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Sbarca ad Haiti la missione di sicurezza guidata dal Kenya

Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
6 luglio 2024

Il primo contingente della Missione di Sicurezza Multinazionale (MSSM – Multinational Security Support Mission), guidato dal Kenya e sostenuto dalle Nazioni Unite, è arrivato ad Haiti, quasi due anni dopo la disperata richiesta del Paese, volta a frenare l’aumento della violenza legata alle bande armate che scorrazzano ovunque.

Polizia e forze palamilitari kenyane ad Haiti [photo credit Al-Jazeera]
La comprensione del contesto locale e la mappatura del conflitto tra le gang, che controllano territori e quartieri, rimangono le più grosse sfide. Le domande chiave rimangono ancora senza risposta e permane la possibilità di danni civili ancora maggiori.

In seguito alle dimissioni dell’ex primo ministro haitiano, Ariel Henry, i colloqui politici avviati lo scorso anno sotto la guida della Comunità Caraibica (CARICOM), hanno portato alla creazione di un consiglio presidenziale transitorio, guidato da Gary Conille. L’attuale governo di transizione si è impegnato a indire elezioni e a cedere il potere all’inizio del 2026.

Secondo il documento operativo, redatto all’inizio dell’anno tra Kenya e Haiti, l’obiettivo della missione sarà quello di rendere le autorità haitiane credibili ed efficaci, con la capacità di mantenere le condizioni di sicurezza necessarie per elezioni libere ed eque.

Nessuna sequenza temporale, dunque, e mancano obiettivi generali. “Saranno le autorità haitiane a decidere dove gli agenti saranno dislocati e le regole di ingaggio. Si tratta di un contingente che risponde agli ordini della polizia nazionale e delle forze armate haitiane”. E’ quanto dichiarato dal ministro della giustizia e della pubblica sicurezza a Haiti, Carlos Hercule.

La struttura della forza e la mancanza di supervisione delle Nazioni Unite hanno sollevato interrogativi su chi avrà il controllo finale delle operazioni. Un approccio che si concentri esclusivamente sui gruppi armati haitiani e non sulle reti più ampie di sostegno tra le élite politiche ed economiche, otterrà solo vantaggi a breve termine.

La storia dei tentativi di stabilizzazione della pace ad Haiti riporta alla memoria la missione MINUSTAH (Mission des Nations Unies pour la Stabilisation en Haïti), marchiata da scandali, impunità e interferenze politiche dal 2004 al 2017, e la risposta degli haitiani oggi è un misto di entusiasmo, indifferenza e delusione. La storia mostra che quando forze straniere operano impunemente, il sistema di responsabilità diventa ancora più opaco e ancora più discrezionale.

Anche con solide garanzie, le cause profonde dell’insicurezza di Haiti non possono essere affrontate da un intervento di sicurezza straniero. Infatti, storicamente, gli interventi esteri sono serviti a prevenire le riforme necessarie e hanno rafforzato uno status quo intrinsecamente insostenibile. Senza un profondo cambiamento politico e un nuovo approccio sociale, adottato dapprima dagli Stati Uniti e poi dall’intera comunità internazionale, ci sono pochi motivi per considerare quest’ultimo intervento diverso dai fallimenti del passato.

Da anni la società civile haitiana e le organizzazioni civiche invocano un cambiamento sistemico, una rottura con il passato. La domanda è se questa forza straniera fornirà lo spazio agli haitiani per ottenere il cambiamento che desiderano o se sarà ancora una volta utilizzata dagli interessi internazionali per portare avanti gli affari come al solito.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Il giro del sesso in 86 Paesi tra diritti, divieti, trasgressioni e curiosità

Speciale per Africa ExPress
Luisa Espanet
Luglio 2024

E’ appena uscito “Viaggio nei costumi sessuali, 86 Paesi tra diritti, divieti, trasgressioni, curiosità” di Pietro Tarallo, giornalista e grande viaggiatore, edito da Erga Edizioni.

Per quanto l’autore sia un prolifico scrittore di guide, questo non lo è, è molto di più. E non solo perché è un libro polisensoriale per cui scaricando un app, con i vari QR code si possono vedere più di 1300 immagini e molti video.

Ma per la sua formula, accanto a informazioni ben documentate sui vari Paesi per quel che riguarda i diritti e i divieti, come dice il titolo, non solo legati al sesso, ci sono dei racconti.

Spesso in prima persona, introducono un tema o il modo di vivere e di praticare il sesso di un Paese, sempre con un coinvolgimento diretto. Il tono è ironico, incuriosente, intrigante, appena provocatorio, ma mai retorico o giudicante.

