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lunedì, Aprile 7, 2025

Atleta etiope corre appena dopo il parto e trionfa alla maratona di Milano

Dal Nostro Corrispondente Sportivo Costantino Muscau 6 aprile 2025 Milano...

La scure di Trump si abbatte anche sui suoi fan

Speciale per Africa ExPress Cornelia I. Toelgyes 4 aprile...
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Eritrea, an out cry which has been given deaf ears and blind eyes

Special for Africa ExPress
The refugees from Negad detention centre Djibouti
Nairobi, 21 January 2014

The detained people in Negad refugees camp in Djibouti (the majority of them are from Eritrea) wrote this appeal to Africa ExPress. The people detained in the camp (120 refugees) escaped from one of the most terrible and authoritarian regime in the world, described by many organizations as an hell. This message that we publish is coming from inside the prison and has been sent to us under very difficult and eventful means. The people who sent us this story asked us to share widely.
Africa ExPress

La draconiana legge antigay varata in Nigeria mette tutti d’accordo: cristiani e musulmani

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Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
19 gennaio 2014
La Nigeria è una confederazione di 36 stati; i cristiani rappresentano il 40 per cento della popolazione, i musulmani il 50 per cento, mentre gli animisti il 10 per cento. Molto spesso i vari gruppi religiosi sono in lotta tra loro. Migliaia di morti ogni anno (vedi anche nostri articoli su africa-express.info: Boko Haram e altre guerre di religione), ma questa volta sono tutti – o quasi – d’accordo: il 90 per cento della popolazione nigeriana – secondo un sondaggio – è contraria alle unioni tra persone dello stesso sesso.

Forte dell’opinione pubblica, il presidente nigeriano Goodluck Jonathan ha firmato le nuove draconiane norme anti-gay nei giorni scorsi. “Questa legge è in linea con ciò che il nostro popolo ha espresso. Rappresenta i nostri credo religiosi, i nostri valori e la nostra cultura”, conferma Reuben Abati, portavoce del presidente.gay con magliette

La corruzione sfrenata è endemica nel Paese, ma il presidente non ci pensa neanche a varare una legge che possa severamente punirla. No, la priorità sono le norme per colpire gli omosessuali, mentre il Paese è governato da una classe politica rapace quanto imbelle.

Amensty Internatonal ed altri gruppi che operano nella difesa dei diritti umani hanno subito preso posizione. E’ una legge discriminante che porta conseguenze catastrofiche per gay, lesbiche, bisessuali, trans. La legge prevede fino a 14 anni di detenzione per coloro che contraggono unioni dello stesso sesso anche all’estero e 10 anni per coloro che sono iscritti ad associazioni gay o mostrano la loro “diversità” in pubblico.

Anche il segretario generale dell’ONU Ban-Ki-Moon ha espresso le sue preoccupazioni a proposito delle leggi anti-gay nigeriane e sottolinea che la minoranza dei cittadini con preferenze sessuali diverse sono a rischio di non poter usufruire dei diritti civili essenziali.

La polizia dello stato del Bauchi ha già arrestato 11 uomini gay nelle ultime settimane, come confermato dal capo della commissione per la Sharia, Mustapha Baba Ilea, il quale però sottolinea (bontà sua) che nessuno di questi 11 uomini è stato torturato o picchiato.Goodluck Jonathan sul podio

Mentre Dorothy Aken’Ova, direttore esecutivo dell’International Centre for Reproductive Health and Sexual Rights, centro che, tra l’altro, da anche assistenza legale agli omosessuali, riferisce che durante il periodo di Natale la polizia ha arrestato quattro uomini, torturandoli, per estorcere nomi di altri, appartenenti a gruppi ed organizzazioni gay.

Non ha dato dettagli sulle torture subite dai detenuti, ma aggiunge che nel frattempo ne sono stati arrestati altri 38 e altri 168 sono ricercati.

La Nigeria è un paese con una forte incidenza di AIDS. I più colpiti sono i cittadini con preferenze sessuali diverse. Con la nuova legge i sieropositivi potrebbero non poter più accedere alle cure essenziali, alla prevenzione, senza essere segnalati.

Siamo tornati al periodo dell’Inquisizione in molti paesi africani. Inquisizione in chiave moderna, i risultati saranno forse anche peggiori.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
twitter @cotoelgyes

Navi libiche contro i migranti. Paga l’Italia

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Antonio Mazzeo
15 gennaio 2014
Sei milioni e mezzo di euro in nove mesi per addestrare gli uomini della Guardia costiera libica a contrastare le imbarcazioni di migranti in fuga dal continente africano. È quanto è stato stanziato dal governo Letta con i due decreti approvati, rispettivamente, il 5 dicembre 2013 e il 10 gennaio 2014, e che hanno consentito di prorogare la partecipazione delle forze armate e di polizia italiane in missioni operative all’estero.

Atleta etiope corre appena dopo il parto e trionfa alla maratona di Milano

Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
6 aprile 2025

Milano si conferma sinonimo di Kenya: la maratona che parte e arriva sotto la Madonnina ha un podio maschile tutto nero, rosso, verde con le due strisce bianche. Come in quasi tutte le 22 precedenti edizioni, la gara dei 42,195 km disputatasi nella calda mattinata del 6 aprile, è stata vinta da un atleta di Nairobi, Leonard Langat, 34 anni, seguito dai connazionali Isaac Kipkemboi Too, 30 anni, e Timothy Kosgei Kipchumba, 28.

I keniani dominano la gara

Leonard Langat, Kenya, primo classificato alla Milano Marathon 2025

Il dominio keniano è stato confermato da altri 5 classificatisi nei primi 10. Non solo. La top 10 maschile è ricca solo di runners africani: Eritrea (quarto posto per l’esordiente Aron Kifle in 2h09’39”), Uganda ed Etiopia.

Langat, già primo a Vienna (2021) e due volte sul podio alla mezza maratona Roma Ostia (nel 2016 e nel 2022), è scappato negli ultimi due km e ha concluso col tempo di 2h08.38, invano inseguito da Kipkemboi giunto con soli 7 secondi di ritardo (2h08’45”). Il vero sconfitto è il terzo, Timothy Kosgei Kipchumba arrivato dopo oltre un minuto, che veniva dato come favorito.

“Sono venuto qui per ottenere il risultato pieno – ha commentato Langat dopo aver tagliato il traguardo –. Sapevo di avere una buona condizione e ho volutamente atteso gli ultimi due chilometri per attaccare. Ringrazio Milano per il tifo che mi ha accompagnato lungo il percorso”.

Milano, percorso più veloce d’Italia

Un percorso che alcuni osservatori, esagerando, decantano come il più veloce al mondo, in una città diventata (nientemeno) capitale mondiale dei runners: è solo il più piatto e veloce d’Italia e Milano ne ha ancora da fare di…strada per raggiunge Boston, Chicago, Londra, per non parlare di New York.. Sicuramente questa maratona non molto generosa con i dominatori, se raffrontato a quanto “pagano”, appunto, le maratone più celebri: appena 13 mila euro al primo, 6500 al secondo, 3 mila euro al terzo. Senza distinzione di sesso, naturalmente.

