Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
23 aprile 2024
Nuovo naufragio a largo di Gibuti. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), i morti sarebbero almeno 16, altri 28 sono i dispersi. L’imbarcazione trasportava 77 persone e le operazioni di ricerca e soccorso sono ancora in atto.
Si tratta del secondo naufragio nella zona nel giro di due settimane. L’8 aprile sono morti 38 migranti, tra loro anche un bambino. La cosiddetta “rotta orientale”, utilizzata da chi fugge dal Corno d’Africa per raggiungere l’Arabia Saudita, è considerata dall’OIM “una delle rotte migratorie più pericolose e complesse dell’Africa e del mondo”. Giacché oltre alla traversata via mare, chi è in cerca di un pezzo di pane e fugge da guerre e oppressione, è costretto a attraversare lo Yemen, devastato dalla guerra.
Prima di raggiungere Obock, sulla costa meridionale del Gibuti, da dove partono molte imbarcazioni alla volta dello Yemen, i migranti devono attraversare lande deserte, impervie, e caldissime e non di rado vengono rinvenuti resti umani nella regione del lago Assal, nella regione abitata degli Afar, che si trova a 155 metri sotto il livello del mare e rappresenta il punto più basso del continente africano. Muoiono di stenti, fame e sete. Altri annegano, appunto, durante la traversata.
Secondo OIM, nel 2023 sono morte quasi 700 persone lungo la rotta occidentale. Ma potrebbero essere ben di più, visto che non di rado le tragedie passano inosservate. Gli etiopi rappresentano il 79 per cento dei circa 100.000 migranti arrivati in Yemen nel 2023, mentre gli altri sono per lo più somali. La maggior parte dei fuggiaschi hanno detto di essere partiti per problemi economici, altri, invece, per conflitti, violenze o disastri climatici in Etiopia.
Si continua a partire, eppure il governo etiopico ha iniziato il rimpatrio dei propri concittadini proprio dall’Arabia Saudita. Il 12 aprile sono arrivati i primi 842 ad Addis Abeba. Secondo quanto riferito dal ministero degli Esteri, il governo di Abiy Ahmed intende riportare a casa nei prossimi 4 mesi oltre 70 mila etiopi, che attualmente si trovano in stato di detenzione, perché privi di documenti. L’annuncio dei rimpatri dei connazionali risale alla fine di marzo di quest’anno e nel comunicato è stato precisato che le spese di rimpatrio comprendono sia i biglietti aerei, sia la permanenza temporanea nei centri di passaggio ad Addis Abeba e anche un po’ di denaro per ricominciare la vita in patria. Secondo i piani del governo, nei prossimi quattro mesi sono previsti 12 voli settimanali da Riyad per riportare a casa gli etiopi privi di documenti.
Nel marzo 2022, Addis Abeba ha raggiunto un accordo con Riyad per rimpatriare oltre 100.000 cittadini, perché diversi gruppi per la difesa dei diritti umani avevano accusato il regno wahabita di maltrattare i lavoratori stranieri. Infatti in Arabia Saudita vige ancora la kafala, una legge che lega gli stranieri ai loro datori di lavoro e nega loro la possibilità di cambiare impiego senza il consenso del datore stesso. Chi prova a cambiare lavoro o a lasciare il Paese senza permesso, rischia di essere arrestato.
Chissà cosa troveranno nella loro terra d’origine le persone rimpatriate. Nel Paese persiste un clima di tensione. All’inizio di febbraio sono ripresi violenti combattimenti in una delle aree contese tra le regioni del Tigray e dell’Amhara (nel nord). Secondo le Nazioni Unite, sarebbero oltre 50 mila gli sfollati a causa degli scontri armati nelle città di Alamata, Raya Alamata, Zata e Ofla. Dopo alcuni mesi di relativa tranquillità, ad aprile si sono nuovamente intensificate le violenze e lo scorso mercoledì funzionari dell’Amhara hanno accusato combattenti del Tigray di aver invaso alcuni territori, violando totalmente l’accordo di Pretoria siglato nel novembre 2022 dal governo federale etiope e dai leader del Tigray.
Anche nella stessa regione settentrionale la situazione è sempre fragile e tesa; l’accordo di cessate il fuoco ha fermato armi e proiettili, ma a tutt’oggi il trattato non si è trasformato in un vero dialogo per raggiungere una pace duratura. La situazione umanitaria resta drammatica, aggravata da cambiamenti climatici e siccità.
Va sottolineato che nella zona orientale del Tigray, nel distretto di Irob, sono ancora presenti le truppe eritree, che controllano anche la strada che collega Irob Woreda a Adigrat, impedendo di fatto l’arrivo di aiuti umanitari.
Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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