Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
25 ottobre 2005
Nonostante l’Eritrea sia oggi considerato il governo più repressivo di tutta l’Africa (Zimbabwe compreso), l’Italia continua ad avere ottime buone relazioni con il governo di Asmara, probabilmente anche grazie ai buoni uffici di Pier Gianni Prosperini, assessore allo Sport della Regione Lombardia per Alleanza Nazionale, e rappresentante e portavoce del governo eritreo in Italia.
Prosperini sull’Eritrea ha idee molto diverse da quelle del Parlamento Europeo che il 19 novembre 2004, con una mozione assai dura, ha censurato la dirigenza del Paese per violazione dei diritti umani. Durante un’intervista rilasciata a Raffaele Masto, di Radio Popolare, Prosperini infatti ha sostenuto che i giovani eritrei “Vengono in Occidente a cercare una qualità della vita migliore. Non certamente fuggono per motivi politici o disagio personale. Vengono verso un mondo di lustrini dove si può guadagnare di più”.
Sempre secondo il rappresentante di Alleanza Nazionale, “il dialogo interno è stato fomentato dai traditori dell’Eritrea per svendere l’Eritrea all’Etiopia, come quel gruppo di giornalisti e di dirigenti (arrestato nel settembre 2001, ndr). E’ meglio che non si sappia dove sono, altrimenti se li dovessero giudicare e dovessero fare un processo, secondo le leggi vigenti, li dovrebbero fucilare. Sono in carcere, stanno aspettando. Io gli avrei dato l’ergastolo”.
Processo sommario già fatto. Quello che sorprende di più, è però il rapporto 2004, l’ultimo in ordine di tempo, dell’ICE, l’Istituto per il Commercio Estero, sull’Eritrea. L’organismo che dovrebbe consigliare gli investitori italiani in cerca di nuovi orizzonti, non fa alcuna menzione delle gravi violazioni dei diritti umani. Secondo la relazione, “Esponenti del Governo locale hanno visitato il nostro paese contattando personalmente istituzioni economiche private e pubbliche al fine di promuovere investimenti in Eritrea. In tal modo essi intendono offrire una sorta di tutela informale all’investitore, capace di controbilanciare i costi derivanti dalle incertezze sulla prassi legislativa e burocratica. Tale ambiente favorevole ha attratto alcune compagnie italiane, che hanno intrapreso degli investimenti, in alcuni casi anche consistenti”. Un modo di vedere le cose assai singolare. Infatti in Eritrea non c’è “incertezza sulla prassi legislativa e burocratica”.
Come sostengono alcuni italiani costretti letteralmente “a scappare in mutande pur di salvare la pelle” c’è l’arbitrio delle autorità che sospendono licenze, sequestrano conti bancari, applicano improvvisamente tasse e balzelli, affamate come sono di valuta pregiata. Secondo l’Ice il rischio Paese è “dovuto principalmente alla situazione di tensione con l’Etiopia” anche se in un altro punto del rapporto si sostiene che “gli investimenti diretti esteri auspicati dal Governo locale soffrono per una certa mancanza di informazioni sulle procedure di attuazione e per l’ inesperienza della burocrazia”.
La colpa è dunque dell’”insesperienza” e non di precise direttive politiche. Comunque il rapporto non cita neppure l’espulsione dell’ambasciatore italiano Antonio Bandini, avvenuta il 1° ottobre 2001.
Le autorità eritree lo attaccarono personalmente (“l’Italia non c’entra, ce l’abbiamo solo con quell’uomo”, sostennero e alla Farnesina, sembrerebbe dagli atteggiamenti assunti, compresa la mancata sospensione della cooperazione, gli credettero) perché il diplomatico, che in quel momento rappresentava anche l’Unione Europea, con grande coraggio, aveva presentato una lettera di protesta a proposito dell’arresto arbitrario dei 11 dirigenti del regime avvenuta il 18 settembre e per la chiusura dei giornali indipendenti.
L’Ice non parla neppure delle decine di progetti avviati e chiusi per volere delle autorità in questi anni, come quello sperimentale di acquacoltura a Massawa per l’allevamento di gamberetti. Il piano (furono investiti 10 milioni di dollari) aveva anche finalità ecologiche. Era una joint-venture tra il governo eritreo e una società americana, la Seaohire di Phoenix, Arizona.
Carl Hodges, il suo ideatore, dovette scappare dal Paese e abbandonare tutto. Il governo l’aveva accusato di essere una spia. L’Eritrea nei giorni scorsi ha anche espulso la più grossa agenzia di aiuti umanitari, l’americana governativa USAID e ha confiscato le automobili del Mine Action Capacity Building Programme , l’organizzazione incaricata dall’Onu dello sminamento del Paese, mettendole a disposizione del suo esercito.
Ciononostante tre giorni fa, il 9 settembre, il governo italiano ha prestato agli eritrei 36 milioni di dollari a basso tasso di interesse e a lungo termine. Sono serviti per comprare 380 nuovi camion. Secondo le autorità di Asmara, i mezzi , consegnati dall’ambasciatore italiano ad Asmara Emanuele Pignatelli, verranno utilizzati per progetti di sviluppo.
Ma è ancora vivo il ricordo dei camion regalati alla fine degli anni ’80 dal Fai (il Fondo Aiuti Italiani, guidato da Francesco Forte) ai dittatori dei Paesi africani e finiti inesorabilmente nelle mani dei soldati.
Sempre secondo l’Ice in Eritrea sono presenti alcune società italiane: L’ “Italcantieri S.p.a.”, l’impresa edilizia di Paolo Berlusconi, impegnata nella costruzione di un migliaio di villette a Massawa. Molti in Eritrea la considerano responsabile dello sbancamento di una parte delle banchine dell’antica città costiera, considerata dall’Unesco una delle perle del mondo.
La “ZAER plc”, appartenente al Gruppo Zambaiti, che ha rilevato uno storico stabilimento tessile appartenuto al Cotonificio Barattolo e confiscato (quando ancora l’Eritrea era considerata dall’Etiopia una sua provincia) dal vecchio regime di Mengistu Hailè Mariam, dittatore ad Addis Abeba. La “Golden Star Brewers”, joint-venture privata italo-eritrea attiva nel settore della produzione di birra, che possiede uno stabilimento confiscato alla famiglia Melotti.
Infine le amicizie italiane di Isayas. Da buon bipartisan il dittatore fa affari con tutti, destra e sinistra: è buon amico del presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, che viene spesso a trovare al Pirellone, e del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che ha ospitato il rais e la sua famiglia nella sua villa in Sardegna. Ma Isayas fa affari anche con la regione Marche e la regione Liguria.
Da tempo circola poi un’indiscrezione. Isayas viene molto spesso in Italia per cure mediche (non si sa bene se sia malato o se si sottoponga a periodici controlli). Nessuno sa dove vada e chi lo ospiti. La sua presenza è stata segnalata perfino al raduno degli alpini, il 16 maggio dell’anno scorso, a Trieste. Qualcuno all’Onu parla però già di inserirlo nella lista dei dittatori sottoposti a travel ban, cioè che non possono viaggiare, e al congelamento dei loro conti in banca all’estero. Al Palazzo di vetro, assicurano gli esuli eritrei, è già partita una campagna in tal senso.
Massimo A. Alberizzi
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