Prima gara dopo il parto

L’etiope Shure Demise vince la gara femminile alla Milan Marathon 2025

In campo femminile i 13 mila euro vanno all’etiope Shure Demise Ware, 29 anni, che, sola soletta, taglia il traguardo in 2h 23’31” (il tempo migliore segnato in territorio italiano) lasciandosi alle spalle la kenyana Joan Jepkosgei Kilimo (2h25’32”) e l’altra etiope giovanissima Alemtsehay Mekuria Alamirew, 19 anni, in 2h27’23”.

Shure Demise, però, era particolarmente soddisfatta non tanto per il modesto premio in danaro, quanto perché, ha rivelato “Era la prima maratona dopo la gravidanza e non conoscevo il mio valore effettivo. Sono quindi estremamente felice per il tempo ottenuto, che mi rende fiduciosa per il futuro. Mi alleno ogni giorno con campionesse del calibro di Tigist Assefa (ex campionessa mondiale) e la campionessa attuale Amane Beriso. Un vero stimolo per migliorare”.

E’ doveroso sottolineare come i tre kenyani finiti sul podio e le tre prime donne facciano parte tutti di tre “scuderie” gestite da italiani: Rosa, Saverio e Volare.

Anche se la maratona milanese non ha fornito risultati esaltanti rispetto ad altre competizioni mondiali, ha caratterizzato, comunque, una grande festa di “popolo”.

Oltre 10mila partecipanti

Grande partecipazione alla Maratona di Milano 2025

E’ stata un successo che cresce di anno in anno con 10.200 partecipanti, ai quali si aggiungono i 16mila della staffetta, il 56 per cento dei quali stranieri. Ben 106 le nazioni rappresentate; dopo l’Italia, il maggior numero di partecipanti è arrivato da Francia, Gran Bretagna, Germania, Belgio, Irlanda. A livello italiano, il 59 per cento proviene dalla Lombardia, poi Piemonte, Puglia, Emilia Romagna, Lazio e Toscana. Tra le province svetta Milano, con 1.200 runner, seguita da Monza e Brianza (300), poi Varese, Torino, Como, Bergamo e Roma per un totale di 107 province.

Dimenticavamo: ai primi italiani, Roberto Patuzzo, (diciannovesimo in 2h27’01) e Daniela Valgimigli sono andati 1200 euro a testa.

Costantino Muscau
muskost@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Alla Maratona di Milano il podio è tutto africano

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Pretoria si avvicina a Cina e Russia, condanna Israele e Washington espelle l’ambasciatore sudafricano

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
6 aprile 2025

I dazi del 30 per cento sono l’ultimo sgradito “regalo” annunciato il 2 aprile dal presidente americano, Donald Trump, al Sudafrica. Queste pesanti tasse seguono cronologicamente l’espulsione dell’ambasciatore sudafricano in USA, Ebrahim Rasool, del 14 marzo come “persona non gradita”.

Il caso Rasool

La “cacciata” dell’ambasciatore, molto rara in diplomazia, è avvenuta dopo le critiche di Rasool. Aveva dichiarato che Trump e il suo seguito sono un movimento “suprematista” che proietta il “vittimismo bianco”. I due episodi sottolineano l’atteggiamento ostile del gigante americano verso il Paese arcobaleno.

Ebrahim Rasool
L’ambasciatore Ebrahim Rasool al suo ritorno in Sudafrica dopo l’espulsione dagli USA

“Essere persona non grata è per me un distintivo di dignità – ha affermato l’ambasciatore appena arrivato in Sudafrica -. È il  sigillo dei nostri valori e ci conferma che abbiamo fatto la cosa giusta: ci siamo impegnati nella difesa dei diritti umani”

Il presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, dopo il licenziamento del suo ambasciatore, via X, ha confermato la politica estera del Sudafrica. “Il nostro impegno per i diritti umani definisce la nostra politica internazionale o estera. E questo è ciò che siamo, come sudafricani”, ha sostenuto.

Un impegno che il Sudafrica ha espresso il 29 dicembre scorso, denunciando Israele di genocidio a Gaza alla Corte internazionale di giustizia (CIG). Cosa che gli USA, amici di Israele, non hanno gradito e ha fatto imbestialire Donald Trump insediatosi come 47° presidente il 20 gennaio scorso.

Resa dei conti

Il presidente americano e il suo uomo di fiducia, il miliardario sudafricano Elon Musk, stanno mettendo in atto la resa dei conti. La denuncia alla CIG contro Israele ha innescato una pesante reazione contro il Sudafrica. A febbraio scorso Trump ha firmato un ordine esecutivo che tagliava gli aiuti finanziari degli Stati Uniti a Pretoria.

“Il Sudafrica dovrebbe essere un alleato dell’Occidente democratico. Invece, si sta comportando in modo più allineato con la Cina, la Russia e l’Iran”. Sono  le parole di Joel Pollak, commentatore politico conservatore americano di origine sudafricana, che lavora per Breitbart News, giornale dell’estrema destra USA. Le dichiarazioni di Pollak sono state rilasciate a BusinessTech, quotidiano sudafricano online, per confermare la posizione dell’amministrazione Trump.

Gli afrikaner

Musk ha rincarato il conto verso il Sudafrica accusandolo di razzismo contro la minoranza bianca afrikaner, discendente dei coloni olandesi arrivati in Sudafrica nel 1600.

Trump ha offerto asilo negli Stati Uniti alla minoranza bianca indicandola come vittima dell’apartheid al contrario. Circa 67 mila afrikaner, hanno espresso interesse per l’offerta di diventare rifugiati degli Stati Uniti.

Ma ora gli eredi dei primi olandesi chiedono di più. I rappresentanti di Orania, paesino tutto afrikaner di 3.000 abitanti, sono andati negli USA. Chiedono che Donald Trump li aiuti a diventare uno Stato indipendente.

Sudafrica e i BRICS

Non dimentichiamo il Paese di Mandela, dal 2010 fa parte del gruppo  delle economie emergenti (BRICS) composte da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica.

Oggi il gruppo è diventato BRICS+ perché ne fanno parte anche Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia, Iran (2024), Indonesia (2025).E la presenza del Sudafrica con Russia, Cina e Iran non è molto gradita agli Stati Uniti.

mappa provincia del Capo-False Bay
Mappa della provincia del Capo e la posizione si Simon’s Town nella False Bay (Courtesy GoogleMaps)

Le manovre militari

A Washington non sono piaciute le manovre militari navali della marina sudafricana con Russia e Cina. La prima “Esercitazione Mosi” si è tenuta a Città del Capo nel novembre 2019. La seconda “Esercitazione Mosi II” si è svolta nel febbraio 2023 al largo del KwaZulu-Natal, tra Durban e Richards Bay. Questa non gradita nemmeno all’Unione Europea visto che eravamo in piena occupazione russa dell’Ucraina.

