Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
31 gennaio 2021
Nella Repubblica Federale islamica delle isole delle Comore è vietato parlare di Covid-19. A Niumadzaha ya Bambao, un villaggio a una manciata di chilometri dalla capitale Moroni, la comunità femminile ha deciso di escludere una signora dalla vita sociale per ben cinque anni. La donna non potrà apparire in pubblico e partecipare a tutte le attività socio-culturali e religiose.
Il suo grave peccato? La signora in questione, tra l’altro una volontaria della Mezzaluna Rossa, ha dichiarato in un video, ampiamente visualizzato, di essere positiva al coronavirus. Secondo le sue compaesane tale fatto getta disonore sul villaggio.
Nel video si vede Amina, ricoverata in ospedale, sotto ossigenoterapia, che si presenta con il suo nome e cognome e il suo villaggio di origine, secondo le usanze comoriane. A Niumadzaha ya Bambao, se una donna sbaglia, viene punita dalle altre, che non hanno gradito che Amina abbia dichiarato la presenza della pandemia a Niumadzaha ya Bambao.
Con il suo filmato la poveretta non voleva fare altro che allertare la popolazione delle Comore sui reali rischi del Coronavirus e chiedere alla gente di applicare le norme igienico-sanitarie per evitare il contagio. Insomma, i comoriani non hanno ancora accettato il fatto che anche lo Stato insulare è stato colpito dalla pandemia. Eppure anche i numeri ufficiali parlano chiaro: 2718 casi, tra questi 90 persone sono decedute e 1.678 sono state dichiarate guarite.
Amina è ora guarita ed è rientrata a casa. Meglio, è una reclusa in casa. I notabili maschi, compreso il capo del villaggio e il sindaco, avrebbero potuto far opposizione alla decisione delle donne, ma hanno preferito non immischiarsi nella faccenda, visto che proprio pochi giorni fa il governatore dell’isola di Anjouan ha dichiarato di essere positivo. Anche tra l’esecutivo del governo si ignora di proposito l’espandersi del virus; pare che questo governatore sia stato il primo politico ad aver ammesso di essere stato contagiato.
La stabilità politica delle Comore è fragile. Dal giorno dell’indipendenza ad oggi ci sono stati una ventina di tentati colpi di Stato. Il più famoso quello del 1975, poche settimane dopo l’indipendenza. I golpisti, che rovesciarono il presidente Ahmed Abdallah, erano assistiti dai mercenari guidati dal colonnello francese Bob Denard. Dal 1997 al 2001 le isole Mohéli e Anjouan si erano separate dalla Grande Comore, dove si trova anche la capitale Moroni. Solo grazie all’intervento della comunità internazionale e alla promessa di una nuova costituzione che garantisse larga autonomia, le tre isole si sono ricongiunte in una confederazione.
Gli abitanti vivono in un paradiso terreste ma sono tra i più poveri del mondo. L’economia si basa sull’esportazione di chiodi di garofano, vaniglia e qualche altra spezia profumata. Nell’arcipelago si sopravvive grazie alle rimesse di parenti e amici che lavorano in Francia o in Mozambico. E sono molti i comorani che cercano di raggiungere Mayotte, in cerca di una vita migliore, rischiando la propria vita. Morti non solo nel Mediterraneo, ma anche qui, nel Canale di Mozambico. Morti dimenticate da tutti.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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