Esercito evacua suore straniere dall’inferno di Khartoum

Poiché l'ordine religioso è italiano ha fatto credere che le suore fossero nostre connazionali

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
12 agosto 2024

Cinque suore (quattro indiane e una polacca della congregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice), un padre salesiano (Jacob Thelekkadan, di origine indiana), un volontario, Chan Mabek, e diversi cittadini sud sudanesi, sono stati evacuati con l’aiuto delle forze armate del Sudan (SAF). Hanno trascorso oltre un anno nell’inferno della capitale Khartoum, quasi totalmente distrutta dalla guerra iniziata il 15 aprile 2023. Dopo giorni e giorni di viaggio, costellato da pericoli e insidie, la comitiva è arrivata sana e salva a Port Sudan pochi giorni fa.

Una delle suore evacuate proviene dalla Polonia. Le altre 4, come il padre, sono originari dall’India

Molti quotidiani sudanesi e anche internazionali hanno parlato di una evacuazione di religiosi italiani, eppure nel gruppo non c’era nemmeno un nostro connazionale. E’ successo perché trattandosi di congregazioni religiose con un marcato stampo italiano, (come, per esempio, i salesiani, il cui fondatore è don Bosco) molti sono convinti che i membri siano della stessa nazionalità.

Persino SAF (Forze Armate Sudanesi), ha sottolineato in un comunicato: “L’esercito sudanese e il General Intelligence Service hanno evacuato con successo dalla loro residenza a sud di Khartoum cinque suore cattoliche italiane, un sacerdote e venti cittadini sud-sudanesi”. E ha aggiunto: “Le Forze armate sudanesi hanno effettuato con successo l’evacuazione a Omdurman e poi il viaggio verso a Port Sudan.

Le suore delle Figlie di Maria Ausiliatrice hanno gestito per anni una scuola, la Dar Maryam Primary School, che si trova nella zona di Al Shajara, un quartiere a sud della capitale Khartoum, che comprende anche una scuola materna. L’istituto era per lo più frequentato da piccoli rifugiati sud sudanesi. La residenza delle religiose è confinante con il complesso scolastico.

Poche settimane prima dell’evacuazione, padre Jacob ha raccontato che la missione ha accolto un’ottantina di persone in difficoltà. “Manca tutto, soprattutto il cibo, non sappiamo più cosa mangiare. Le suore hanno dovuto cuocere foglie di alberi per riempire il pancino dei piccoli, mentre noi adulti siamo ormai abituati a saltare i pasti. Da quando è iniziata la guerra non faccio altro che aggiungere nuovi buchi alla cintura dei miei pantaloni”.

Padre Jakob a Port Sudan mentre racconta cosa succede a Khartoum

Il tetto dell’edificio principale è stato danneggiato dalle granate e alcune parti degli alloggi delle suore sono state incendiati. Sulle pareti fanno bella mostra fori di proiettili.

L’area di Al Shajara, che ospita installazioni militari chiave, è tra i punti focali del conflitto tra l’esercito e le Rapid Support Forces (gli ex janjaweed), scoppiato nell’aprile 2023. I paramilitari hanno ripetutamente cercato di prendere il controllo dell’area, ma l’esercito ha finora respinto gli attacchi.

Già a dicembre la Croce Rossa aveva cercato di portare in salvo i membri della missione, tentativo fallito. Il convoglio era stato attaccato.

Subito dopo l’evacuazione da Khartoum, avvenuta nella notte tra il 28 e 29 luglio, il gruppo è stato portato a Omdurman, città gemella della capitale, sulla sponda occidentale del Nilo, dopo aver attraversato in barca il fiume in una notte buia, senza luna. Poi la comitiva è rimasta per qualche giorno nella casa delle Missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta. L’edificio, ancora in condizioni discrete, non è stato chiuso dopo la partenza delle religiose. L’istituto è attualmente gestito da personale locale.

Le 5 suore e il padre accolti festosamente a Port Sudan da altri religiosi

Il gruppo è approdato a Port Sudan il 7 agosto. I cosiddetti “italiani” sono stati accolti dalla comunità dei Comboniani, dove sono presenti alcuni padri, nostri connazionali e da due congregazioni di suore (religiose della Visitazione e di Madre Teresa di Calcutta, entrambe fondate da indiani).

L’ex protettorato anglo-egiziano sta per entrare nel 16esimo mese di guerra. Le due parti in conflitto, Rapid Support Forces, capeggiate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemetti, da un lato, e le Forze armate sudanesi (SAF), comandate da Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, presidente del Consiglio Sovrano e di fatto capo dello Stato, dall’altro, hanno devastato quasi tutto il Paese e messo in ginocchio gran parte della popolazione.

Oltre 11 milioni di persone hanno dovuto lasciare le proprie case, tra questi ben più di 2 milioni hanno varcato i confini verso i Paesi limitrofi in cerca di protezione. “Oltre la metà dei sudanesi, è colpita da insicurezza alimentare”, ha comunicato martedì scorso Edem Wosornu, direttrice per le operazioni e advocacy presso l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), durante la sessione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sul Sudan.

Zamzam, Darfur, campo per sfollati

La fame, un’arma antica quanto il mondo, uccide non solo bambini, ma anche donne in gravidanza, madri, anziani e persone con disabilità. Martedì il PAM (Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite) ha dichiarato un’emergenza carestia nel grande campo per sfollati di Zamzam a sud di El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale, dove migliaia di persone stanno tentando di sopravvivere alla guerra.

E l’ambasciatore James Kariuki, vice rappresentante permanente del Regno Unito presso le Nazioni Unite, ha rincarato la dose durante il suo intervento al Consiglio di Sicurezza di questa settimana: “La carestia in Sudan è interamente causata dall’uomo. Oggi, per la fame, stanno morendo cento persone al giorno. Domani saranno molti di più, se le parti in conflitto continueranno la loro guerra per il potere”.

La pace nel Paese finora resta un’utopia. Durante questo fine settimana il governo di Khartoum ha inviato una delegazione a Gedda (Arabia Saudita) per consultazioni con alti funzionari di Washington a proposito dei prossimi colloqui per un cessate il fuoco, fortemente voluti dal governo di Joe Biden. I dialoghi prenderanno il via il prossimo 14 agosto a Ginevra.

L’incontro tra la delegazione USA, capeggiata da Tom Periello, rappresentante speciale per il Sudan e quella sudanese, capitanata da Mohamed Bashir Abu Nommo, a capo del dicastero dei Minerali, si è concluso senza alcun accordo sulla partecipazione del governo africano ai dialoghi in Svizzera. Mentre le RSF hanno già confermato la presenza dei loro delegati.

Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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