Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 24 luglio 2014
Gli attacchi si susseguono senza sosta. Bombe su bombe mietono morte, disperazione, paura in tutto il nord della Nigeria. Ieri a Kaduna, capitale dello stato di Kaduna nel centro-nord del Paese, due attacchi nel giro di novanta minuti.
La prima esplosione ha avuto come obbiettivo un predicatore musulmano, Dahim Bauchi. Aveva appena terminato di pregare con migliaia di fedeli nella moschea di Murtala Muhammed Road. Mentre stava percorrendo una delle strade principali della città, la Alaki Road, a bordo della sua auto, una decapottabile, la terribile esplosione. Un kamikaze ha cercato di avvicinarsi, ma è stato fermato in tempo dalle sue guardie del corpo, come hanno riferito testimoni oculari e il capo della polizia di Kaduna, Shehu Umar Ambursa. Bauchi si è salvato, 32 corpi dilaniati di persone innocenti ovunque, vetture distrutte.
Poco dopo il secondo attacco. Questa volta era diretto contro Muhammadu Buhari, ex ufficiale e membro anziano del partito dell’opposizione “All progressive congress party”. Una macchina imbottita di esplosivo ha investito un’auto del suo convoglio ed è scoppiata. Buhari è rimasto illeso. Almeno cinquanta i morti. I due attentati portano la firma del terribile gruppo Boko Haram che da anni terrorizza il nord della Nigeria.
Il governatore dello Stato di Kaduna, Muktar Yeres, ha annunciato un coprifuoco per le prossime ventiquattro ore.
E oltre duecento ragazze, sequestrate a Chibok la notte del 14 aprile 2014 sono ancora nelle mani dei loro aguzzini. Il Ministro alla difesa nigeriano, Aliyu Mohammed Gusau, ha affermato di sapere esattamente dove si trovano, ma ritiene un intervento militare troppo pericoloso perché molte delle giovani potrebbero essere uccise. Eppure molti governi occidentali e africani si erano resi disponibili per riportare le ragazze a casa. Ovunque nel web si leggeva #BringBackOurGirls, slogan che dopo cento giorni dal loro sequestro è quasi sparito nella rete. Si dimentica in fretta, specie quando si tratta di problematiche e sofferenze africane.
Durante questi cento giorni sono morti undici genitori. Alcuni in altri attacchi terroristici in villaggi vicini, altri per problemi cardiaci dovuti allo stress. Il padre di due ragazze rapite è caduto in una specie di coma, durante il quale ripeteva continuamente il nome delle figlie, fino all’ultimo respiro.
Cinquantasette ragazze sarebbero riuscite a fuggire dai rapitori, duecentodiciannove sarebbero ancora in mano ai terroristi, secondo voci ufficiali. Ma Pogu Bitrus, portavoce della comunità di Chibok afferma che sono ben di più. Non tutti i genitori hanno dato le generalità delle proprie figlie alle autorità per paura di ritorsioni.
In un video di pochi giorni fa, il leader di Boko Haram, Abubakar Shekau, si rivolge al presidente della Nigeria, Goodluck Jonathan, offrendogli nuovamente uno scambio: Le ragazze in cambio di membri della setta, attualmente detenuti in prigioni nigeriane.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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#BringBackOurGirls