Ovviamente in questo viaggio non potevano mancare i Paesi africani, con le loro tradizioni e i loro costumi. Si scoprono realtà inimmaginabili, non sempre negative. Si sprofonda in altre drammatiche, che riguardano soprattutto la posizione della donna, non solo dal punto di vista del sesso, ma anche dei suoi diritti civili. Subito seguita dal tema degli omossessuali.

A completare il viaggio due capitoli: uno dedicato alla parole del sesso vecchie e nuove. Dalle più conosciute, di alcune delle quali Tarallo spiega l’origine, alle più nuove, per la maggior parte giapponesi o nate in Giappone che riguardano inedite pratiche sessuali.

Pietro Tarallo

L’ultimo capitolo è dedicato a “saperne di più” con libri The sex lives of African Women (dialogue Books) di Nana Darkoa Sekyiamah, attivista femminista ghanese che da più di dieci anni offre alle donne uno spazio per esplorare la propria sessualità, confrontarsi e imparare a liberarsi), siti(www.africarivista.it sul turismo sessuale fenomeno in aumento in Africa e www.efferivistafemminista.it sulle mutilazioni sessuali delle donne africane) blog, film e video sull’argomento. Nonostante le sue 530 pagine è un libro che si legge come un romanzo, informa, incuriosisce, alle volte commuove, altre indigna e alla fine in un post scriptum invita a riflettere.

Luisa Espanet
l.espanet@gmail.com
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Cinque stilisti africani i “Fab Five” alla conquista di Milano

Moda italiana e designer africani sempre più vicini

Quando Jane Birkin fece sognare Gaza

In Kenya i manifestanti non mollano: la polizia carica i dimostranti a Nairobi e Mombasa

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
3 luglio 2024

Anche ieri durante nuove proteste la polizia ha usato gas lacrimogeni e ha caricato i manifestanti che lanciavano pietre nel centro di Nairobi e di Mombasa. Nelle due città molte attività commerciali sono rimaste chiuse. I dimostranti sono scesi nelle strade e nelle piazze anche in molti altri centri del Paese.

Proteste contro il presidente William Ruto in Kenya

Le manifestazioni non si arrestano, malgrado William Ruto, presidente del Paese, eletto nel 2022, abbia accantonato la controversa proposta di legge finanziaria che prevedeva un forte aumento delle tasse. Ora le piazze chiedono con insistenza le dimissioni di Ruto.  La popolazione è ancora sconvolta per la brutalità e l’eccessivo uso della forza da parte della polizia per reprimere le proteste.

Secondo quanto riportato dalla associazioni per i diritti umani, dall’inizio delle dimostrazioni scoppiate in Kenya due settimane fa, sono morte 39 persone e 361 sono state ferite. Le peggiori violenze risalgono a martedì scorso, quando i manifestanti sono entrati in Parlamento, e hanno incendiato anche alcune ali dell’edificio.

E proprio durante quel fatidico martedì è stato ucciso dalla polizia anche un ragazzino di 12 anni, colpito da ben 8 pallottole. Il presidente è stato informato del fatto domenica scorsa, durante una tavola rotonda cui hanno partecipato anche alcuni giornalisti. E, in un primo momento Ruto ha chiesto se fosse ancora vivo. Poi ha precisato: “Prometto a sua madre di darle una spiegazione di quanto è realmente successo”.

Durante le manifestazioni di ieri (nei video quelle di Mombasa, dove ci sono stati due morti) sono state assai violente, secondo quanto riportato da NTV Kenya. Anche nella città costiera sono state chieste le dimissioni del presidente con slogan come: “Ruto must go”.

Alcuni membri del movimento di protesta, che apparentemente non ha leader ufficiali perché le manifestazioni vengono organizzate per lo più tramite i social media, hanno respinto l’appello al dialogo proposto dal presidente.

“Ruto parla solo di soldi, mentre la gente muore nelle strada. Siamo esseri umani, non denaro. Deve prendersi cura di noi, preoccuparsi del suo popolo. Se non è in grado di farlo, non deve occupare quella poltrona”, ha spiegato uno dei giovani ai reporter della Reuters durante le proteste a Mombasa.

Gli attivisti hanno attribuito le violenze di martedì a infiltrati che, a loro dire, sono stati sguinzagliati dal governo per screditare il loro movimento. La polizia keniota ha arrestato oltre 270 persone che si sarebbero spacciati per manifestanti, infiltrandosi nelle marce di protesta. Sei politici, un uomo d’affari e due ONG sono sospettati per aver presumibilmente alimentato le proteste antigovernative in corso.