Ricordiamo che il Sudafrica e l’African National Congress (ANC) che governa il Paese dal 1994, hanno un debito di riconoscenza verso Mosca e Pechino. Sono i Paesi che hanno supportato il popolo sudafricano nero ad uscire dall’apartheid.

Il porto di Simon’s Town

Secondo Joel Pollak, la piccola Simon’s Town, nella False Bay, Capo occidentale, ha un porto strategico. È diventata un punto geopolitico chiave in una battaglia internazionale tra Stati Uniti e Cina.

Infatti, le navi militari cinesi e russe nelle manovre del 2019 si sono appoggiate a quella base militare navale, la più importante del Sudafrica.

La base militare sudafricana è situata sul punto di incontro tra l’Oceano Atlantico e l’Oceano Indiano. Un porto che fa comodo alla Cina, Paese amico di Pretoria. E anche questo agli Stati Uniti non piace per niente.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

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Altra vittoria di Putin: a febbraio in Sudafrica manovre militari marine con Russia e Cina

Terminate le seconde esercitazioni navali in Sudafrica con Russia e Cina in salsa anti-occidentale

Orania, città in Sudafrica per soli afrikaner, vietato l’ingresso a altre etnie

 

La scure di Trump si abbatte anche sui suoi fan

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
4 aprile 2025

Il mese scorso il presidente USA, Donald Trump, aveva descritto il Lesotho come un Paese del quale “Nessuno hai mai sentito parlare”. Ora il piccolo Regno è stato nuovamente preso di mira da Washington. Il Paese è destinatario di un dazio commerciale del 50 per cento, il più alto della lunga lista dei governi presi di mira dalla nuova amministrazione.

Quindi da oggi, tutte le merci provenienti dal Lesotho pagheranno all’ingresso in America una tassa piuttosto alta che poi sarà caricata sul consumatore finale. Tra queste le magliette utilizzate dai fan di Trump sui campi dal golf.

Gli stabilimenti del Regno hanno avuto commesse anche per brand famosi, come i jeans Levi’s. Hanno anche prodotto le magliette per la Greg Norman Collection. Fondata nel 1992, l’azienda è leader nella commercializzazione di abbigliamento ispirato al golf e la sua collaborazione con i Trump Golf Club è di lunga data.

Economisti avvertono

Secondo alcuni economisti, i nuovi dazi sono come una condanna “a morte” economica per il Paese, già colpito dai recenti tagli dei finanziamenti USA.

Stabilimento tessile nel LesothoL’export verso gli Stati Uniti – per lo più diamanti e prodotti tessili – nel 2024 ammontava a 237milioni di dollari, ossia oltre il 10 per cento del PIL del Lesotho.

Fine di AGOA

Dunque le nuove misure introdotte da Washington significano la fine di African Growth and Opportunity Act (Agoa). Un piano commerciale che permetteva ai Paesi africani ritenuti idonei di inviare determinate merci negli Stati Uniti senza pagare le tasse. Tra questi anche il Lesotho, le cui fabbriche tessili hanno creato molti posti di lavoro negli ultimi anni.

Il piccolo Regno, ha un prodotto interno lordo che supera di poco i due miliardi di dollari, è dunque tra i Paesi economicamente meno sviluppati al mondo. E’ una enclave del Sudafrica e la sua economia dipende per lo più da Pretoria. Gran parte dei lesothiani lavora nelle miniere sudafricane.

Le risorse del Paese sono poche a causa dell’ambiente ostile dell’altopiano e dello spazio agricolo limitato nelle pianure. La maggiore ricchezza è l’acqua – chiamata localmente “oro bianco” – che viene esportato in Sudafrica. Anche l’export di diamanti contribuisce al PIL.

Il Lesotho, che in bantu significa: il popolo che parla la lingua sothu, è conosciuto anche come il regno del cielo. E’ una monarchia parlamentare e i rapporti tra il re Letsie III, i partiti e l’esercito sono fragili, ma stabili. Il Paese conta 2,3 milioni di abitanti, è un ex protettorato britannico, che ha ottenuto l’indipendenza nel 1996.

Tra i Paesi più colpiti da HIV

Nel Regno il tasso di propagazione del virus HIV è uno tra i più alti al mondo. Inoltre, è tra i Paesi africani con il maggiore numero di suicidi e omicidi.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Attacchi di Trump al Lesotho: “Lì finanziamo gay e lesbiche. Ma dove sta ‘sto Paese?”

Congo-K: concessa la grazia presidenziale a tre americani sentenziati a morte per fallito golpe

Africa ExPress
2 aprile 2025

Dietro richiesta del pubblico ministero, il capo di Stato della Repubblica Democratica del Congo, Felix Tshisekedi, ha concesso la grazia a tre cittadini statunitensi, Marcel Malanga, Tyler Christian Thomson e Benjamin Zalman. La sentenza di morte è stata commutata in ergastolo.

I tre americani erano stati condannati alla pena capitale insieme a 31 congolesi, un canadese, un inglese e un cittadino belga, lo scorso settembre, durante il processo per il fallito golpe del 19 maggio 2024. La sentenza era poi stata confermata in appello che si è tenuto a gennaio.

I tre cittadini americani durante il processo dello scorso settembre

Tra i tre statunitensi (tutti nati negli USA) c’è anche Marcel, figlio di Christian Malanga, ideatore del fallito golpe e ucciso quando ha tentato di entrare nel Palais de la Nation a Kinshasa.

Tyler Christian Thomson, invece, è una vecchio amico di Marcel. La loro amicizia risale ai tempi del liceo. I due erano anche membri della stessa squadra di football di Salt Lake City in Utah. Mentre Benjamin Zalman era socio in affari dell’ideatore del golpe, Christian Malanga.

Pena capitale ripristinata nel 2024

La pena capitale, abolita de facto nel 2003 in Congo-K, è stata ripristinata a marzo 2024. Grazie all’ordinanza presidenziale, Marcel Malanga, Tyler Christian Thomson e Benjamin Zalman ora potranno chiedere l’estradizione negli Stati Uniti e scontare lì le condanne.

Minerali per Washington

Recentemente Kinshasa ha offerto agli Stati Uniti l’accesso esclusivo a minerali critici e progetti infrastrutturali in cambio di assistenza per la sicurezza, contro i ribelli del M23/AFC, che assieme alle truppe del vicino Ruanda hanno invaso le ricche regioni minerarie dell’est del Paese. Trattative in tal senso sono già in corso.

Ronny Jackson, l’emissario di Trump e membro del Congresso degli Stati Uniti, ha incontrato il presidente congolese a marzo, si è poi recato anche a Kigali, dove è stato ricevuto da Paul Kagame, leader del Ruanda. Il deputato americano ha fatto una breve tappa anche in Burundi e in Uganda.

