Eritrea, i ricatti e le minacce a chi, residente all’estero, non paga la tassa del 2 per cento

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Per gentile concessione della rivista Popoli, pubblichiamo la seconda puntata dell’inchiesta di Enrico Casale sul balzello del 2 per cento che i cittadini eritrei all’estero sono costretti a pagare alle loro ambasciate o ai loro consolati, altrimenti gli viene negato il diritto ad avere i documenti o a spedire pacchio o corrispondenza ai loro cari in patria. La cosa più odiosa è che senza documenti dell’ambasciata, gli eritrei hanno anche difficltà ad ottenere documenti dalle autorità italiane.

Non è un caso che il Canada, pur non vietando all’Eritrea la riscossione del tributo sul suo territorio, abbia imposto che fossero adottati sistemi di pagamento “tracciabili”. Anche la Svizzera, sull’onda di una serie di segnalazioni da parte di immigrati eritrei, ha avviato accertamenti.

“Il governo di Berna – spiega Yoannes, che da anni vive in Svizzera – si sta muovendo per fare proprie indagini. Qui, come altrove, il 2 per cento viene pagato in ambasciata e in consolato. Capita spesso però che qualche funzionario lo riscuota anche nelle comunità. Recentemente ci sono state forti proteste degli immigrati perché in alcuni casi il tributo è stato raccolto nelle chiese al termine delle funzioni religiose. Ora, però, per effetto dei possibili controlli da parte delle autorità elvetiche, i diplomatici eritrei si sono fatti più guardinghi. Per loro non è più semplice come prima. Ma al di là di questo, qui in Svizzera c’è una forte ribellione, soprattutto dei ragazzi più giovani. Nessuno vuole più pagare”.

ITALIA INDIFFERENTE
Anche in Italia la protesta sta montando. A contestare la tassa iniqua sono i ragazzi fuggiti dall’Eritrea per evitare il lunghissimo servizio di leva e il controllo incessante e asfissiante da parte delle autorità di Asmara, ma anche quegli eritrei che da anni vivono nel nostro Paese e sono stufi di questo balzello. “Sono arrivata in Italia una ventina di anni fa – spiega Abeba, un’eritrea con regolare carta di soggiorno e un’occupazione stabile -. Da cinque anni non pago più il 2 per cento. A fine maggio però mi scade il passaporto. So che per rinnovarlo dovrò pagare la quota arretrata che è di circa 1.500 euro (calcolata in base alla busta paga italiana che va presentata ai funzionari eritrei). Un vero salasso per me che ho uno stipendio che non supera i 1.100 euro. Eppure devo pagare, altrimenti non riuscirò a rivedere la mia famiglia”.In fila per razionamento

Il mancato pagamento non impedisce solo il rilascio dei documenti eritrei ma, per assurdo, anche di quelli italiani. Quando, per esempio, un eritreo chiede la cittadinanza italiana, le prefetture pretendono il certificato di nascita e i carichi pendenti del Paese di provenienza, documenti che possono essere richiesti solo nelle ambasciate o nei consolati. Quando ai funzionari italiani vengono fatte notare le difficoltà incontrate, questi chiedono che si porti loro una testimonianza scritta. Testimonianze però non ce ne sono e non possono essercene visto che i funzionari eritrei non rilasciano ai loro cittadini dinieghi scritti e motivati per la mancata concessione dei documenti.

Ciò vale anche per documenti che dovrebbero essere rilasciati ai rifugiati senza alcun problema. “Un ragazzo eritreo rifugiato in Italia e quindi in possesso del permesso di soggiorno sussidiario – racconta Munir – è andato in questura a chiedere il titolo di viaggio che gli permette di spostarsi in Europa. I funzionari italiani gli hanno detto che potevano rilasciargli il documento solo se avesse presentato il passaporto valido”.

Così lui, che era fuggito alla dittatura eritrea, è stato costretto a tornare nell’ambasciata. Qui i funzionari eritrei gli hanno fatto firmare un foglio in cui dichiarava di essere un traditore e accettava, se fosse tornato in Eritrea, di essere sottoposto a un processo per tradimento. “Una volta firmato il documento – continua la nostra fonte – gli è stato chiesto di pagare il 2 per cento. Dopo molte difficoltà è riuscito a raccogliere i soldi e ha pagato più di duemila euro. Il funzionario, però, dopo aver ricalcolato la somma, ha notato che mancavano 60 euro. Così gli ha bloccato la pratica. Il ragazzo, disperato, è uscito dal consolato per chiedere agli amici il denaro mancante. Tornato nella sede diplomatica gli hanno detto che, essendo stato anche in Sudan per due anni, avrebbe dovuto pagare una somma aggiuntiva anche per quel periodo. A questo punto il ragazzo si è infuriato, ma i funzionari lo hanno minacciato dicendo che avrebbero potuto arrestarlo essendo il consolato zona extraterritoriale. Il ragazzo è uscito senza pagare e senza ottenere il titolo di viaggio”.

La minaccia di arresto in ambasciata è abbastanza comune. “Una mia amica eritrea – racconta Yoannes – si è recata al consolato per rinnovare il passaporto. Qui le hanno detto che per avere il nuovo documento doveva presentare anche la carta d’identità eritrea. Lei non solo aveva smarrito la carta d’identità, ma era in ritardo con i pagamenti del 2 per cento. I funzionari sono stati inflessibili e le hanno detto: “O saldi il debito o non ti rinnoviamo i documenti”. Lei, che aveva già prenotato il volo di ritorno e pagato il biglietto, ha dato in escandescenze. Il console allora l’ha minacciata: “Tu non solo hai perso la carta d’identità, ma vieni qui a fare piazzate. Sai che se vogliamo ti arrestiamo e non ti facciamo più uscire dall’ambasciata?”. La ragazza è stata trattenuta fino a sera e poi le hanno dato il passaporto rateizzandole il pagamento”.

Enrico Casale
(2 –continua)

Nella foto in alto una ragazza con la bandiera eritrea. Gli eritrei hanno un forte senso patriottico e amano il loro Paese, ciò non toglie che detestino il loro governo. La foto in basso scattata nel 2007 mostra gente in fila in attesa di entrare in un negozio di alimentari ad Asmara 

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