Proprio a causa dei possibili infiltrati, molti attivisti hanno chiesto di annullare la manifestazione indetta per domani. “E’ ora di sedersi nuovamente a tavolino e riflettere sulle strategie da iadottare per mettere in risalto il vero obiettivo delle nostre proteste”, a spiegato uno di loro.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Vittoria eritrea al Tour: nuovi orizzonti del ciclismo africano

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
2 luglio 2024

”Bini”, vidi, vici”: così il sito ufficiale del Tour de France ha celebrato ieri, lunedì I luglio, la prima vittoria di un ciclista africano nero nella corsa a tappe più famosa al mondo. Giocando su uno dei più celebri lapidari messaggi della storia militare romana (“Veni, vidi, vici”, ovvero venni, vidi, vinsi), il sito ha paragonato Biniam Girmay a Giulio Cesare vittorioso nel 47 A.C. contro il re del Ponto.

Biniamin Girmay, eritreo, vince tappa del Tour a Torino

Biniam Girmay Hailu, 24 anni, eritreo, non è proprio un condottiero, ma a suo modo è entrato nella storia delle due ruote. Il suo successo a Torino, nella terza frazione, ultima in territorio italiano, della Grande Boucle alla 111° edizione, ha aperto nuovi orizzonti al ciclismo e non solo africano. Ha confermato che i confini delle corse in bici sono cambiati.

Nel marzo 2022, Bini era stato il primo corridore africano nella storia a conquistare una grande classica, la Gand- Wevelgem. Nel maggio successivo era stato il primo atleta nero a dominare una tappa del Giro d’Italia. (E poco male se subito dopo il tappo dello spumante celebrativo lo centrò in un occhio e lo costrinse al ritiro!). Aveva conquistato una frazione anche in Spagna, in Svizzera, mancava il primo posto nel Giro più ambito.

 “I corridori africani hanno qualche cosa di entusiasmante. Un nuovo sapore, un nuovo stile, una nuova speranza nel ciclismo”, aveva commentato qualche anno fa Alec Lenferma del KZN Cycling Development Camp in Sudafrica, intervistato per la serie di Olympics.com “African Revolution”.

Quell’entusiasmo, quel sapore si sono visti e gustati ieri sul traguardo di corso Galileo Ferraris di Torino, dove Bini ha bruciato i più grandi velocisti del pianeta, festeggiato da un folto e rumoroso gruppo di connazionali in estasi, ai quali il vincitore si è unito subito dopo l’arrivo.

Trionfo di Girmray a Torino, ultima tappa italiana del Tour de France

Girmay, sposato con Salime, papà di una bimba, Liela, ha dedicato il successo a tutta l’Africa: “Per anni ho pensato che queste corse fossero territorio esclusivo dei bianchi e degli europei – ha detto l’atleta della Intermarché-Wanty (squadra belga) trattenendo a fatica le lacrime – mai avrei pensato di prendervi parte, sognavo questa vittoria fin da bambino, sembra incredibile. Ringrazio la mia famiglia, tutti gli eritrei, gli africani, siamo orgogliosi tutti insieme. Questo successo significa molto per me, per la mia nazione, per tutta l’Africa. Ora facciamo davvero parte delle grandi corse. Abbiamo tante vittorie, è il nostro momento… Non piango mai, ma dentro lo sto facendo…”.

E ha aggiunto: “Ricordo che mio padre seguiva sempre il Tour e ce lo faceva vedere in Tv. Un giorno gli chiesi se fosse possibile parteciparvi. E lui mi rispose: “Insisti, ogni cosa è possibile”.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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Il Giro d’Italia rosa si colora di nero: vittoria epocale a Jesi del giovane eritreo Bimian Girmay Hailu

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Obesità in Africa, triplicati i casi e l’OMS dà l’allarme

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
1° luglio 2024

“L’obesità è in rapido aumento in Africa. Le tendenze sono le stesse per i bambini”. Sono le parole in video, senza fronzoli, di Adelheid Onyango, direttore dell’UHC/Healthier Population Cluster dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) per l’Africa.

obesità
Donne africane obese

“L’Africa ospita attualmente il 28 per cento dei bambini in sovrappeso al di sotto dei cinque anni. Ciò è causato da comportamenti alimentari non salutari, dalla mancanza di attività fisica e da altri fattori”, continua Onyango.

Triplicato il numero di obesi in Africa

Il Paese africano che ha il numero maggiore di obesi è l’Egitto. Secondo NCD-RisC (dati 2022) è obeso il 59 per cento delle donne e il 32,5 per cento degli uomini.

Nel 1990 l’obesità colpiva il 26,9 delle donne e il 13 per cento degli uomini. I dati riguardano gli adulti sopra i 20 anni che in tre decenni sono più che triplicati.

