Speciale Per Africa ExPress
Eugenia Montse*
18 novembre 2024
Cosa sapeva degli attacchi del 7 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu? Un’inchiesta in corso in questo momento in Israele vede sul banco degli imputati i suoi assistenti, per aver possibilmente alterato i verbali di una conversazione del capo di governo con un ufficiale di primo rango dell’esercito, che lo avrebbe avvisato, ore prima dell’assalto, di ciò che si stava preparando da parte di Hamas.
Lo scrive il New York Times, e l’accusa, riferisce il quotidiano, è solo una delle tante rivolte agli assistenti di Netanyahu nelle ultime settimane.
Trascrizioni alterate
I funzionari sono indagati per aver fatto trapelare documenti militari riservati, alterato le trascrizioni ufficiali delle sue conversazioni e intimidito le persone che controllavano l’accesso a quei file.
L’inchiesta del NY Times è basata largamente su fonti anonime, le persone coinvolte nell’indagine hanno ricevuto l’ordine di massima riservatezza, il che non consente, al momento, di comprendere quale sia l’effettiva portata delle accuse.
Quadro serio
Il quotidiano newyorchese mette però insieme tutti i suoi “cosa sappiamo finora”, compilando in questo modo un quadro piuttosto serio delle possibili responsabilità dello staff del Primo ministro.
L’indagine ha preso infatti abbrivio da una denuncia presentata dal general maggiore Avi Gil, che il 7 ottobre ricopriva la carica di segretario militare del Primo ministro (ha lasciato l’incarico a maggio scorso) e con il quale Netanyahu intrattenne numerose conversazioni la mattina del 7 ottobre.
Denuncia scritta
Gil, scrive il NYT, “ha denunciato per iscritto al procuratore generale che le trascrizioni ufficiali delle telefonate avute quella mattina con il primo ministro sembravano essere state alterate”.
In particolare, di una delle conversazioni in cui Gil avvisava Netanyahu che centinaia di agenti di Hamas sembravano sul punto di invadere, sarebbe stato alterato, nelle trascrizioni ufficiali, il dettaglio non secondario dell’orario in cui la chiamata era avvenuta.
Non secondario innanzitutto perché Netanyahu sostiene fin dall’inizio di non aver ricevuto nessun tipo di allerta sui movimenti di Hamas al confine di Gaza, e perché ha sempre rifiutato l’avvio di una inchiesta ufficiale che mettesse in luce le responsabilità dei vertici politici e militari, comprese le sue, per non aver né visto né impedito in tempo la realizzazione di una carneficina.
Senza fiducia
Era una delle richieste dell’ex ministro della Difesa Yoav Gallant, sollevato dall’incarico qualche settimana fa per il “venir meno della fiducia”.
Prosegue il NYT raccontando di un ufficiale il cui compito era controllare l’accesso alle registrazioni telefoniche e che sarebbe stato ricattato da un alto funzionario dell’entourage del Primo ministro, lo stesso che avrebbe chiesto di alterare le trascrizioni delle telefonate, attraverso un video che, se diffuso, gli avrebbe procurato notevole imbarazzo.
Documento alla Bild
Infine, i funzionari sono anche accusati, da sei ufficiali diversi, di aver inoltrato un documento altamente riservato a un organo di stampa estero, specificamente il quotidiano tedesco Bild.
Un documento che poi Netanyahu stesso citò in un suo intervento a settembre scorso, per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica la sua posizione contraria a qualsiasi trattativa per il rilascio degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Famiglie degli ostaggi
Bild aveva scritto, nel suo articolo, che sulla base di quel documento si deduceva che Hamas stesse cercando di manipolare le famiglie degli ostaggi, per convincere Netanyahu a scendere a compromessi nei colloqui di tregua e ad accettare termini meno favorevoli a Israele.
Netanyahu aveva dunque citato, nel suo discorso, proprio l’articolo di Bild per sostenere che Hamas stesse cercando di “seminare discordia tra noi, di usare la guerra psicologica sulle famiglie degli ostaggi”.
Prima circostanza
Non si tratterebbe certo della prima circostanza in cui ufficiali e funzionari dell’esercito inviano a organi di stampa documenti riservati, ma in questo caso il database dell’intelligence militare era altamente riservato, e gli ufficiali accusati di aver fatto trapelare il documento sono stati arrestati, cosa che raramente avviene nei ranghi dell’esercito israeliano per vicende legate ai leak.
Il giornale tedesco si è rifiutato, chiaramente, di rivelare la fonte da cui aveva ricevuto il testo.
Lasciar correre
La questione di quanto realmente Netanyahu sapesse degli attacchi del 7 ottobre, e di quanto eventualmente abbia lasciato correre sacrificando la vita delle persone uccise e prese in ostaggio si trascina in Israele, in un certo senso, dal giorno stesso dell’Al Aqsa Flood (cioè l’attacco del 7 ottobre, ndr).
Già pochissimi giorni dopo, infatti, i giornali hanno pubblicato la notizia che l’intelligence egiziana avesse avvisato Israele, tre giorni prima del 7 ottobre, che si stesse preparando un attacco nei territori israeliani.
Una notizia, data dall’Associated Press, smentita dal gabinetto di Netanyahu ma confermata dall’intelligence americana, sebbene non chiara riguardo a quali termini fossero stati utilizzati dagli egiziani per descrivere l’attacco in preparazione e a quale livello nella scala gerarchica militare fosse stata inviata.
Difesa femminile
A dicembre dell’anno scorso, poi, alcuni giornali hanno scritto di come le “spotter” israeliane, l’unità di difesa femminile con il compito di monitorare le mosse di Hamas nella Striscia di Gaza, avesse avvisato di movimenti insoliti già mesi prima dell’attacco, e che però le loro comunicazioni si fossero “perse nella catena di comando”.
La denuncia era partita dalla base di Nahal Oz, nel sud di Israele, una di quelle poi assaltate da Hamas. Solo due delle militari in servizio si salvarono quel giorno: sei furono rapite, quattordici uccise.
Eugenia Montse*
eugenialidiamontse@gmail.com
© RIPRODUZIONE RISERVATA
*nome de plume per motivi di copyright che sveleremo tra qualche giorno.
Questo l’articolo del New YorkTimes di cui si parla
Aides to Benjamin Netanyahu are under investigation over accusations of leaks, record-doctoring and intimidation. The Israeli prime minister’s office denies the claims.
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