Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
Kharkiv (Ucraina), 27 dicembre 2023
“D’inverno il pomeriggio è già buio. E fa un po’ paura”, sono le prime parole che dice Demian.
Il sole è appena sorto, ma la giornata resta grigia e uggiosa. Campi ricoperti di erbacce, ponti stretti e strade sterrate, sono il panorama dell’Ucraina dei bambini.
Aggiunge: “Prima camminavo per tre chilometri per andare a scuola, adesso non ci vado più e mi dispiace”.
Era notte fonda quando ha sentito per la prima volta gli spari. E il mondo si è trasformato in un brutto sogno. Durante il giorno l’incubo continua.
Demian partecipava alle attività del Teatro per Bambini e Giovani di Kharkiv (in ucraino – Харківський театр для дітей та юнацтва), prima dell’inizio della guerra. Nel luglio dello scorso anno un’onda esplosiva ha distrutto parte dell’edificio. Oggi sono rimaste crepe sui muri e finestre chiuse con quegli anonimi pannelli di legno, che si vedono nelle case di tutta la città.
Gran parte della troupe del teatro è stata evacuata per mesi. Ma nessuno si è veramente arreso. Alcuni attori hanno adattato giochi e spettacoli nei rifugi antiaerei, dove tutto sembrava più sicuro e confortevole.
Quest’anno la stagione teatrale a Kharkiv è stata ufficialmente riaperta, seppur con il coprifuoco da rispettare. “Qualche mese fa sono tornato anche io nel mio teatro. Per un po’ ho dimenticato la miseria. Le attività e i giochi mi ricordavano la vita prima della guerra”, racconta Demian, molto più saggio della sua età.
Katerina aggiunge “Gli operai del teatro si nascondevano nel seminterrato. E poi hanno allestito lì un rifugio in caso di bombardamenti”. Mentre fuori la violenza non ha fatto altro che peggiorare, il rifugio ha permesso di continuare l’attività del teatro. Poteva contenere fino a 50 persone. “Sotto, il rumore della guerra sembrava più lontano”, spiega Katerina.
Tanti piccoli attori si sono adattati al nuovo ambiente e al cambiamento nel modo di recitare. Per altri questa facciata pacifica è stata soltanto un’illusione.
Roman seduto sul tavolo, attacca il nemico con il suo esercito di carta. Trascorre le sue giornate costruendo carri armati, razzi e aeroplani in miniatura. “Voglio essere forte”, dice. I bambini che hanno vissuto la guerra spesso giocano alla guerra. È anche questo un modo per capire. Roman prende un foglio bianco e ci disegna sopra una grande croce rossa. Ci spiega, con una sorprendente serietà, che quello è un ospedale, perché oltre a aerei che lanciano bombe “le persone devono essere guarite”. Dai bambini si impara qualcosa di nuovo ogni volta.
Katerina racconta che a febbraio dell’anno scorso è scappata da Kharkiv con la sua famiglia “Il mio palazzo tremava, quindi sono andata in un’altra città ma non mi ricordo il nome. Non potevamo tornare a casa perché lì sparavano i razzi. Ma il letto era strano e la lingua era strana”. D’altronde ha solo 5 anni. Quando sono tornati a Kharkiv, hanno dormito per giorni nella cantina interrata del giardino dove conservavano le patate.
“Anche con cappotti e cappelli”, continua Katerina. Ma ha sferrato un sorriso che brillava di futuro. Più di tutto era contenta di tornare in teatro. Il personale ha organizzato alcuni spettacoli nella metro di Kharkiv. E Katerina era lì.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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