Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 6 luglio 2015
Saifallah Ben Hassine, un cittadino tunisino che avrebbe vissuto per sei anni in Gran Bretagna, godendo anche dei sussidi statali, avrebbe organizzato un altro attentato nell’ottobre 2013 in un albergo di Sousse, frequentato da turisti britannici. Allora morì solamente il giovane attentatore perché il suo carico di esplosivo detonò prima del previsto. Seiffedine Rezgui, l’attentatore del massacro del 26 giugno 2015 è un discepolo di Hassine.
L’episodio, che era stato sottovalutato finora, è emerso durante le indagini dell’attentato messo a segno il 26 luglio. Un killer arrivato sulla spiaggia dal mare ha brutalmente ammazzato a sangue freddo 38 turisti, la maggior parte britannici (trenta)
“Siamo in guerra” sono le parole rivolte alla popolazione, sabato pomeriggio a reti unificate da Béji Caïd Essebsi, presidente della Tunisia. In un discorso solenne, il leader ha spiegato alla nazione il motivo per il quale è stato necessario decretare lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale. “Siamo di fronte ad un pericolo imminente, che necessita lo spiegamento di tutte le forze di sicurezza del Paese: polizia, guardia nazionale, esercito”. Essebsi chiede ai tunisini di prendere coscienza del reale e grave pericolo, è fa un appello all’unità nazionale.
Immediatamente dopo l’attacco jihadista di Sousse, sulla costa orientale del Paese, il presidente tunisino non sembrava propenso ad adottare misure eccezionali; evidentemente alla luce dei fatti emersi in quest’ultima settimana è dovuto tornare sui suoi passi. Secondo informazioni ricevute sia da Paesi amici sia dai servizi tunisini, esiste la concreta possibilità di nuovi attentati jihadisti.
In Tunisia lo stato d’emergenza è regolato da un decreto del 1978. Tale stato rinforza i poteri del ministro degli interni che può delegare, per quanto concerne la sicurezza e l’ordine pubblico, i singoli governatori, perché dipendono dal ministero degli Interni. Con lo stato d’emergenza si instaura un quadro giuridico che da ampi poteri all’esercito con spiegamento dei militari nelle città e nei villaggi. Ha la durata di un mese, ma è rinnovabile.
E Kamel Jendoubi, ministro incaricato delle relazioni costituzionali tra il governo e la società civile, precisa: “La proclamazione dello stato d’emergenza ci permette principalmente di utilizzare l’esercito in appoggio alle forze di polizia”.
Non è la prima volta che succede sotto questo governo. Infatti, lo stato d’emergenza è stato proclamato il 14 gennaio 2011, subito dopo l’allontanamento dell’ex-dittatore Zine El-Abidine Ben Ali, ed è durato fino a poco più di un anno fa, vale a dire fino al 6 marzo 2014.
Dalla primavera scorsa la Tunisia si trova a dover affrontare la minaccia del terrorismo jihadista, dapprima con l’attentato del museo Bardo a Tunisi, dove morirono ventidue persone, ventuno gli stranieri. E ora quello di Sousse. Il governo tunisino era convinto di aver smantellato la rete terroristica, responsabile del primo attacco, ma evidentemente così non è stato: entrambi gli attentati sono stati rivendicati da l’ “Etat islamique”, cioè lo Stato Islamico.
Secondo Amna Guellali, responsabile dell’ufficio di “Human Rights Watch” in Tunisia, questa volta lo stato d’emergenza troverà un’applicazione ferrea, non sarà come negli anni 2011-2014. “D’altronde – precisa la Guellali – qui si tratta di terrorismo e l’opinione pubblica chiede garanzie sulla sicurezza”. I governatori avranno poteri esorbitanti ed eccezionali, dunque avranno facoltà di controllare la stampa, le manifestazioni, la libertà di movimento e altro.
Pochi giorni dopo l’attacco a Sousse, il primo ministro tunisino, Habib Essid, aveva già annunciato una serie di misure di sicurezza, come la chiusura di ottanta moschee, che in qualche modo erano riuscite a eludere il controllo del governo. Negli ultimi giorni alcune di queste, riconducibili al movimento radicale salafista, sono state chiuse dalla polizia e alcuni Imam sono stati destituiti. Queste misure hanno suscitato malumore tra i fedeli, specie a Sousse e Sidi-Bouzid. Secondo alcuni analisti sembra che queste agitazioni abbiano avuto un certo peso sulla decisione del presidente nel proclamare lo stato d’emergenza.
L’inchiesta della polizia sull’attentato di Sousse ha portato all’arresto di otto persone sospette, tra le quali anche una donna. E’ anche emerso che c’è un collegamento tra loro e gli attentatori del museo del Bardo. Tutti sarebbero stati addestrati in un campo jihadista tunisino in Libia, a Sabratha, a un centinaio di chilometri dal confine con la Tunisia. Altre due persone sono tutt’ora ricercate. Secondo fonti ufficiali sarebbero nuovamente in Libia. Alcuni alti funzionari tunisini sono stati silurati dopo l’attentato del 26 giugno, tra loro anche il governatore di Sousse.
Cornelia I. Toelgyes
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