Corruzione

Dopo il tour nella regione dei Grandi Laghi, durante un’audizione alla Commissione degli Esteri USA, ha criticato severamente la situazione in Congo-K. Secondo Jackson, la corruzione galoppante ha arricchito i membri del governo e le loro famiglie, mentre la popolazione muore di fame. Ma ha puntato il dito anche sui governi vicini, come Ruanda, Burundi e Uganda. “Sappiamo bene che tutti e tre importano minerali dalla ex colonia belga, tutti lo fanno e niente può fermarli”, a poi concluso il deputato di Washington.

Massad Boulos, consuocero di Donald Trump, nominato consigliere per l’Africa

Intanto due giorni fa il dipartimento di Stato USA ha nominato l’uomo d’affari di origine libanese, Massad Boulos, come principale consigliere per l’Africa. Boulos è già incaricato delle stesse mansioni per quanto riguarda  Medio Oriente e le questioni arabe.

Boulos vicino a Trump

L’uomo d’affari americano è nato in Libano e proviene da una famiglia greco-ortodossa. Dopo gli studi in Business administration in Texas, ha lavorato in Nigeria, come direttore di SCOA, società che si occupa di vendita, manutenzione e locazione di autovetture.

Boulos è un personaggio talmente “discreto”, che a volte non rispecchia la realtà. Viene presentato come miliardario, ma, secondo quanto reso noto dal NYT, l’anno scorso la sua società ha prodotto solamente 66mila dollari di profitto. La ricca di casa sarebbe la moglie Sarah, erede di un impero familiare attivo per lo più in Africa centrale. Va sottolineato che il nuovo consigliere per l’Africa è padre di un genero di Trump. Il figlio Michael, infatti, è il marito di Tiffany Trump. Nei prossimi giorni il consuocero del presidente USA visiterà alcuni Paesi africani – Uganda, Congo-K, Ruanda e Kenya – e sarà accompagnato da Corina Sanders, diplomatico di carriera.

Pace per Business

Durante il tour africano, Boulos e il suo team incontreranno capi di Stato e leader d’impresa per promuovere gli sforzi per una pace duratura nella parte orientale della RDC e per incentivare gli investimenti del settore privato statunitense nella regione.

Africa-ExPress
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Fallito golpe in Congo-K: tribunale militare sentenzia la pena di morte per 37 persone, 6 sono stranieri

Il Congo-K offre a Trump le sue miniere in cambio dell’aiuto contro i ribelli

Sudan: i governativi riprendono Khartoum ridotta a città fantasma

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
1° aprile 2025

“Ritorneremo a Khartoum con maggiore determinazione”, ha promesso Mohamed Hamdane Dagalo, meglio noto come Hemetti, capo delle Rapid Support Forces, dopo aver ammesso di aver perso il controllo della capitale del Sudan.

Il cuore della metropoli distrutto

Del Palazzo governativo resta solo lo scheletro

Ma Khartoum è ormai una città irriconoscibile. Dopo giorni e giorni di combattimenti, ora regna un silenzio spettrale. Il centro della metropoli, un tempo il cuore commerciale del Paese e sede del governo, è distrutto, parzialmente in cenere e gran parte dei suoi abitanti è fuggito sin dall’inizio del conflitto.

Ritorno nella capitale

Mercoledì scorso, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, capo Consiglio sovrano e de facto presidente del Sudan, aveva dichiarato che le forze armate (SAF) avevano liberato Khartoum. Anche aeroporto (in pieno centro nella parte nuova della città) era stato riconquistato. Per la prima volta, dopo quasi due anni di guerra, il leader del Sudan, si è rivolto alla nazione dal palazzo presidenziale della capitale.

Al-Burhane trionfante nella capitale sudanese,

La presidenza e il governo si erano trasferiti provvisoriamente a Port Sudan, sulla costa del Mar Rosso, uno dei pochi centri risparmiati dalla devastante guerra iniziata il 15 aprile del 2023 tra RFS e SAF.

Al-Burhan ha puntualizzato sabato che non intende avviare trattative con le RSF per porre fine al conflitto: terminerà quando Hemetti e i suoi uomini deporranno le armi. Ha poi promesso alla popolazione che le forze armate continueranno a combattere finché i paramilitari non saranno sconfitti.

Pace lontana

A quanto pare, almeno per ora, nessuna delle parti sembra essere pronto per negoziati, per risolvere il sanguinoso conflitto interno, costato la vita a decine di migliaia di persone, e costretto alla fuga di oltre 11 milioni di sudanesi. Oltre 8 milioni sono sfollati, mentre più di 3 milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi per sfuggire alle atrocità commesse da entrambe le fazioni coinvolte.

L’aeroporto di Khartoum il 30 marzo

Sia sfollati, sia profughi vivono in condizione più che precarie nei campi a loro destinati, per mancanza di cibo, assistenza sanitaria e quant’altro.

Sudanesi torturati in Libia

E in Libia, dove si trovano oltre 200mila sudanesi, la situazione è terribile. Secondo un rapporto dello scorso gennaio stilato dall’UNHCR con la collaborazione dell’Organizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) nella ex colonia italiana i sudanesi subiscono vessazioni di ogni genere. Chi proviene dall’ex protettorato anglo-egiziano, specie se sprovvisto di documenti d’identità, è soggetto a arresti arbitrari, estorsioni, traffico di esseri umani, torture, discriminazioni razziali e non di rado le donne subiscono violenze sessuali.

Profughi sudanesi in Libia

Nel sud e nell’est della Libia, zone controllate dalle forze armate LAAF (Libyan Arab Armed Forces) di Haftar, alleato di Hemetti, i sudanesi rischiano di essere consegnati alle RSF e costretti a ritornare nel loro Paese sempre in fiamme.

Intanto la guerra continua. Qualche giorno fa i paramilitari hanno nuovamente bombardato Al-Fashir, capoluogo del Darfur settentrionale, uccidendo 9 civili e ferendo altri 17. Altri attacchi sono stati registrati nel Nord Kordofan.

Spariti i tesori del Museo nazionale

Il sanguinoso conflitto non solo ha distrutto il presente e il futuro dei sudanesi, ma ha spazzato via anche gran parte della storia di questo immenso Paese. Le sale del Museo nazionale di Khartoum sono praticamente vuote. Reperti storici, statue, migliaia di manufatti di inestimabile valore dei Regni di Kush e della Nubia sono spariti.

Museo nazionale di Khartoum devastato e tesori spariti

Già nel giugno 2023, quando i paramilitari si erano impossessati dell’edificio, si era temuto il peggio. Allora il vicedirettore del Museo, Ikhlas Abdellatif, aveva riferito che il personale aveva cessato qualsiasi attività con l’occupazione delle RSF. Un anno dopo sono poi apparse immagini satellitari con camion che si allontanavano con il loro carico di tesori antichi.

Saccheggiato anche l’oro di stanza blindata

Il furto non riguarda solo gli oggetti esposti al pubblico, ma anche quelli custoditi all’interno di una stanza blindata, tra cui l’oro.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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Ripresi violenti i combattimenti in Sudan: saccheggiato il museo nazionale

 

Al mercato delle armi: Italia e Kenya rafforzano collaborazione milionaria in ambito militare

Dal Nostro Esperto in Questioni Militari
Antonio Mazzeo
Marzo 2025

Il cosiddetto “Piano Mattei” promosso dal governo Meloni per promuovere la cooperazione italiana in Africa? Ad oggi solo, o quasi, si è trattato di implementare attività di collaborazione militare-industriale con alcuni Paesi partner del continente.