Mappa obesità femminile Africa
Mappa dell’ obesità femminile in Africa (Courtesy NCD-RisC)

Segue il Sudafrica che, nel 2022, ha contato l’obesità femminile al 47,3 per cento (nel 1990 era al 25,9). Gli uomini sono invece passati dal 4,2 per cento nel 1990 al 14,5 del 2022.

Negli ultimi decenni è notevolmente aumentato il consumo di cibi e bevande zuccherati ma anche di fast food ricchi di grassi saturi. A questi si aggiungono gli snack, le salse e l’aumento della quantità di sale. Il maggiore consumo di fast food è causato dall’aumento di reddito della classe media che permette di mangiare fuori casa, soprattutto nei grandi centri urbani.

Un’occasione che hanno preso al volo gli imprenditori locali. Tra questi Chicken Republic fondato in Nigeria nel 2004 che in tutto il Paese e in Ghana ha circa 150 ristoranti. Kilimanjaro, sempre in Nigeria nato nel 2004 è una catena di fast food con caratteristiche di cibo locale nigeriano con una cinquantina di ristoranti.

Mappa dell' obesità maschile in Africa (Courtesy NCD-RisC)
Mappa dell’ obesità maschile in Africa (Courtesy NCD-RisC)

Aumento delle malattie non trasmissibili

Secondo l’OMS le persone obese sono più a rischio di sviluppare gravi condizioni di salute come il diabete 2 e malattie cardiache. L’obesità favorisce anche alcuni tipi di cancro, tra cui quello al seno, al colon, all’esofago, al pancreas e al fegato. Da tener conto anche dell’isolamento sociale e le condizioni di salute mentale correlate.

L’unione fa la forza

Esiste un progetto messo a punto tra OMS e i governi di una decina di Stati dell’Africa meridionale e orientale.

Tra le iniziative a breve scadenza c’è la proposta per l’introduzione di un tassa sulle bevande zuccherate utile a diminuirne il consumo. Poi, limitare il marketing del cibo poco sano per i bambini sotto i cinque anni e rendere facile la lettura sulle etichette dei cibi.

obesità KFC in Ghana
Obesità, KFC in Ghana

La colonizzazione del pollo fritto

Un colosso americano da 30 mila ristoranti a livello mondiale ha conquistato l’Africa: Kentucky Fried Chicken (KFC) catena di fast food creata dal colonnello Sanders. Specializzato nel pollo fritto, nel 1972 ha aperto il primo punto vendita in Sudafrica e nel 1973 in Egitto. KFC è la catena di fast food che ha avuto maggiore successo nel grande continente: oggi ha circa 1.100 punti vendita aperti. Di questi, 960 sono in Sudafrica.

Gli altri ristoranti KFC li troviamo in 24 Paesi, dallo Zimbabwe al Marocco, dal Madagascar all’Angola, dalla Nigeria a Eswatini dal Mozambico all’Uganda. Ha vinto con la pubblicità che dice: “Leccatevi bene le dita”, che pare piaccia agli africani.

Per un’Africa con un sistema sanitario fragile l’obesità diventa un altro enorme problema.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Medici italiani in Congo-K ridanno il sorriso ai bambini affetti da malformazioni del viso

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
1° luglio 2024

L’est della Repubblica Democratica del Congo è da decenni teatro di conflitti. Le ricchezze del sottosuolo attirano non solo investitori stranieri. Sono “bocconi prelibati” anche per i Paesi confinanti, per non parlare dei numerosi gruppi armati, che controllano miniere artigianali, schiavizzano, opprimono e massacrano la popolazione residente.

A causa dei continui combattimenti che insanguinano l’est del Congo-K (le province del Nord-Kivu, Sud-Kivu e Ituri), le persone continuano a scappare dalle proprie case. Attualmente gli sfollati sono oltre 7 milioni, mentre 1,1 milioni hanno cercato protezione nei Paesi confinanti.

In questo contesto di grave insicurezza opera anche la ONLUS italiana, Progetto Sorriso nel Mondo, che dal 2008 ha instaurato una importante collaborazione con l’Hôpital Général De Référence d’Uvira nel Sud-Kivu, RD Congo. La ONG è attiva anche in Bangladesh dal lontano 1997, ma dopo, nel 2005, è approdata anche in Africa, prima nel Burundi ed in seguito nel Congo-K.

Progetto Sorrisi nel mondo nell’ospedale di Uvira

Presidente e cofondatore del Progetto Sorrisi nel Mondo, un’associazione internazionale impegnata nel trattamento e nella cura delle malformazioni cranio-facciali infantili, come la labiopalatoschisi (comunemente conosciuto come labbro leporino), è Andrea Di Francesco, medico responsabile della Chirurgia Maxillo-Facciale Pediatrica, all’ospedale San’Anna di Como.

