Speciale per Africa ExPress,
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 8 luglio 2015
Trecentomilioni di Euro è la somma che l’Unione Europea sta valutando di donare all’Eritrea. Un regime tra i peggiori al mondo, paragonabile forse solamente a quello della Corea del Nord. All’inizio di giugno la commissione d’inchiesta dell’ONU ha pubblicato un suo rapporto sulla situazione dei diritti umani in Eritrea, stilato grazie alla testimonianza di rifugiati eritrei residenti in Paesi terzi, perché il governo di Asmara non ha permesso ai commissari dell’ONU di entrare nel Paese.
La situazione descritta nel rapporto è a dir poco drammatica. Totale assenza di uno Stato di diritto, torture, esecuzioni extra-giudiziarie, arresti senza motivo, sono all’ordine del giorno, per non parlare del servizio militare obbligatorio perpetuo. Riassumendo: I diritti fondamentali dell’uomo non vengono rispettati.
(http://www.africa-express.info/2015/06/11/il-rapporto-onu-che-inchioda-la-dittatura-eritrea-litalia-non-puo-essere-complice-dei-tiranni/)
Poco più di un anno fa il nostro allora sottosegretario degli affari esteri, Lapo Pistelli (oggi vicepresidente dell’ENI), si è recato nella nostra ex-colonia per riaprire il dialogo con il governo di Asmara (http://www.africa-express.info/2014/07/29/quattrocento-profughi-eritrei-arrestati-sudan-volevano-raggiungere-il-campo-unhcr/). Nell’occasione ebbe anche dei colloqui a Khartoum con Omar Al Bashir, presidente del Sudan sul quale pende a tutt’oggi un mandato di cattura internazionale per genocidio e crimini di guerra.
Questi incontri e altri diedero inizio al “Processo di Khartoum”: in sintesi, una sorta di intesa per affrontare il problema migratorio in seno alle relazioni internazionali accordandosi con dittatori per regolamentare con i loro governi la migrazione, creando centri di accoglienza nei Paesi di transito, e per lottare contro il traffico di esseri umani.
Durante una conferenza, tenutasi nella capitale italiana, alla fine di Novembre 2014, è stato firmato un documento politico intitolato “Dichiarazione di Roma”, siglato da 58 Paesi: 28 Stati membri, due Paesi Schengen, Svizzera e Norvegia, e 28 paesi africani, tra i quali anche l’Eritrea e il Sudan e l’Algeria in qualità di osservatore. Il nostro ministro degli interni, Angelino Alfano, definì così lo storico accordo: “Difende la dignità umana e unisce tutti i paesi interessati contro la criminalità e la migrazione illegale”. Secondo il nostro ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni: “L’immigrazione non riguarda soltanto le iniziative umanitarie ed il controllo delle frontiere, ma passa anche attraverso la cooperazione economica”.
In virtù di quest’accordo, l’Unione Europea sta valutando un finanziamento di trecentomilioni di euro da destinare all’Eritrea, i cui dirigenti da tempo rifiutano di fare controllare ai donatori la destinazione del denaro regalato. Bisognerà capire come saranno utilizzati questi fondi: per nuove politiche sociali oppure per costruire muri, filo spinato in punti strategici, addestramento della polizia di confine e altro per fermare i flussi migratori? Ogni mese migliaia di eritrei fuggono dalla dittatura e gran parte di essi, affrontano il Mar Mediterraneo con i barconi della morte, per raggiungere il mondo occidentale. Non scappano dalla povertà, dalla fame. Cercano la libertà negata.
Secondo l’UE, il finanziamento dovrebbe servire a creare nuovi posti di lavoro e combattere la miseria. Gli eritrei, quei pochi rimasti nel loro Paese, hanno bisogno di ben altro: il riconoscimento dei diritti umani. Alla luce dei fatti, Isaias Afewerki non ha nessuna intenzione di concederli. Per ora ha fatto solo vaghe promesse sul servizio militare che adesso è, di fatto illimitato, e che dovrebbe essere riportato a una durata massima. Finora, però, il dittatore non ha messo nulla nero su bianco.
Può essere invece che Unione Europea abbia anche altri interessi del tipo economico-commerciale. All’inizio di maggio, presso la Farnesina, si è tenuto un convegno sul tema: ““L’Italia e le sanzioni. Quando la geopolitica si scontra con i mercati. Quattro casi di studio per gli interessi economici italiani: Eritrea, Iran, Russia e Sudan“.
Per quanto concerne l’Eritrea le sanzioni riguardano esclusivamente armi e forniture militari, ma si sa, è un mercato assai redditizio (Sanzioni all’Eritrea per il suo ruolo in Somalia e il suo rifiuto al ritiro delle truppe dal confine con Gibuti: risoluzione Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1907 del 23.12.2009).
Il sottosuolo dell’Eritrea è ricco di minerali pregiati: oro, argento, zinco, potassio, rame. Società canadesi e australiane si sono ritagliate una buona fetta di questo mercato, ottenendo le concessioni dal governo di Isaias per lo sfruttamento delle miniere. Anche la Casa Bianca è fortemente interessata a migliorare i suoi rapporti con l’Eritrea, in particolare per la sua importante posizione strategica: unico Paese non islamico sul Mar Rosso.
Don Mussie Zerai, sacerdote eritreo e candidato al Premio Nobel per la pace 2015, insieme a Vittorio Longhi, giornalista e Anton Giulio Lana, avvocato per i diritti umani, chiedono che il denaro venga elargito all’Eritrea solamente in cambio di determinate garanzie. Ecco la loro petizione in rete: https://www.change.org/p/eritrea-libera-sosteniamo-la-democrazia-evitiamo-l-esodo-e-altre-morti-in-mare?recruiter
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
Nella foto in basso Mussie Zerai