Italia-Kenya: nuove strategie di cooperazione 

L’ultimo atto del rafforzamento della presenza delle forze armate e delle industrie belliche italiane in territorio africano risale al 13 marzo scorso. A Nairobi, presso il quartier generale delle forze armate keniane, il Capo di Stato Maggiore della difesa, generale Charles Kahariri, ha ospitato una delegazione dell’Aeronautica Militare italiana guidata dal comandante in capo, il generale Luca Goretti.

Charles Kahariri e Luca Goretti a Nairobi, Kenya

All’incontro erano presenti pure il direttore generale delle Industrie della difesa del Kenya, generale Bernard Waliaula, e l’ambasciatore italiano a Nairobi, Roberto Natali.

“Nel corso dell’incontro, le due delegazioni hanno espresso l’intenzione di rafforzare le relazioni militari tra Kenya e Italia attraverso la cooperazione nel settore dell’addestramento, dell’acquisizione di nuovi equipaggiamenti e dello sviluppo di iniziative strategiche presso il Centro Spaziale Luigi Broglio di Malindi”, riporta il sito specializzato Military Africa.

Il capo di Stato maggiore della difesa keniano ha inoltre invitato l’Aeronautica italiana ad accrescere la collaborazione nel campo delle tecnologie spaziali, della raccolta di immagini geo-satellitari, dell’intervento e gestione in caso di disastri, della produzione di droni e dell’Intelligenza Artificiale legata alle attività militari.

Manutenzione assetti militari

“Il generale Charles Kahariri Additionally ha pure enfatizzato la necessità di finalizzare l’Accordo di Cooperazione della Difesa con il governo italiano per rafforzare la partnership tecnologica e migliorare la capacità locale nella manutenzione degli assetti militari”, conclude Military Africa.

La delegazione italiana, capeggiata da Luca Goretti, in visita al Centro spaziale Luigi Broglio, ASI, Malinidi, Kenya

Il Centro Spaziale “Luigi Broglio”, di cui si è parlato al vertice di Nairobi, è una base operativa dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) per le attività di lancio e di controllo dei satelliti da terra. Il centro dell’ASI è dotato di sofisticate apparecchiature per la ricezione dei dati satellitari e di tracciamento dei vettori o altri oggetti spaziali.

Centro spaziale italiano di Malindi

Il Centro si estende su un’area di circa 3,5 ettari sulla costa dell’Oceano Indiano a circa 32 km dalla città di Malindi ed è stato inaugurato nel 1966.Inizialmente la sua gestione fu affidata all’Università di Roma “La Sapienza” attraverso il Centro Ricerche Progetto San Marco.

Tra il 1967 e il 1988 lo Space Center è stato utilizzato per il lancio in orbita di nove satelliti: quattro del programma italiano “San Marco”, quattro statunitensi e uno del Regno Unito.

Attualmente il Centro ASI collabora con altre agenzie spaziali internazionali: quelle di Kenya ed Egitto; la NASA (USA); l’ESA (Unione europea); il CNES (Francia);CONAE (Argentina).

Nuovi partner

Tra gli accordi di collaborazione sottoscritti ne esiste pure uno con l’operatore commerciale-militare SpaceX del plurimiliardario Elon Musk (oggi alla guida del Dipartimento per l’Efficienza Governativa degli Stati Uniti d’America con l’amministrazione Trump). In passato il Centro di Malindi ha fornito un supporto chiave ai lanci delle navicelle spaziali “Shenzhou”, nell’ambito del programma di realizzazione della stazione spaziale cinese.

Nel Centro sono presenti tre Stazioni di Terracon relativi sistemi d’antenna. La prima, in Banda S, è adibita ai programmi dell’ASI. Quella in Banda S/X/L è adibita al controllo dei veicoli di lancio Arianespace e Titan e al supporto alle prime fasi di volo di satelliti commerciali LEOP.

Terza stazione

La terza stazione in Banda X è adibita alla ricezione di dati di telerilevamento dei satelliti ERS2 (European Remote-Sensing Satellite), SPOT (Satellite Pour l’Observation de la Terre) e Landsat.Il Centro di Malindi è collegato con l’Italia mediante satelliti Intelsat nell’ambito della rete ASI-net.

Le funzioni duali, civili-militari, del Centro Spaziale italiano in Kenya sono ampiamente documentate: l’Aeronautica Militare ha collaborato alle sue attività fin dalla sua realizzazione. Il 16 dicembre 2008 ASI ed Aeronautica hanno pure firmato un accordo esecutivo di cooperazione nell’ambito delle attività di conduzione e gestione del progetto satellitare “San Marco”.

Sotto il punto di vista operativo, a partire del 2009, il Comando delle forze aeree nazionali ha inviato a Malindi personale qualificato (ingegneri ed esperti informatici) per fornire all’ASI supporto e assistenza al funzionamento delle stazioni e al controllo delle attività di tracciamento satellitare.

Interesse in ambito militare per il Centro ASI è stato espresso dalle stesse forze armate del Kenya. In occasione della sua visita ufficiale nello Stato africano (13-16 marzo 2023), il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in compagnia del Presidente ASI Giorgio Saccoccia ha incontrato allo Space Center “Luigi Broglio” il ministro della Difesa keniano Aden Bare Duale e il direttore dell’Agenzia Spaziale nazionale James Aruasa.

Accordo intergovernativo

Sei mesi più tardi il ministro Duasa è stato ospite a Roma del ministro della Difesa Luigi Crosetto, di quello delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e dei vertici dell’Agenzia Spaziale italiana. “Il già solido legame tra le agenzie spaziali dei nostri due Paesi verrà ulteriormente rafforzato dopo l’accordo intergovernativo entrato in vigore il 16 dicembre 2020 e che ha una durata di 15 anni con possibilità di rinnovo”, ha dichiarato Urso.

“La sicurezza del Sahel e del Corno d’Africa è strategica e le dinamiche regionali si riflettono sul Mediterraneo e sull’Europa: Italia e Kenya devono crescere insieme e cooperare nel settore della Difesa a beneficio della stabilità”, ha invece dichiarato Crosetto a conclusione del vertice con il ministro Aden Bare Duale.

Con il fine di rafforzare la cooperazione militare tra Unione europea e Kenya, nel maggio 2024 la Marina Militare di Nairobi ha organizzato una grande esercitazione navale nelle acque di Mombasa (Usalama Baharini 24) a cui ha partecipato la fregata missilistica “Federico Martinengo” della Marina italiana.

Contrasto pirateria

“Le attività e le esercitazioni svolte hanno contribuito nell’azione di supporto a favore delle autorità del Kenya per un efficace contrasto alla pirateria e a tutte le attività illecite che vengono perpetrate in mare, come ad esempio il traffico di armi e di sostanze stupefacenti”, riporta la nota dello Stato Maggiore della Marina.