Di Francesco è tornato poco meno di un mese fa da Uvira con la sua équipe, composta da due anestesisti, due chirurghi, due infermieri, due collaboratori addetti alla logistica e un ingegnere fotovoltaico.

Uvira, Sud Kivu, Congo-K
l’Hôpital Général De Référence d’Uvira

Dottor Di Francesco, tra il vostro team vediamo anche un ingegnere specializzato nel fotovoltaico. A che pro?

Laggiù la corrente elettrica subisce spesso lunghe interruzioni, anche laddove dovrebbe essere garantita, come negli ospedali. Per questo motivo nel 2017 nell’ospedale di Uvira abbiamo avviato il progetto EIS (Energia Informatizzazione Salute) e, in collaborazione con l’associazione Zero+ e STFoundation, è stata realizzata una Centrale fotovoltaica. La copertura energetica è così  garantita e ha permesso lo sviluppo dell’informatizzazione come previsto dal progetto EIS.

Quanti interventi avete effettuato durante quest’ultimo soggiorno? I risultati sono stati soddisfacenti ?

Abbiamo eseguito trenta operazioni chirurgiche in anestesia totale, tutte con esito positivo.

Progetto Sorrisi nel Mondo. In basso a destra Andrea Di Francesco

La vostra ONLUS è anche impegnata nella formazione del personale in loco?

Promoviamo la preparazione di infermieri, anestesisti e chirurghi. Il personale locale è molto motivato, ha una discreta preparazione di base ed è abituato a doversi districare anche in momenti critici con poche risorse a disposizione. Non si sente una mosca volare durante le lezioni teoriche, figuriamoci nell’ambito pratico. E, quando un bambino riesce a parlare, a sorridere, non di rado la loro emozione è pari a quella dei genitori stessi.

Chi si rivolge a voi, e come vengono selezionati i pazienti? Curate anche i piccoli provenienti dai campi per sfollati?

Noi curiamo tutti bimbi affetti da malformazioni cranio-facciali. Generalmente i familiari arrivano all’ospedale di Uvira, dove noi appunto operiamo, tramite il passa parola che arriva persino nei campi per sfollati.

ONG Progetto Sorrisi nel Mondo, a destra, Andrea Di Francesco

Ridare il sorriso ai piccoli, anche ai più sfortunati è il vostro leitmotiv. Come cambia la vita di un bambino in Africa affetto da queste gravi malformazioni?

Ogni bambino dovrebbe poter sorridere al mondo ed è lo scopo, il desiderio di ogni mamma, la famiglia tutta, che vuole solo il meglio per il proprio figlio.  In molti Paesi africani la malformazione viene vista come una maledizione. Noi riusciamo a ridare una vita vera e reale a molti, permettendo un inserimento nella società, la possibilità di frequentare la scuola.

Vista la situazione attuale nell’est del Congo-K, (violenza diffusa e continui massacri) il Paese permetterà a questi bimbi di mantenere il sorriso una volta cresciuti?

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
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Tutto pronto per l’evacuazione dei canadesi dal Libano

Speciale per Africa ExPress
Federica Iezzi
29 giugno 2024

In risposta alla sempre più incalzante escalation lungo il confine libanese, il Canada si sta preparando per quella che potrebbe essere la sua più grande operazione di evacuazione, volta a salvaguardare circa 45.000 cittadini canadesi attualmente residenti in Libano.

Confine Israele-Libano [Photo credit Arab News]
E’ quanto discusso dal ministro degli esteri canadese, Mélanie Joly, con la sua controparte israeliana, Israel Katz. Joly ha informato Katz che Ottawa ha già inviato forze militari nella regione, sottolineando la serietà con cui il Canada vede la potenzialità di un conflitto.

Le misure di pianificazione adottate nei confronti dei cittadini canadesi in Libano non sono cambiate di recente. Le stesse misure sono in vigore dall’inizio delle tensioni al confine meridionale del Libano.

Katz, a sua volta, con il consueto vocabolario ispirato alla propaganda dell’odio, ha esortato il Canada a esercitare pressioni diplomatiche sull’Iran, il principale sostenitore di Hezbollah, per prevenire un’ulteriore progressione delle ostilità.

Sebbene i piani per l’evacuazione dei canadesi dal Libano siano ben avviati, non è ancora chiaro se siano in corso preparativi simili per i circa 35.000 cittadini canadesi residenti in Israele.

Il Kuwait, seguendo la rotta delineata dal Canada, sta esortato i suoi cittadini a lasciare il Libano. Così come anticipato dal Canada, in uno sviluppo correlato, il ministero degli esteri del Kuwait ha rinnovato il suo appello ai cittadini per evitare di recarsi in Libano, a causa degli sviluppi relativi alla sicurezza regionale.

