Incoerenze, paure e minacce: così i rifugiati eritrei filo-regime possono perdere lo status di profugo

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NEWS ANALYSIS
Africa ExPress

Dopo la pubblicazione del rapporto dell’Alta Commissione delle Nazioni Unite sulla violazione dei Diritti Umani in Eritrea, il regime di Isayas Afeworky accusa il colpo e organizza una manifestazione di protesta a Ginevra per il giorno 22 giugno.

Nei video di propaganda lanciati in rete dal regime, viene mostrata una folla sorridente che sventola una moltitudine di  bandiere colorate e ripete slogan al tempo di inni dittatoriali. Eccone qui sotto un esempio.

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Per chi è abituato a identificate gli eritrei con le migliaia di profughi che fuggono dal loro paese massacrato, è davvero difficile capire chi sono questi altri eritrei allegri e ben vestiti che hanno ancora il coraggio di sostenere una dittatura ormai conclamata e riconosciuta da tutto il mondo, paragonabile solo a quella della Corea del Nord.

Se si riesce ad allontanare per qualche minuto il ricordo dei barconi, delle stazioni affollate di gente allo sbando, del traffico di esseri umani, delle prigioni segrete, delle torture e si cerca di analizzare chi sono gli Eritrei che da tutta Europa il 21 sera prenderanno i pullman per andare a Ginevra, forse la questione potrebbe apparire di più facile comprensione.

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Sono persone che per convinzione o per costrizione fanno parte della comunità eritrea filogovernativa, le cui attività, organizzate periodicamente nelle principali città europee, sono assolutamente imposte e controllate dalle ambasciate e dai consolati della dittatura. Tali attività sono inoltre spesso avvallate e sostenute dal governo italiano che recentemente, anche in seguito al processo di Khartoum, ha rafforzato le relazioni di amicizia Italia–Eritrea.

Ufficialmente per tentare di riavviare i rapporti di cooperazione con l’ex colonia e per mediare a livello europeo. La visita del viceministro Lapo Pistelli ad Asmara di qualche mese fa ha però di fatto ottenuto il risultato di consolidare le ambigue strategie politiche del regime. L’Italia ha già commesso parecchi errori nella sua ex colonia. Qualche anno fa, per esempio, furono regalati alcuni camion per trasportare aiuti umanitari. Poco dopo quei veicoli furono consegnati all’esercito, che in fatto di repressione delle libertà se ne intende.

Pistelli ha parlato di nuovo di aiuti umanitari, ma, in realtà, c’è il sospetto che cibo, medicine e altro servano a finanziare progetti di rimpatrio di chi è riuscito a scappare dall’inferno e programmi di rafforzamento delle frontiere per impedire ai poveracci di fuggire. Naturalmente i politici – non solo italiani ma anche europei – fingono di non sapere – grave responsabilità – che chi viene rispedito il patria verrà trattato come un traditore e condannato a morte certa.dimostrazioe

La comunità eritrea filogovernativa è l’organizzazione che funge da base per collusioni politiche di più ampie dimensioni e le persone che ne fanno parte sono coloro che per convinzione o per costrizione devono pagare una tassa del 2 per cento al governo eritreo, e questo vale anche per chi le tasse le paga già nel paese occidentale in cui da anni o da generazioni vive.

Sono coloro che, in nome di un nazionalismo esasperato, sostengono un regime che manda al macello i giovani costretti a rimanere in patria, tanto i loro figli studiano nelle migliori università del mondo; sono persone ricattabili in quanto, possedendo proprietà in Eritrea (specialmente case di villeggiatura, che usano solo per le vacanze), non possono avere nessun tipo di opinione o voce in capitolo che contrasti con i dictat del governo; sono persone che non si ribellano alle imposizioni per paura di ritorsioni sui familiari rimasti in Eritrea; sono persone che, se trovano scuse per non partecipare alle manifestazioni, vengono ulteriormente tassate; sono persone anziane che hanno perso uno o più figli nella guerra di liberazione  e che non riescono ad ammettere che il sogno di libertà ed indipendenza si è trasformato in un incubo; sono i giovani del YPFDJ (la sezione giovanile del partito unico): belli, colti, esaltati, fanatici  e qualche volta violenti che spesso non parlano neanche una parola di tigrino, né di arabo perché nati e cresciuti all’estero, ma che si sentono profondamente eritrei; sono quelli che a Sawa, l’infernale campo di addestramento militare, ci vanno talvolta a passare due settimane di vacanza per poi fare una scellerata opera di propaganda sul valore dell’addestramento militare, in cui purtroppo rimane imprigionato per sempre chi il passaporto europeo, americano o australiano non ce l’ha.

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Inquieta però una cosa, forse più delle altre: a questa manifestazione con tutta probabilità parteciperanno anche giovani eritrei che hanno conseguito lo status di rifugiato politico e che poi si sono messi al servizio del regime. Di ciò si è già avuta certezza durante l’ultimo festival eritreo di Bologna in cui rappresentanti dell’Associazione Asper, che da anni denuncia la violenza del regime, hanno avuto modo di constatare che il servizio d’ordine all’ingresso del festival era svolto proprio da rifugiati politici. Intervistati, non hanno avuto alcun problema ad ammettere di esserlo. Potremmo chiamarli traditori, vigliacchi, venduti, ma probabilmente non è così: sono solo giovani spaventati, traumatizzati e delusi, cui già da tempo è stato tolto ogni ideale e ogni speranza.

Probabilmente saranno proprio loro a pagare il prezzo più alto. Prima o poi qualcuno si accorgerà che da rifugiati politici perché perseguitati dalla dittatura, partecipano alle manifestazioni a favore della dittatura che li perseguita. Il risultato rischia di essere drammatico: la revoca dello status di rifugiato con conseguente rimpatrio forzato. In un modo o nell’altro i tiranni sono vendicativi.

Africa ExPress
21 giugno 2015

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