L’esercitazione ha previsto anche una dimostrazione pratica tra il team specialistico della Brigata Marina “San Marco”, la Marina Militare e la Guardia Costiera keniana. “L’evento ha mostrato la simulazione di un boarding su una imbarcazione con a bordo dei sospetti pirati, che una volta arrestati, sono stati consegnati prima alla Guardia Costiera e successivamente alle forze di polizia locali”.

Antonio Mazzeo
amazzeo61@gmail.co
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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Inizia il conto alla rovescia per il lancio del satellite keniota da una base spaziale in California

Mattarella in Kenya per ricostruire i rapporti naufragati per le malversazioni provocate dai contratti della CMC

Infermiera tedesca rapita in Somalia 7 anni fa e da allora scomparsa, ricompare in un video: “Aiutatemi!”

Africa ExPress
29 marzo 2025

Sonja Nientiet, cittadina tedesca, infermiera del Comitato della Croce Rossa Internazionale (ICRC) è stata rapita in Somalia nel 2018. Da allora è sparita nelle mani dei sanguinari terroristi di al-Shebab.La sua situazione è drammatica. Pochi giorni fa, tramite  un videomessaggio diffuso sui social network, ha chiesto aiuto.

Il suo stato di salute, dopo anni in mano ai suoi aguzzini, sta peggiorando di giorno in giorno.

L’infermiera tedesca, Sonja Nientiet, prima del suo rapimento in Somalia nel 2018
E oggi, Sonja Nientiet, come appare anche nel video

Sonja nel video ha poi spiegato: “Ciò che mi tiene in vita è il desiderio di rivedere i miei cari”.

Appello al cancelliere tedesco

Nel filmato l’ostaggio si rivolge, tra l’altro, direttamente al cancelliere tedesco, Olaf Scholz, chiedendo un suo intervento per il suo immediato rilascio. La donna teme per la propria vita.

L’infermiera visibilmente scossa, non sempre riesce a trattenere le lacrime per tutta la durata del filmato Ma porta ugualmente a termine il video di circa 5 minuti, spiegando anche in poche parole la sempre più complessa e difficile situazione della Somalia.

Anni di silenzio

Per anni nessuno ha più parlato del rapimento della cittadina tedesca. Ma dopo la diffusione del suo video su social network, l’ICRC ha lanciato un appello per il rilascio della loro infermiera.

Sonja Nientiet è stata sequestrata il 2 maggio 2018 negli uffici della Croce Rossa a Mogadiscio. Allora i collaboratori somali dell’Organizzazione internazionale avevano spiegato ai reporter di AP che i terroristi sarebbero entrati nell’edificio da una porta posteriore e avrebbero fatto salire l’infermiera su una vettura. Al-Shebab ha poi rivendicato il sequestro. Attualmente la donna è ancora loro prigioniera da qualche parte.

La Somalia resta comunque uno dei Paesi più pericolosi al mondo. All’inizio del mese il dipartimento di Stato americano ha nuovamente diramato ai propri cittadini un avviso di non recarsi in Somalia a causa di possibili attentati e sequestri di persona.

Raid USA contro terroristi

In coordinamento con il governo di Mogadiscio, AFRICOM, United States Africa Command, il comando delle truppe statunitensi di stanza a Stoccarda, Germania), è intervenuto nei giorni scorsi nuovamente con diversi attacchi aerei contro i terroristi di al-Shebab.

Quasi alla fine del suo primo mandato, Donald Trump aveva disposto il ritiro dei militari USA dalla Somalia, ma Joe Biden aveva reintrodotto parte del piccolo contingente nel 2022. I reparti statunitensi, presenti con 450 uomini, stanno sostenendo l’intervento dei militari somali e della coalizione multinazionale dell’Unione Africana con operazioni di intelligence, addestramento militare e  attacchi diretti con l’ausilio di droni killer.

Ora, il governo somalo teme, che con il ritorno di Trump le truppe USA possano essere nuovamente richiamate.

Somalia offre basi aeree e porti a Trump

Ed è probabilmente per questo che con una lettera, datata 16 marzo 2025, Mogadiscio ha offerto agli USA il controllo esclusivo di infrastrutture logistiche e militari importanti, comprese le basi aeree di Balidogle e Berbera e i porti di Bosaso e Berbera.

Sta di fatto però che Berbera si trovi nel Somaliland. L’ex colonia britannica ha proclamato l’indipendenza dal Regno Unito il 26 giugno 1960 (si chiamava Stato del Somaliland), e, dopo 5 giorni si è unita alla Somalia Italiana, indipendente dal 1° luglio dello stesso anno.

Dopo lo scoppio della guerra civile somala il 30 dicembre 1990, e il conseguente collasso della Somalia, il 18 maggio 1991 il Paese si è ritirato dall’unione. Ma il suo governo non è mai stato riconosciuto dalla comunità internazionale, tanto meno dalla Somalia.

L’autoproclamata Repubblica ha un proprio governo, una propria moneta e le proprie strutture di sicurezza. Tuttavia, non essendo riconosciuta da nessun Paese del mondo, l’accesso ai finanziamenti internazionali multilaterali e le possibilità di viaggiare dei suoi cittadini sono limitati.

Il porto di Bosaso, sul Golfo di Aden, è nel Puntland, regione semi-autonoma della Somalia. Il controllo di Mogadiscio in Puntland è limitato, molto limitato.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
X: @cotoelgyes
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Somaliland: leader dell’opposizione vince elezioni presidenziali

 

Somaliland: Addis Abeba inaugura nel porto di Berbera ufficio smistamento e transito merci dall’Etiopia

Operazione Red Card: sette Paesi africani con Interpol contro la cybercriminalità: oltre 300 arresti

Speciale per Africa ExPress
Sandro Pintus
28 marzo 2025

Benin, Costa d’Avorio, Nigeria, Ruanda, Sudafrica, Togo e Zambia sono i Paesi che hanno partecipato all’Operazione Red Card di Interpol. Si tratta di un intervento internazionale coordinato contro la cyber criminalità, operativo dal novembre 2024 al febbraio 2025.

Criminalità transfrontaliera

L’obiettivo era diretto a smantellare le reti criminali transfrontaliere responsabili di frodi informatiche su larga scala e truffe online. Oltre 5.000 le vittime colpite da truffe bancarie su cellulare, schemi di investimento fraudolenti e frodi con app di messaggistica.

Il maggior numero di arresti, 130, in Nigeria. I truffatori sono accusati di frodi informatiche quali truffe di casinò online e investimenti. Per evitare di essere individuati avrebbero convertito i proventi illeciti in beni digitali.

