Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
8 agosto 2021
Un bis tutto d’oro nella maratona maschile per il Kenya.
Una doppietta, oro e argento, nella maratona femminile per il Kenya.
Eliud Kipchoge, 36 anni, soprannominato il filosofo, dopo la vittoria alle olimpiadi di Rio nel 2016, la notte scorsa si è confermato re dei 42,195 km a Tokyo, anzi a Sapporo, in 2h08’38. Con il distacco più ampio della storia olimpica: il secondo e il terzo Abdi Negeeye e Bashir Adi, olandese e belga di origini somale, sono arrivati distaccati di oltre 1 minuto.
Sempre a Sapporo, venerdì 6 agosto, le maratonete keniane hanno confermato la superiorità e imbattibilità del loro Paese afferrando l’oro con Peres Jepchirchir, 28 anni, (in 22h 27’20”) e l’argento con Brigid Kosgei. 27 anni. A Rio nel 2016 la bandiera multicolore con lo scudo Masai aveva avvolto le spalle di Jemima Sumgong, allora 31 anni.
Eliud Kipchoge, già recordman del mondo nella maratona (vedi Africa Express del 17 ottobre 2019), con il secondo titolo olimpico consecutivo si conferma il più grande maratoneta della storia. Aveva cominciato a correre (12 km al giorno) fin da bambino per frequentare le elementari. Oggi percorre in allenamento 200-230 km la settimana.
“Volevo entrare nel tertiary college a Eldoret e diplomarmi in Risorse umane”, aveva spiegato. Obiettivo raggiunto. Manager e re della maratona.
Anche nella maratona femminile il Kenya è stato sugli scudi. La favorita era Brigid Kosgei, 27 anni, la più veloce che esista al momento, dato che detiene il record mondiale (2h14’04”). La connazionale Jepchirchir, però, la ha battuta nettamente, giungendo al traguardo con una potente falcata, espressione di una esuberanza che 42 km e 195 metri non sembrava avesse domato.
La Jepchirchir, due volte campionessa del mondo, è stata scoperta dall’italiano Gianni Demadonna, che la ha lanciata in Europa a partire dal 2014. Nata a Kapsabet, nella Rift Valley, ha cominciato a correre a 13 anni. Nell’ottobre 2017 è diventata mamma di una bambina, Natalia, ma dopo13 mesi era già in pista.
Tra tanto oro e argento nella maratona, una medaglia particolare la merita Gabriyesos Tachlowini, 23 anni, anche se è giunto sedicesimo. Ha corso per la Squadra Olimpica Rifugiati Cio. Nato in Eritrea, a 12 anni è sbarcato in Israele, (dopo un viaggio avventuroso a piedi attraverso Sudan ed Egitto), come minore non accompagnato. A Tel Aviv ha mostrato fin da subito capacità atletiche notevoli, tanto che è entrato a far parte del Emer Hefer Club , poi, nel 2018, del Programma di supporto agli atleti rifugiati del Comitato olimpico internazionale. Nel marzo 2021 si è qualificato ai Giochi di Tokyo dove non ha certo sfigurato. Il suo credo è sempre stato: <Voglio mostrare agli altri che tutto è possibile e non ci si deve arrendere mai>.
Negli ultimi giorni di Tokyo, dunque l’atletica africana non ha finito di stupire. Con il Kenya, certo, ma anche con figure come Gabriyesos e con un’altra rifugiata, Sifan Hassan, 28 anni, protagonista di un’Olimpiade memorabile.
Cercava il triplete, l’impossibile, tre medaglie d’oro correndo tre specialità massacranti in pochi giorni: i 5000 metri, i 1500, i 10 mila. Per questo l’avevano chiamata la folle. Una follia atletica che già era emersa nel 2019 ai campionati mondiali di Doha, dove, prima atleta al mondo, vinse i 10 mila e i 1500.
