africexp
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Usa fiancheggia Israele alla Corte internazionale: no a fine occupazione West Bank

 

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
21 febbraio 2024

Sarà difficile che lo Stato palestinese veda la luce. Almeno a breve. Il presidente americano Biden da settimane dice che il governo israeliano deve contemplare la nascita di uno stato palestinese e che questo punto deve far parte delle trattative per la liberazione degli ostaggi. Ma gli Usa ieri sono intervenuti per dire che la Corte internazionale di giustizia, dove è in corso un processo sull’argomento (il verdetto è previsto per la fine dell’anno e sono 52 paesi appellanti), non può ordinare a Israele di lasciare la West Bank e Gaza se non ci sono le condizioni di sicurezza (per Israele).

Proprio oggi la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato a larghissima maggioranza la mozione del premier per il no a una dichiarazione unilaterale per la fondazione di uno stato palestinese e la fine dell’occupazione della Cisgiordania (99 a favore e solo 9 parlamentari contro).

Morale da mesi è evidente che il premier Benjamin Nethanyahu parla poco ma quando lo fa appoggia le decisioni dell’estrema destra della sua compagine governativa. L’ultima decisione presa è di vietare l’accesso ad uomini dai 10 ai 60 anni alla moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme per tutto il Ramadan. Risultato la piazza è militarizzata e la maggior parte dei fedeli non possono accedere. L’inizio, la metà, i venerdì e la fine del Ramadan erano l’occasione per chi sta nella West Bank per andare a Gerusalemme e a Gerusalemme est anni fa si vedeva arrivare a piedi una fiumana di gente che arrivava a celebrare i suoi riti. Tempi passati.

Gerusalemme Al-Aqsa
La moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme nella Città vecchia – foto Al Jazeera

Il governo al potere, criticatissimo sulla stampa (“il peggior governo della storia di Israele” scrive Haaretz), resiste e il partito minoritario Partito di Unità Nazionale alleatosi dopo l’attacco di Hamas non si stacca con la motivazione che andare subito a elezioni sarebbe un disastro. La verità è che tuti i sondaggi danno Netanyahu in calo e Benny Gantz in ascesa (uno dei leader di Uità nazionale appunto).

Benny Gantz -foto Times of Israel

I media progressisti dicono che il governo ultranazionalista sta buttando benzina sul fuoco: sta incentivando l’occupazione della West Bank con nuove colonie, sta distribuendo porto d’armi a chi lo chiede con grande liberalità col mantra “se tutti nei kibutz del Negev avessero avuto un’arma, l’assalto di Hamas sarebbe un’altra storia”, intende negare i diritti delle minoranze, compresi i drusi che infatti sono piuttosto preoccupati.


Ultimamente Netanyahu sta anche aspettando le scuse del primo ministro brasiliano Lula Ignazio da Silva che ha paragonato la strage nella Striscia di Gaza (29.195 morti il 20 di febbraio) alla Shoa, violando un altro tabù della storia di Israele e cioè l’unicità e irrepetibilità del Soluzione finale nazista.

In contemporanea il governo ha attaccato l’Unrwa anche dopo il licenziamento di 12 dipendenti (di cui alcuni defunti) sospettati di aver partecipato all’attacco del 7 ottobre. I principali finanziatori hanno sospeso le donazioni, compresa l’Italia che aveva ritenuto opportuno farlo già dopo il 7 ottobre. Ma nel giro di una settimana è emerso che secondo un rapporto militare israeliano ci sarebbe un’altissima percentuale di militanti di Hamas dentro all’Agenzia dell’Onu che si occupa dei rifugiati. Unrwa continua ad operare per ora, come leggiamo in un recente report: https://news.un.org/en/story/2024/02/1146597


Per delegittimare qualsiasi interlocutore internazionale pro Stato Palestinese e sventare l’ipotesi di un cessate il fuoco definitivo, sono piovuti attacchi anche contro la relatrice speciale dell’Onu per i territori palestinesi occupati, l’italiana Francesca Albanese, che come ricorda in questa intervista a Corrado Formigli a Piazza Pulita non ha accesso ai territori palestinesi di cui si dovrebbe occupare dal 2008:

La strategia del governo suprematista è evidente: attaccare tutte le agenzie dell’Onu, che potrebbero intervenire nel caso si volesse istituire uno Stato Palestinese accanto a Israele. Spariti tutti i mediatori lo Stato Palestinese, caldeggiato (forse) anche dagli Usa, non si fa. E infatti leggiamo su Jerusalem Post frasi come “sarebbe un regalo ad Hamas”, oppure creare uno stato palestinese vuol dire avere accanto nemici che ci attaccheranno anche in futuro, cercando di negare che i diritti dei palestinesi sono sempre stati parecchio risicati, che l’accesso alle risorse energetiche dipende sempre da Israele, che l’Autorità palestinese non ha mai potuto avere un porto neppure per la pesca, né sfruttare il gas naturale di sua competenza nel Mediterraneo.

Insomma la costruzione del nemico continua. Prima era l’Olp e Arafat. Oggi è Hamas. E il continuo ritorno all’assalto sanguinoso del 7 ottobre non fa che rinverdire l’odio. Ma la pace si fa con i nemici che si chiamino Hamas o altro.

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
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