L’accresciuta tensione fa seguito all’approvazione, da parte dell’esercito israeliano, di piani operativi per un attacco su larga scala in Libano. In risposta, Hassan Nasrallah, leader della milizia sciita, ha minacciato di combattere contro lo Stato israeliano “senza restrizioni né limiti”.

Qualsiasi decisione irresponsabile, da parte del regime occupante israeliano, potrebbe far precipitare la regione in una nuova guerra, la cui conseguenza sarebbe la distruzione di ampie aree lungo il confine tra il Libano e le alture del Golan in Siria, occupate illegalmente da Israele dal 1967 (RES/497 – 1981).

Amos Hochstein, inviato speciale della Casa Bianca per il Medio Oriente, avrebbe avvertito Beirut che se Hezbollah non cessa i suoi attacchi al nord di Israele, potrebbe affrontare un’operazione israeliana limitata, sostenuta dagli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti stanno cercando di raggiungere un accordo tra Israele e Libano, che comporterebbe il ritiro di Hezbollah dalle zone contese e il riposizionamento oltre il fiume Litani, a circa 30 chilometri a nord del confine. Per il momento, Hezbollah ha rifiutato l’opzione e insiste sulla difesa transfrontaliera, contro Israele, fino ad un completo cessate il fuoco sulla Striscia di Gaza.

Anche il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha lanciato l’allarme, avvertendo che il rischio di estensione del conflitto in Medio Oriente è reale e criticando la retorica belligerante di Israele e Hezbollah.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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Altri articoli sulla guerra a Gaza li trovate qui

Gaza: oltre due milioni di persone stanno morendo di fame

Speciale per Africa ExPress
Alessandra Fava
Giugno 2024

Gaza sta morendo di fame. Lo scriviamo da mesi. Già a febbraio si prevedeva che mancasse del cibo. Siamo a luglio. OXFAM calcola che manchi cibo al 96 per cento della popolazione. L’organizzazione la cataloga come “malnutrizione acuta” e riguarda ora 2 milioni e 150 mila persone.

Israele ha un po’ aperto i rubinetti facendo entrare alimenti diretti a nord, ma a sud, al varco commerciale di Kerem Shalom, i cronisti contano più di mille TIR di aiuti fermi sotto il sole e in fase di controllo. Il poco che entra è saccheggiato dalla popolazione, esasperata per le condizioni disumane in cui è costretta a vivere, e/o dalle gang di Gaza. Non è chiaro – sottolinea la BBC – se i cartelli della criminalità organizzata siano affiliati ad Hamas o ai clan gazawi.

Gente in fila per ritirare cibo

La BBC riporta che secondo il coordinatore degli Affari commerciali dell’agenzia delle Nazioni Unite, OCHA, Georgios Petropoulos, la scorsa settimana in una sola giornata siano stati rubati tre quarti delle merci in entrata a Gaza. E si continuano a registrare bambini morti per fame . Gli ultimi tre a Beit Lahiya nel nord della Striscia. Così al 26 di giugno il governo di Hamas calcola che i decessi siano saliti a 37.718.

https://www.bbc.com/news/articles/cv22ymmp46ro

Israele dichiara che i varchi sono aperti ma la merce non entra. A Gaza mancano sia l’acqua sia la benzina. Il carburante serve per distribuire gli aiuti ma anche per soccorrere i feriti dopo i bombardamenti. Da Gaza non escono neppure i malati. Secondo Rik Peeperkorn, rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) per l’enclave palestinese e la Cisgiordania, da Gaza andrebbero evacuate almeno diecimila persone per cure mediche urgenti: si tratta di vittime di guerra o di malati gravi. “Abbiamo bisogno di più percorsi per l’evacuazione di emergenza medica: vorremmo vedere Kerem Shalom e altri valichi aperti”, ha commentato Peeperkorn.

A Gaza manca l’acqua potabile (fonte Ocha)

Per altro continuano i bombardamenti nella zona sud di Rafah ma anche in altre aree, mentre il governo Netanyahu prevede di proseguire fino alla sconfitta finale di Hamas.

Per quanto riguarda gli ostaggi, non si fermano le manifestazioni a Tel Aviv e in altre città israeliane, dopo la minaccia di aprire un secondo fronte contro Hezbollah in Libano. Secondo fonti americane, gli ostaggi sopravvissuti a Gaza sarebbero una cinquantina.