AFJOC - African Joint Operation against Cybercrime
African Joint Operation against Cybercrime, agenti al lavoro (Courtesy AFJOC)

Traffico di esseri umani

Gli investigatori hanno scoperto che le truffe erano portate avanti da persone, vittime del traffico di esseri umani, costrette dai loro carnefici ad effettuare attività fraudolente. L’indagine, in Nigeria, ha portato al sequestro di 26 veicoli, 16 case, 39 terreni e 685 dispositivi elettronici.

Truffe telefoniche e via social

Secondo Paese per numero di arresti è il Ruanda: 45 persone. I delinquenti sono accusati di aver frodato le loro vittime attraverso i social per un totale di oltre 300 mila dollari (280 mila euro) nel 2024.

Gli arrestati si fingevano familiari feriti e chiedevano denaro per le spese ospedaliere. Oppure, telefonavano dicendo all’interlocutore che aveva vinto alla lotteria facendosi dare i suoi dati sensibili. Le autorità hanno recuperato 100 mila dollari (93 mila euro) e sequestrato 292 dispositivi elettronici.

Frode delle SIM

In Sudafrica è stata smantellata una gang specializzata nella frode delle SIM box. Gli agenti hanno arrestato 40 persone. Utilizzavano un sofisticato sistema che dirottava le chiamate internazionali facendole apparire come chiamate locali.

I truffatori si servivano di questa tattica per condurre attacchi di phishing via SMS su larga scala. La polizia ha confiscato più di mille schede SIM e 53 computer.

I malware in Zambia

Quattordici i cyber criminali arrestati in Zambia tutti membri di un’organizzazione che hackerava i cellulari. Attraverso un messaggio con un link prendevano il controllo del dispositivo nel quale veniva installato il malware.

Una volta acquisita la gestione del telefono avevano anche l’uso delle applicazioni bancarie e quelle di messaggistica delle vittime. Attraverso le chat di gruppo diffondevano i malware aumentando il numero di apparati “catturati”.

Fondi dal Regno Unito

L’operazione, è costata 3,2 milioni di sterline (3,8 milioni di euro), finanziata dal Foreign, Commonwealth & Development Office del Regno Unito. È stata condotta nell’ambito dell’African Joint Operation against Cybercrime-AFJOC (Operazione congiunta africana contro la criminalità informatica).

Queste frodi e truffe sono ben conosciute ormai da tempo nel nostro Paese. In Africa il fenomeno si sta ampliando e, data l’ingenuità della popolazione e la minore conoscenza della tecnologia, riescono ad andare a segno più facilmente.

Sandro Pintus
sandro.p@catpress.com

X (ex Twitter):
@sand_pin
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Interpol: falsi vaccini anti Covid-19 pericolosi sequestrati in Sudafrica e Cina

La mafia nigeriana balza ai primi posti nella classifica mondiale della criminalità

Omicidi in Africa: maglia nera a Lesotho e Sudafrica, i più probi Burkina e Marocco

Israele: armi e tecnologie. A chi conviene il genocidio

NEWS ANALYSIS
Alberto Negri

26 marzo 2025

Perché Israele non può fermare le guerre e noi non possiamo fermare il genocidio di Gaza? Perché lo Stato ebraico è parte integrante del complesso militare industriale israelo-americano e anche del nostro; cosa che mascheriamo. Dagli anni ’50 Tel Aviv ha ricevuto dagli Usa oltre 260 miliardi di dollari di aiuti militari.

Soltanto nell’ultimo anno e mezzo, dall’attacco di Hamas del 7 ottobre, gli aiuti hanno superato i 20 miliardi di dollari. Israele, allo stesso tempo, è all’avanguardia nella ricerca scientifico-tecnologica militare, è uno dei maggiori esportatori di armi e contemporaneamente uno dei maggiori clienti delle americane Boeing, General Dynamics, Lockheed Martin e RTX (Raytheon Technologies).

Queste società sono tra le principali fornitrici di tecnologie militari, come caccia F-35, missili avanzati e sistemi di difesa aerea, utilizzati dall’esercito israeliano.

Dietro queste aziende si cela una struttura finanziaria globale: i fondi d’investimento internazionali noti come le «Big Three»: Vanguard, BlackRock e State Street. I tre fondi d’investimento sono tra i maggiori azionisti di rilievo delle principali compagnie di armamenti e di molti settori.

Vanguard, BlackRock e State Street detengono quote significative in Boeing, Lockheed Martin e RTX, influenzando la gestione e le strategie di queste società. L’aumento delle spese militari e l’acquisto di armamenti da parte di Israele sono strettamente collegati ai profitti di queste aziende.

Lockheed Martin ha fornito i caccia F-35 a Israele, considerati un pilastro delle sue capacità militari. Gli F-35 il 26 ottobre hanno eliminato in un giorno l’80 per cento delle difese anti-aeree iraniane.

Boeing è responsabile della vendita di velivoli da combattimento e missili, mentre RTX ha fornito avanzati sistemi missilistici e difese aeree. Ogni vendita non solo rafforza l’apparato bellico israeliano ma genera anche grandi profitti.

Le Big Three svolgono un ruolo di primo piano nell’alimentare una rete economica che beneficia direttamente dalle tensioni geopolitiche e militari.

Mentre la popolazione civile di Gaza e Cisgiordania continua a soffrire per le operazioni militari e l’occupazione, le aziende belliche e i loro principali azionisti vedono aumentare i propri profitti grazie alle vendite crescenti di armamenti.

Ecco perché si parla di complesso militar-industriale israelo-americano. Ha un preciso significato bellico, finanziario e di potere globale. Israele ha un’influenza sproporzionata per quanto riguarda le vendite di armi.

Al mondo è il 97° Paese per popolazione ma il nono maggiore esportatore di armi. In settori come l’intelligenza artificiale e la cybersecurity è in testa alla leadership mondiale. Gaza e la Palestina sono il laboratorio dello Stato ebraico. Come scrive nel suo libro (Laboratorio Palestina, Fazi) il giornalista premio Pulitzer Antony Loewenstein, ebreo australiano.

“Molti Paesi vendono armi – dice Loewenstein – ma ciò che rende unica l’industria israeliana è il mix di armi, tecnologie di sorveglianza e tecniche che si combinano per creare un sistema completo per il controllo di popolazioni ‘difficili’ e si basano su anni di esperienza in Palestina”.

Il complesso militar-industriale di Israele – e di conseguenza anche degli Usa – utilizza i Territori occupati palestinesi come banco di prova per le armi e le tecnologie di sorveglianza che esporta in tutto il mondo, a partire dall’intelligenza artificiale. L’adozione di tecnologie di IA è stata accelerata dalla Unità 8200, il reparto d’élite dell’intelligence israeliana, oggi composta per il 60 percento da ingegneri ed esperti tech, il doppio degli informatici arruolati dieci anni fa.

Eppure tra i palestinesi si muore sempre di più. Secondo le testimonianze di ex soldati e analisti raccolte dal Washington Post, la fiducia nell’IA ha portato le forze armate israeliane a ridurre alcuni passaggi di controllo, con il risultato di aumentare il numero di obiettivi ritenuti legittimi.

