Yemen: pericolo houthi, Washington ordina e l’Italia obbedisce

Mandare la nostra Marina Militare nel Mar Rosso è rischioso. Non è infatti da escludere un attacco con i droni armati, assemblati in Yemen con la supervisione di ingegneri iraniani.

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Dal Manifesto
Farian Sabahi*
20 dicembre 2023

Dopo un collegamento video con il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha annunciato che il 24 dicembre la Fregata ‘Virgilio Fasan’ dovrebbe attraversare lo stretto di Suez in direzione di Bab el-Mandeb. Dallo “Stretto delle lacrime” da cui transitano ogni anno 23mila navi, il 15 percento del greggio e l’8 percento del gas del pianeta. La nave da guerra italiana va così ad unirsi alla nuova forza internazionale di protezione marittima per vigilare sulla navigazione nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden.

L’obiettivo è garantire la protezione dei traffici mercantili, in pericolo per gli attacchi degli Huthi che inizialmente volevano “impedire i rifornimenti a Israele finché a Gaza non potranno entrare cibo e medicinali”, e ora minacciano qualsiasi Paese agisca contro di loro. In seguito agli attacchi, sono aumentati i costi assicurativi e di trasporto: circumnavigando l’Africa si alzano l prezzi del greggio, del gas e delle merci diretta in Europa.

Il video diffuso dagli houthi mostra il sequestro di un mercantile nel Mar Rosso 

Una precisazione: gli Huthi non sono “ribelli” bensì i padroni dello Yemen del nord. Per decenni l’ex presidente Ali Abdallah Saleh li aveva lasciati in una situazione di povertà imposta, ovvero senza le infrastrutture indispensabili alla crescita economica e quindi senza strade, scuole e ospedali. Saleh agì in questo modo pensando di poterli manovrare meglio e usarli come contropartita nel gioco con l’Arabia Saudita.

Negli Huthi, la strategia di povertà imposta suscitò però sentimenti di esclusione, ingiustizia e ribellione. E, infatti, all’indomani della Primavera yemenita e alla cacciata del presidente Saleh, presero il potere a Sanaa. Di lì a poco, nel marzo 2015, i sauditi bombardarono la capitale yemenita perché non potevano tollerare che una minoranza sciita filoiraniana prendesse il controllo di Bab el-Mandeb.

Gli Huthi fanno parte dell’Asse della resistenza filoiraniano. Se gli Hezbollah obbligano Israele a tenere impegnati diversi battaglioni sul confine settentrionale, gli Huthi si sono inseriti nella guerra tra Israele e palestinesi perché vogliono dimostrare agli altri proxy dell’Iran di contare qualcosa. Da Teheran hanno ricevuto sostegno finanziario e know-how militare.

Nelle due foto milizie Houthi

Ora, destabilizzando il Mar Rosso per conto dei pasdaran, ripagano il debito contratto ma per la popolazione yemenita le conseguenze potrebbero essere disastrose. Come gli Hezbollah libanesi, gli Huthi sono attori indipendenti, con una propria agenda: il loro obiettivo è ottenere una qualche legittimità, in primis da parte della Lega Araba a guida saudita. Ed è a Riad e ad Abu Dhabi – ovvero alle due potenze regionali che in questi otto anni hanno distrutto lo Yemen, riducendone gli abitanti allo stremo – che arriva un messaggio forte e chiaro: “Siamo in grado di colpire le navi nel Mar Rosso, potremmo colpire anche i vostri giacimenti e le vostre città”.

Ora, mandare la nostra Marina Militare nel Mar Rosso è rischioso. Non è infatti da escludere un attacco con i droni armati: gli Huthi ne hanno otto diverse tipologie, assemblati in Yemen con la supervisione di ingegneri iraniani. Tra gli scenari peggiori ci potrebbe essere un’operazione degli Huthi per prendere ostaggi. Oppure il coinvolgimento di civili come nel febbraio 2012, quanto due marò imbarcati sulla petroliera italiana Enrica Lexie come nuclei militari di protezione, furono arrestati dalla polizia indiana con l’accusa di aver ucciso due pescatori, innescando una lunga controversia tra Italia e India.

Inviare la Marina Militare davanti alle coste yemenite avrebbe avuto senso qualche anno fa, come operazione umanitaria, quando la popolazione era vittima di un blocco aeronavale dell’Arabia Saudita che impediva alle organizzazioni umanitarie di recapitare cibo e medicine, anche per contrastare l’epidemia di colera.

Oggi, anziché muovere le navi da guerra, sarebbe opportuno lasciare una possibilità alla diplomazia: in quanto storicamente partner privilegiato di Teheran, l’Italia potrebbe chiedere ai vertici della Repubblica islamica di mediare. È vero che gli Huthi non rispondono agli ordini di Teheran, ma fanno parte dell’Asse della resistenza e – di fronte a una richiesta di ayatollah e pasdaran – dovrebbero acconsentire e fermare gli attacchi, consapevoli che la partita si gioca su più fronti. E, infatti, in cambio di una richiesta esplicita di Roma a Teheran, si dovrebbe dare qualcosa in cambio: la ripresa dei negoziati sul nucleare, il riconoscimento degli Huthi e la fine della guerra in Yemen.

Farian Sabahi*
farian.sabahi@gmail.com

*l’italo-iraniana Farian Sabahi vanta un Ph.D. alla SOAS (School of Oriental and African Studies) di Londra, è Ricercatrice senior in Storia contemporanea, insegna all’Università dell’Insubri (Como e Varese) è delegata per gli affari istituzionali e diplomatici presso il Dipartimento di Scienza Umane e dell’Innovazione per il Territorio.

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