E mentre in Europa si susseguono manifestazioni contro il traffico di armi, come quella del 25 luglio a Genova, Al Jazeera mostra prove di forniture di razzi ed esplosivi ad Israele da parte di un’azienda indiana, proprio per la guerra a Gaza. Il Solidarity Network Against the Palestinian Occupation (Rescop), con sede in Spagna, ha monitorato un cargo Borkum, bloccato a maggio nella penisola Iberica, dopo aver caricato esplosivi a Chennai in India. Stesso viaggio e stesso tragitto per il Marianne Danica.

A Gaza avrebbero trovato un missile esploso con la scritta: made in India. E in effetti l’azienda indiana Premier Explosives Limited T Chowdary, avrebbe ammesso con gli azionisti forti incrementi di esportazioni verso Israele negli ultimi mesi. Al Jazeera sostiene che sia coivolta nel traffico anche Adani Elbit Unmanned Aerial Vehicles Complex (UAV) di Hyderabad, una joint-venture tra l’Adani Defence & Aerospace, il ramo difesa dell’azienda Adani Enterprises, e l’israeliana Elbit Systems.

Alessandra Fava
alessandrafava2015@libero.it
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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In Kenya la gente ha vinto: le proteste di piazza organizzate sui social (Instagram e TikTok)

NEWS ANALYSIS
Michael Backbone
Nairobi, 25 giugno 2024

Il Kenya è stato investito nei giorni scorsi da un’ondata di proteste di strada e manifestazioni in risposta alla proposta di legge finanziaria che il Parlamento avrebbe dovuto approvare entro la fine di giugno.

Kenya, Nairobi incendiate alcune ale del Parlamento

La legge finanziaria, che definisce l’ossatura della politica economica di un Paese per l’anno a venire, avrebbe dovuto entrare in vigore 1° luglio 2024 ma le manifestazioni di piazza hanno indotto il presidente William Ruto a soprassedere e non promulgarla.

La società civile ha segnalato il suo malcontento, facendo eco a un’ondata generalizzata di insoddisfazione che covava dal primo momento in cui il progetto di legge è stato pubblicato.

La situazione economica del Kenya ha sofferto parecchi rovesci nell’ultimo anno, primariamente dettati da un allineamento forzato ai dettami di politica fiscale “suggeriti” dal Fondo Monetario Internazionale dall’insediamento del nuovo Presidente Ruto nell’agosto del 2022: il debito estero del Paese assestandosi a circa 45 Miliardi di dollari accoppiato a un crollo del tasso di cambio dello scellino keniota contro le valute forti, ha creato una spirale inflazionistica che ha forzato il governo economico del Paese ad adottare misure impopolari nel corso del 2023/24 quali l’aumento del prezzo dei carburanti e dell’elettricità, seguiti nella legge finanziaria in via di approvazione da una politica fiscale di aumentato rigore per adeguarsi alle direttive FMI e così potere rifinanziare il debito sovrano del Paese.

Kenya: inflazione galoppante

Bisogna sapere che le importazioni keniote, dalle fonti di energia fossile all’alimentazione ai farmaci sono circa tre volte in valore di quelle esportate, primariamente prodotti della floricoltura e agricoltura: in sostanza per ogni container in partenza dal Kenya verso l’estero, tre entrano nel Paese.

Lo squilibrio e la dipendenza dal commercio estero sono stati la misura che ha spinto il Governo a politiche fiscali draconiane, quali l’applicazione dell’IVA a generi di prima necessità quali il pane.

La percezione della società civile, delle associazioni di categoria e industriali, della stampa del Paese e perfino dal clero, è stata che la politica economica era sospinta da un correre ai ripari stangando il contribuente Keniota con tasse e balzelli, per ricercare fonti di introito per ripianare parzialmente il debito estero, vicino al 40 per cento del prodotto interno lordo.

I giovani in particolare hanno organizzato manifestazioni pacifiche di protesta nelle strade della Capitale e di Mombasa represse con difficoltà dalle forze dell’ordine mediante lacrimogeni e idranti, ma la cosa interessante è che per la prima volta queste manifestazioni sono state chiamate tramite i social, TikTok e Instagram in particolare. I social in Kenya sono diffusissimi. Secondo recenti dati, li usa il 94 per cento della popolazione.

I primi dunque a manifestare il malcontento pubblicamente sono coloro i quali si sentono maggiormente esclusi dalle politiche del Governo, senza accesso al mondo del lavoro, con prospettive di crescita smorzate dall’incombente legge finanziaria e delusi dalla leadership del Presidente Ruto, il quale aveva fatto dei giovani della “GenZ” un gran pilastro del suo manifesto politico e visione del futuro.

