Africa ExPress
22 marzo 2022
Mentre gli analisti finanziari fanno le loro periodiche proiezioni sui profitti e aspettative di redditività di Aramco (compagnia petrolifera di Stato saudita) e la Saudi Air Force con United States Air Force fanno esercitazioni congiunte antiterrorismo nei cieli del Regno, una pioggia di droni e missili balistici da crociera (di fabbricazione iraniana) delle milizie Huthi ha investito l’Arabia Saudita prendendo di mira impianti petroliferi, del gas naturale e infrastrutture per l’approvvigionamento energetico (tutte di Aramco), nonché strutture civili strategiche e vitali del Paese.
Ben 5 diversi attacchi huthi che hanno preso di mira impianti produttivi del Regno; una prima esplosione ha interessato il centro di distribuzione petrolchimico Aramco di Jeddah causando un vasto incendio e provocando un calo temporaneo nella produzione della raffineria ma senza causare vittime e/o feriti.
Altri quattro attacchi della milizie Huthi hanno interessato un impianto di dissalazione dell’acqua ad Al-Shaqeeq gestito sempre dalla compagnia petrolifera di Stato Aramco, una centrale elettrica a Dhahran Al-Janub, una stazione di servizio nella città di Khamis Mushayt e un’impianto di gas naturale liquefatto (GNL) Aramco a Yanbu nel Mar Rosso.
Le riprese video, le immagini pubblicate su Twitter dall’agenzia di stampa saudita (SPA) e sui quotidiani arabi odierni, mostrano danni a edifici e auto ma nessun danno a persone.
Quest’ultima escalation di attacchi Huthi pare essere la risposta dei ribelli dello Yemen volti a far fallire i negoziati per colloqui di pace e giunge dopo che il movimento sciita yemenita filo-iraniano ha formalmente respinto l’invito del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg) per un colloquio di pace da tenersi a Riyadh, in Arabia Saudita (tra il 29 marzo e il 7 aprile).
Il 20 marzo il consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, Jake Sullivan. ha dichiarato che gli Stati Uniti condannano gli attacchi Houthi alle infrastrutture civili dell’ Arabia Saudita e hanno invitato i ribellii a cooperare con le Nazioni Unite per ridurre l’attuale conflitto.
Infatti l’inviato speciale delle Nazioni Unite Hans Grundberg domenica ha affermato che starebbe discutendo una possibile tregua almeno durante il mese sacro del Ramadan, che inizia il prossimo mese di aprile.
I lanci di droni e missili balistici huthi in Arabia Saudita (forniti dall’Iran) ormai sono praticamente all’ordine del giorno tanto che quasi s’è perso il conto.
Le batterie antimissilistiche Patriot sono una delle armi più efficaci utilizzate dai sauditi e dagli Emirati Arabi Uniti per contrastare questi attacchi, ma ultimamente le scorte Patriot di Mohammed Bin Salman e di Mohammed Bin Zayed si sono quasi del tutto azzerate.
Provvidenzialmente è venuto in soccorso lo “Zio Sam” con la decisione di trasferire all’Arabia Saudita un consistente quantitativo di intercettori Patriot prelevandoli dalle scorte di munizioni statunitensi stoccate in Medio Oriente.
Un’operazione che non pare del tutto disinteressata; pompando armi all’Arabia Saudita l’amministrazione Biden spera che MBS poi, ricambi pompando a sua volta più petrolio agli States per mitigare l’impennata dei prezzi del greggio.
Del tutto casualmente qualche giorno fa (subito dopo il macabro spettacolo saudita) anche il premier britannico Boris Johnson è volato a Riyadh col cappello in mano per elemosinare un po’ di petrolio da MBS (in un’esecuzione di massa MBS ha fatto mozzare la testa a 81 persone). Sul mancato rispetto dei diritti umani, in tempi di austerity come questi, si può chiudere un’occhio, anche due …
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