Speciale per Africa ExPress
Luciano Bertozzi
Maggio 2021
Almeno 483 persone sono state “giustiziate” in base alla legge. Lo afferma Amnesty International nel recentissimo rapporto sulla pena di morte nel mondo, che ha l’obiettivo di rilanciare la campagna per porre queste barbarie fuori dalla storia.
Le esecuzioni registrate globalmente nel 2020 sono diminuite del 26 per cento, rispetto al 2019, quando sono stati uccisi almeno 657 esseri umani. Anche se il numero è molto elevato, Amnesty sottolinea che è il più basso da almeno un decennio. Tale riduzione è dovuta principalmente a due stati: l’Iraq, che ha dimezzato le esecuzioni (da almeno 100 nel 2019 e a 45 nel 2020) e l’Arabia Saudita, che le è passata dell’85 per cento, da 184 a 27.
Ad ogni modo ai vertici mondiali di questa classifica della vergogna vi sono, per le esecuzioni, la Cina con migliaia di casi, il numero esatto è sconosciuto, in quanto considerate segreto di Stato, Iran con 246, Egitto con 107, Iraq con 45, Arabia Saudita con 27 e Usa con 17. I bracci della morte più affollati del mondo sono in Cina con migliaia di condannati; Yemen con 269; Egitto con 264; Zambia con 119 e Indonesia con 117.
Il numero delle condanne a morte inflitte nel mondo, nel 2020, è stato pari ad almeno 1.477, con un decremento del 36 per cento rispetto al 2019 (almeno 2.307) e del 53 per cento rispetto al 2016 (almeno 3.117).
I Paesi africani come si posizionano in questa tematica, indicativa del livello di civiltà giuridica raggiunto? In linea generale, nell’Africa subsahariana l’uso della pena di morte nella regione è diminuito del 36 per cento e del 6 per cento le condanne a morte. Esecuzioni sono avvenute in tre paesi: Botswana (3), Somalia (11) e Sudan del Sud (2); uno in meno rispetto al 2019 in Sudan.
Condanne a morte sono state registrate in 18 Paesi, come nel 2019. Nonostante la riduzione complessiva, è stato registrato un aumento delle sentenze capitali in Camerun (da 0 nel 2019 a 1 nel 2020); Comore (da 0 a 1); Mali (da 4 a 30); Nigeria (da 54 a 58); Repubblica Democratica del Congo (da 8 a 20); Sierra Leone (da 21 a 39); Sudan del Sud (da 4 a 6) e Zambia (da 101 a 119).
In mezzo a tanti numeri tragici, che descrivono la vita spezzata di molti, sono da evidenziare anche i progressi verso l’abolizione della pena capitale: il Ciad è diventato il 21° paese della regione ad aver abolito la pena capitale per tutti i reati. Nel decennio 2011-20 la pena di morte è stata abrogata nella Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Benin e Guinea. In Malawi la Corte Suprema ha sentenziato “La pena di morte è incostituzionale”, chiedendo il riesame delle sentenze di condanna, anche se nel Paese le esecuzioni non avvenivano da venti anni. Inoltre, va sottolineato il forte aumento delle commutazioni di sentenze capitali in ergastolo, soprattutto in Tanzania, dove si registrano complessivamente 309 , l’87 per cento in più rispetto al 2019, quando furono 165.
Nell’Africa settentrionale la situazione è la seguente: l’Egitto con 107 esecuzioni, più che triplicate rispetto al 2019, quando erano almeno 32. E’ il più alto numero dal 2013, quando fu raggiunto il picco di 109. Almeno 23 dei detenuti “giustiziati” sono stati condannati per reati politici, in seguito a processi fortemente iniqui, caratterizzati da “confessioni” estorte e altre gravi violazioni dei diritti umani, come torture e sparizioni forzate.
Questi dati impongono la necessità di dare segnali forti al Cairo, come ritiro degli ambasciatori, embargo sugli aiuti militari, sanzioni economiche. Purtroppo avviene esattamente il contrario. Secondo i governi italiani, di qualsiasi colore politico essi siano, gli affari devono avere la priorità sul rispetto delle libertà fondamentali. Basti pensare che nel 2020 l’Egitto è stato il principale acquirente di armamenti italiani. Per le condanne a morte il Paese ne ha inflitte 264, con una notevole diminuzione rispetto al 2019 (435); in Libia e in Tunisia 8 ed in Algeria 1.
Il calo delle sentenze capitali avvenuto in Egitto è dovuto al limitato accesso alle informazioni sui detenuti condannati a morte che non riguardano reati politici; alla riduzione del numero dei processi di massa in cui sono state imposte sentenze capitali, alle chiusure temporanee dei tribunali e ai ritardi nei processi dovuti alla pandemia da COVID-19.
Preoccupa la dichiarazione del Presidente della Tunisia, Kais Saied, che si è espresso a favore della ripresa delle esecuzioni, dopo l’uccisione di una ragazza: “l’omicidio merita la pena di morte”, anche se l’ultima esecuzione nota nel Paese risale al 1991.
Il rapporto di Amnesty comprende anche il monitoraggio dei detenuti nel braccio della morte, in attesa di esecuzione: in Nigeria ci sono 2.700 persone; in Kenya mille, in Zambia 495; nel Sudan del Sud 342; in Tanzania 244, in Ghana 160; in Uganda 133; in Mauritania 123 e in Camerun 120.
Luciano Bertozzi
luciano.bertozzi@tiscali.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Malawi: topi al posto della carne per contrastare povertà e fame