Anche se questi comportano un maggior rischio di vittime tra i civili. Dalla proporzione di 1:1 del 2014 (un civile “sacrificabile” per colpire un membro di Hamas di alto livello) si è passati a 15:1 o persino 20:1 nel conflitto attuale, stando alle fonti del Washington Post.

Tutto questo naturalmente non ferma Israele e la crescita del suo apparato militar-industriale sempre più integrato in quello americano. La startup israeliana Wiz, leader nella cybersicurezza, è nel mirino di Google.

Il conglomerato di Google aveva già provato ad acquistarla la scorsa estate per 23 miliardi di dollari ma aveva ricevuto un secco no. Ha quindi deciso di alzare l’offerta, secondo il Wall Street Journal, a circa 33 miliardi di dollari.

Ci si chiede spesso come mai gli americani e gli europei non facciano pressioni concrete su Netanyahu per limitare le stragi a Gaza che ormai superano i 50mila uccisi (70mila secondo fonti come Lancet).

La realtà è che Stati Uniti e Gran Bretagna sono direttamente impegnati nelle operazioni militari: il 70 per cento dei voli di ricognizione sui bersagli da colpire a Gaza e in Libano nel 2024 sono stati compiuti da aerei americani e britannici.

Ma soprattutto non c’è azienda europea importante che non abbia accordi con l’Israel Innovation Authority, agenzia governativa incaricata di finanziare progetti innovativi.

Per esempio Stellantis si è unita ad altre aziende italiane come Enel, Leonardo STMicroelectronics, che hanno aperto laboratori di ricerca e sviluppo in Israele, o Sparkle, Snam e Adler che hanno concluso accordi con l’Israel Innovation Authority e con startup israeliane nel settore high-tech.

Ecco perché Israele non può mai perdere una guerra e noi europei non faremo nulla per fermare Netanyahu. Anche il riarmo europeo, che beneficerà le industrie belliche del continente e americane, renderà Israele più forte e influente. Come e perché muoiono a Gaza e in Medio Oriente lo sappiamo bene.

Alberto Negri
da Il Manifesto

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“Sotto la sabbia. La Libia, il petrolio, l’Italia”: da Gheddafi all’inferno. Lo spiega in un libro Giampaolo Cadalanu

Speciale per Africa ExPress
Claudia Svampa
Roma, 25 marzo 2025

Sarà presentato domani 27 marzo alle 18.00 presso la libreria Eli di Viale Somalia a Roma “Sotto la sabbia, la Libia, il petrolio, l’Italia” il nuovo libro di Giampaolo Cadalanu, giornalista, a lungo inviato speciale del quotidiano La Repubblica, che per oltre trent’anni ha seguito crisi e conflitti nei Balcani, in Medio Oriente, Sudan, Afganistan, Libia, Ucraina, Sri Lanka e Libano.

Un libro in cui Cadalanu, racconta con un’approfondita e dettagliata analisi, il complesso rapporto tra la Libia e lItalia, intrecciato indissolubilmente con le dinamiche geopolitiche del Mediterraneo e con linteresse economico legato alle risorse energetiche.

Pubblicato da Laterza “Sotto la sabbia” si propone come unindagine sulle radici e le conseguenze della crisi libica, delineando il ruolo delle potenze internazionali, delle strategie politiche e delle manovre economiche che hanno plasmato il destino del paese nordafricano.

Duecentocinquanta pagine tratteggiate come un lungo reportage storico e geopolitico che si articolano in undici capitoli a ripercorrere il passato e il presente della Libia, partendo dalla caduta di Gheddafi fino alle tensioni odierne.

Primavera araba

La narrazione si apre con la primavera araba e il crollo del regime, descrivendo come nel 2011 i governi occidentali hanno espresso con toni altisonanti le loro intenzioni umanitarie, ma guardando indietro è facile scoprire che queste servivano solo a coprire ragionamenti strategici e ricerca di posizioni vantaggiose”.

Lautore si sofferma poi sulle dinamiche interne libiche, suddividendo il paese in macro-regioni con caratteristiche peculiari e tensioni irrisolte.

Uno dei temi centrali del libro però è il legame tra Italia e Libia, una relazione che Cadalanu definisce oscillante tra complicità e diffidenza. Dopo la caduta del regime coloniale italiano, il paese nordafricano divenne un partner economico cruciale per Roma, soprattutto per quanto riguarda le forniture energetiche.

Alleanza fragile

Tuttavia si sottolinea come questa alleanza fosse fragile e spesso messa in discussione dagli interessi delle grandi potenze: La Libia era il settimo partner commerciale dellItalia, ma allo stesso tempo un vicino scomodo e difficile da gestire”.

Il ruolo dellENI nella regione è ampiamente discusso, mostrando come la compagnia petrolifera italiana abbia saputo navigare tra le turbolenze politiche per mantenere un accesso privilegiato alle risorse libiche.

Il petrolio come arma geopolitica é un altro dei temi che l’autore affronta senza sconti alla cronaca storica nelle dinamiche di potere libiche.

Combattenti antigheddafi festeggiano la caduta di Sirte, città natale del dittatore il 20 ottobre 2011. REUTERS/Esam Al-Fetori

Cadalanu evidenzia come Gheddafi avesse ben compreso il valore strategico delle risorse energetiche, utilizzandole non solo per finanziare il proprio regime, ma anche per alimentare movimenti rivoluzionari in tutto il mondo: Dai finanziamenti allIRA in Irlanda del Nord – racconta – al sostegno ai gruppi palestinesi, i petrodollari libici furono uno strumento di influenza globale”.

Manovre occidentali

Unampia sezione é poi dedicata alle manovre occidentali per controllare il petrolio libico dopo il 2011 ovvero quando, nell’analisi dell’autore, la caduta di Gheddafi non ha portato alla democratizzazione promessa, ma ha invece innescato una lotta per il controllo delle risorse, con attori internazionali – dalla Francia alla Russia, fino agli Stati Uniti – impegnati a garantire il proprio accesso ai giacimenti.

E proprio alla Francia e al ruolo di Nicolas Sarkozy nella decisione di attaccare Gheddafi é dedicato il capitolo in cui si mettono in luce documenti e indiscrezioni che suggeriscono come uno dei motivi principali dellintervento francese fosse la volontà di impedire la creazione di una moneta panafricana alternativa al dollaro e al franco CFA, una mossa che avrebbe danneggiato gli interessi economici francesi in Africa.

Giampaolo Cadalanu

“Sotto la sabbia” é dunque un libro di fondamentale approfondimento per chiunque voglia comprendere il contesto libico e le sue implicazioni internazionali. Con uno stile chiaro e documentato, Cadalanu riesce a intrecciare storia, politica ed economia, offrendo una fotografia nitida e completa della situazione libica e della complessità delle relazioni tra lItalia e la Libia, mostrandoci come, sotto la sabbia della retorica umanitaria e della diplomazia, si nascondano le vere ragioni di conflitti e alleanze: il petrolio, il potere e leterna lotta per il controllo delle risorse.

Claudia Svampa
info@claudiasvampa.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA

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