E i giovani stanno rispondendo, facendo sentire la loro voce e finalmente influenzando il dibattito politico che sarà giudicato proprio su quanto gli interessi dei cittadini siano veramente a cuore della classe politica dominante.

In queste condizioni le scelte del presidente e della sua compagine politica sono state limitate: pur avendo la maggioranza assoluta in Parlamento, non ha voluto inimicarsi la fetta sempre più consistente di primi elettori che lo ha beneficiato con la Presidenza e non si è piegato ai diktat del ministro delle Finanze Njuguna Ndung’u e soprattutto dell’elefante nella stanza, poiché il Paese l’anno scorso si è presentato all’FMI con il cappello in mano chiedendo assistenza tecnica per l’elaborazione di un programma definito MTRS ovvero “Medium Term Revenue Strategy”. Il Kenya è in ostaggio della politica dei “prestiti-contro-riforme” necessaria per rintuzzare il debito.

C’è chi dice che il presidente sia ostinato, che non ascolti i suoi consiglieri, altri che invece affermano che la proposta di austerità contenute nella finanziaria avrebbero richiesto alla popolazione troppi sacrifici: rimane certo che le premesse sulle quali questa legge è stata preparata hanno enormemente sopravvalutato la capacità di reazione dell’economia keniota, definendo obiettivi irrealistici sia in crescita, ma soprattutto nei conseguenti ricavi da reddito fiscale.

Nel frattempo, la GenZ dice la sua in modo pervasivo e capillare tramite le reti sociali e la resistenza civile.

È difficile ipotizzare come evolverà questo scenario perché la situazione è estremamente fluida: per il momento gli scontri di piazza hanno messo in evidenza la forza repressiva del Governo, che però ha reagito alle lamentele proveniente da tutti i settori della società. Ma questo malcontento potrebbe degenerare, a meno che sia il Governo sia i suoi finanziatori non optino per misure meno coercitive e maggiormente diluite nel tempo.

Forse sarebbe ora che le politiche fiscali dettate a tavolino dagli esperti “dell’assistenza tecnica” FMI tenessero maggior conto del potenziale industriale da creare sul continente per renderlo maggiormente sovrano: forse in questo senso la filosofia del Piano Mattei ha i suoi meriti.

Michael Backbone
michael.backbone@gmail.com
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Africa ExPress
26 giugno 2024

Dopo i toni accesi di ieri, oggi il presidente del Kenya, William Ruto, ha usato parole più concilianti durante il suo discorso alla nazione, il secondo in meno di 24 ore.

Proteste in Kenya 25 giugno 2024

Il capo di Stato ha

annunciato di non aver firmato la controversa legge Finance Bill 2024, che ieri è stata approvata dai deputati, mentre le proteste incalzavano in tutto il Paese.

I manifestanti hanno fatto irruzione in Parlamento, vandalizzando gli interni e incendiando parti del complesso. La mazza cerimoniale, simbolo dell’autorità del potere legislativo, pare sia stata rubata.

Ieri la polizia, che nella serata ha ricevuto rinforzi dall’esercito, ha cercato di disperdere i manifestanti dapprima con gas lacrimogeni, idranti e pallottole di gomma. Più tardi, quando i giovani si sono avvicinati al Parlamento, hanno iniziato a utilizzare pallottole vere. Il bilancio di martedì è davvero pesante. Secondo la Commissione Nazionale per i Diritti Umani del Kenya (KNHRC), finanziata dallo Stato, durante le proteste di ieri, sono state uccise almeno 22 persone.

Durante il suo discorso odierno Ruto ha spiegato in modo chiaro perché ritiene necessario l’aumento delle tasse. La proposta di legge fa parte degli interventi del governo per ridurre l’enorme debito del Paese, che ammonta a più di 80 miliardi di dollari e che costa al Paese più della metà del suo gettito fiscale annuale.

Nuova manifestazione indetta per domani, 27 giugno 2024

Il presidente ha poi aggiunto che la sua amministrazione ha fatto grandi passi in avanti ed è in procinto di “affermare la sovranità” rimborsando i debiti. “Ma, ha sottolineato, sono anche alla guida dei kenyani, e il popolo si è espresso contro la legge finanziaria”.

 

Malgrado “le buone intenzioni” del capo di Stato, che ha dichiarato di essere pronto al dialogo, pare che le proteste continueranno. La prossima manifestazione è stata annunciata per domani. I giovani non si fidano del presidente, gli slogan “Ruto must go” continuano a echeggiare sui social network. Anche se il leader del Kenya ha dichiarato di non aver firmato la legge finanziaria, non significa che questa sparisca nel nulla. Secondo la Costituzione del Kenya il presidente non ha il potere di ritirare una legge. E’ un compito che spetta esclusivamente al Parlamento.

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