Massimo A. Alberizzi
Milano, 12 novembre 2014
Gli stupri di massa sono ricominciati in Darfur. In un piccolo villaggio, Tabit, a 45 chilometri dal campo profughi di Zamzam, nei pressi di El Fasher, 200 donne sono state violentate dall’esercito governativo alla ricerca di un commilitone scomparso. Credevano fosse stato rapito dalla popolazione del villaggio e così si sono vendicati stuprando le donne.
L’UNAMID (United Nation Africa Mission in Darfur, ma missione mista ONU Africa Union), che ha inviato sul posto un gruppo d’investigatori, nega che l’episodio sia avvenuto e ha minimizzato l’accaduto. E’ scoppiata una forte polemica perché Radio Dabanga, un’emittente indipendente che dal 2008 trasmette dall’Olanda ed è diretta alle popolazioni del Darfur, ha confermato l’episodio arricchendolo di particolari.
La notizia è stata segnalata ad Africa Express dal nostro stringer a Khartoum secondo cui “gli abitanti di Tabit sono scioccati dalle conclusioni dell’ONU: “Non sono state trovate evidente e/o informazioni” sulla violenza di massa, sostiene un rapporto dell’UNAMID.
Secondo l’emittente sei giorni dopo gli stupri di massa una missione dei caschi blu ha visitato il villaggio, ma era accompagnata da rappresentanti del governo. Qualche giorno prima l’investigazione senza “angeli custodi” non era stata autorizzata. Un indizio inquietante.
“Una delegazione di cinque membri del Coordination Committee of Refugees and Displaced Persons in Darfur ha visitato il villaggio – ha raccontato uno del gruppo al giornalista di Radio Dabanga – . Siamo rientrati venerdì scorso dopo due giorni di investigazioni. Abbiamo incontrato 60 ragazze e giovani donne. Le abbiamo guardate nel profondo degli occhi quando ci hanno raccontato di essere state stuprate dai soldati dell’esercito dalle 8 della sera del 31 ottobre, fino alle 5 del mattino del giorno seguente”.
Il leader del comitato ai microfoni di Radio Dabanga ha calcato la dose: “Quando abbiamo letto le risultati delle Nazioni Unite siamo rimasti senza parole. Come hanno potuto concludere che il fatto non è accaduto se bastava parlare con queste donne per avere conferma degli stupri di massa? Abbiamo intervistato persino sette minori che ci hanno raccontato i fatti con parecchi dettagli”. Il comitato ha promesso un rapporto più circostanziato nei prossimi giorni.
Da un lato le testimonianze che stupri di massa ci siano stati veramente si moltiplicano, mentre dall’altro UNAMID continua a sostenere che non ci siano evidenze certe: “Non siam riusciti a raccogliere nessuna prova dei fatti”. C’è scritto in un comunicato, nel quale però si evita di raccontare l’importante dettaglio che gli investigatori erano accompagnati da 007 governativi.
E racconta ancora Radio Dabanga:”Prima dell’arrivo della delegazione di UNAMID a Tabit, il commisario del governo, Alumda Alhadi Abdallah Abdelrahman, ha apertamente minacciato la popolazione: ogni persona che avesse parlato degli stupri ne avrebbe pagato le conseguenze”.
Ovviamente nessuno ha avvicinato di sua spontanea volontà gli investigatori e i pochi che sono stati interrogati hanno negato qualunque cosa.
Le minacce sono state confermate con un tweet da Khalid Ewais, un reporter della televisione Al Arabiya TV. E’ stato lo stesso comandante militare a dare quest’ordine che ha suscitato il terrore tra la popolazione. Khalid ha raccontato anche che i soldati seguivano gli investigatori e registravano con i telefonini le loro conversazioni con la gente.
Radio Dabanga, per altro, nei giorni scorsi ha mandato in onda diverse interviste con le ragazze violentate e con due leader locali che hanno confermato gli stupri subiti da 200 donne o giù di lì, il 31 ottobre, quando i soldati sono entrati nel villaggio alla ricerca di un commilitone scomparso, rapito, secondo loro dalla popolazione locale.
I dirigenti delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana impegnati i Darfur sono stati sempre assai cauti nelle accuse contro il governo sudanese, forse per timore di essere espulsi. Già, ma grazie a questa arrendevolezza sono stati fatti passare sotto silenzio crimini inauditi come l’eccidio l’8 luglio 2004 nella scuola di Suleya, dove alcune studentesse sono state legate con manette e bruciate vive.
Le foto raccapriccianti dei poveri resti di quelle ragazze mi furono consegnate da un ufficiale keniota dell’Unione Africana in lacrime: “Sono stipate in un cassetto ad Addis Abeba (sede della UE, ndr) e nessuno le tira fuori, nessuno le sbatte sulla scrivania del presidente sudanese Omar Al Bashir . Lo faccia lei che è un giornalista”.
Quelle foto sono atroci e, anche se mostrano con chiarezza come la cattiveria umana può arrivare a tanto, non ho mai potuto pubblicarle e non posso farlo neppure ora, (le tengo però gelosamente conservate) per non ferire la sensibilità dei nostri lettori. Restano però una macchia indelebile sulla coscienza dei dirigenti sudanesi.
Massimo A. Alberizzi
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