A Tokyo ci è andata vicino: nel penultimo giorno dei Giochi, sabato 7 agosto, ha conquistato i 10 mila metri; il giorno prima, 6 agosto, si è dovuta “accontentare” del bronzo nei 1500 metri; il 2 agosto, lunedì, prima medaglia pregiata nei 5 km. Due ori e un bronzo. Quasi una leggenda. Cominciata nel 2008, quando Sifan Hassan aveva 15 anni. La mamma la portò via da Adama, nel cuore dell’Etiopia, destinata a diventare cuore di tenebra. La caricò su un aereo e le disse: “Corri figlia mia, corri, va via di qua, chiedi asilo politico in Olanda”. La ragazzina l’anno successivo ottenne lo status di rifugiata.
E cominciò a studiare per diventare infermiera, ma soprattutto a correre, prendendo alla lettera il consiglio della mamma. Nel 2011 entrò a far parte del club Av Lionitas, di Leeuwarden, nord Olanda. Nel 2013 divenne cittadina olandese. Proprio quell’anno dichiarò che lei “correva per rilassarsi”. Nonostante gli allenamenti bestiali e le fatiche cui si sopponeva e si sottopone. Come si è visto al termine dei 10 mila metri: accasciatasi al suolo, in lacrime, cercava aria e invocava acqua. Fino a quando è intervenuto un medico a soccorrerla.
Il giorno prima, venerdì 6 agosto, nei 5 mila metri, l’Uganda ha fatto bis con l’oro. Joshua Cheptegei, 24 anni, agente scelto del dipartimento di polizia, ex studente di Lingua e Letteratura all’università avventista di Bugema, si è preso una bella rivincita. Ha dominato la gara lasciandosi alle spalle il somalo Mohammed Ahmed, 30 anni, che corre per il Canada, ma vive negli States (dove si è laureato in Scienze Politiche). Più distanziato, terzo, è stato l’infermiere Paul Chelimo, 30 anni, keniano divenuto cittadino degli Usa (vive in Colorado).
A Joshua bruciava la sconfitta sui 10 mila metri, subita – lui che detiene il record mondiale sulla distanza – il 30 luglio – dal ventenne etiope Selemon Barega. Disfatta resa più amara dal ricordo di quanto avvenuto nel 2017 ai campionati mondiale di Londra: sempre secondo. Nel 2019, però, ai Campionati Mondiali di Doha, si era ripreso con la medaglia d’oro sui 10 mila,
E ora si è rifatto, finalmente, alle Olimpiadi sui 5 mila metri, a quasi un anno di distanza dal suo primato mondiale (14 agosto 2020, a Monaco). La soddisfazione è doppia, perché nessun ugandese nelle olimpiadi aveva trionfato in questa specialità. “Ero venuto qui per diventare campione olimpico. Sui 10 mila avevo fatto un errore e mi sono dovuto accontentare dell’argento – ha commentato al traguardo – sapevo che ce l’avrei fatta, sapevo di avere la forza mentale per vincere, dato che sono detentore di due record mondiali. Ora il sogno si è realizzato”.
Joshua è nato a Kapchorwa, a 1800 metri d’altezza nell’Uganda orientale ed è allenato dall’olandese Addy Ruiter, lo stesso che cura Pereuth Chemutai, vincitrice dei 3 mila siepi e della prima medaglia aurea femminile ugandese. E non è un caso che il coach sia lo stesso: Addy
Ruiter proprio intorno a Kapchorwa ha creato un programma di preparazione per <runners>. Joshua, a sua volta, nel 2016 ha dato vita al “Cheptegei Christmas Run” in Uganda, divenuto un appuntamento annuale per ragazzi sotto i 16 anni.
Infine, mentre cala il sipario su questi surreali giochi olimpici dell’era Covid, un pensiero doveroso va al Botswana: alla sua ottava olimpiade ha guadagnato la seconda medaglia. Il bronzo nella staffetta 4×400 conquistato da Isaac Makwala, 34 anni, Baboloki Tirelo Tebe, 24, Zibbane Ngozi, 28, Bayapo Nadori, 22. Un bronzo che risplende quanto un diamante delle sue ricche miniere.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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