Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi e Monica A. Mistretta
24 maggio 2020
Silvia esce solo velata, Silvia mette like ai predicatori islamisti, Silvia riceve video messaggi dalla Fratellanza Musulmana. Sono le voci che in queste ore fanno da rumore di fondo a una vicenda, quella del suo sequestro in Somalia, i cui contorni vanno ben oltre la sfera (discutibile) del pettegolezzo e della sua conversione religiosa. Mai farsi ingannare dal brusio. Anzi il brusio spesso cancella il refrain portante.
Mentre siamo distratti da notizie da cabaret mediatico, cinque petroliere iraniane stanno per raggiungere le coste del Venezuela: una ha già attraccato oggi. Trasportano 1,53 milioni di barili di petrolio e alchilato, un derivato petrolifero che serve per la produzione di benzina.
Cosa c’entra questo con la vicenda di Silvia? La trama è complicata, ma proviamo a seguirla pazientemente. Sappiamo che una fonte dei servizi segreti italiani ha rivelato che a pagare il riscatto per la liberazione di Silvia è stato il Qatar, Paese mediorientale da sempre ponte con l’Iran. E il Qatar in qualche modo è entrato anche nella questione delle petroliere: quando sabato il presidente iraniano Hassan Rouhani ha minacciato di ritorsioni gli americani in caso di attacco alle sue navi al largo delle coste del Venezuela, lo ha fatto pur sempre nel corso di una conversazione telefonica con l’emiro di Doha.
Ed è una dichiarazione del segretario di Stato americano Mike Pompeo ad aggiungere un altro tassello. Il Venezuela non può pagare l’Iran con transazioni bancarie, visto che i due Paesi sono entrambi sotto embargo, ma in lingotti d’oro trasportati clandestinamente a Teheran con gli aerei della Mahan Air, la compagnia dei Pasdaran iraniani. E forse, aggiungiamo noi, i lingotti sono stati già trasbordati con i grossi boeing della compagnia nazionale Iran Air che in aprile e maggio hanno fatto scalo almeno due volte alla settimana tra Teheran e l’aeroporto Sabana de Mar a Santo Domingo, paese vicinissimo al Venezuela, se non altro perché ne importa il petrolio.
Ora, se l’oro serve a Teheran per aggirare le sanzioni statunitensi, nell’ultimo periodo ne deve aver usate davvero grosse quantità. Decine di voli tra Teheran, Caracas e Sabana del Mar vogliono dire tonnellate d’oro. Teheran nega. Ma questo è avvenuto mentre Silvia era ancora nelle mani dei suoi rapitori e prima che avvenisse il pagamento del Qatar per la liberazione. C’è da domandarsi cosa l’Italia abbia dato in cambio e a chi.
Anche gli Shebab, sunniti, flirtano con l’Iran sciita, oltre che con il Qatar: quando il 3 gennaio gli americani hanno ucciso il generale iraniano Qassem Soleimani, il gruppo terroristico è stato il primo a rispondere due giorni dopo con l’attacco contro la base statunitense a Lamu. La Somalia è centrale nelle vicende dell’Iran di questi ultimi mesi. Una dimostrazione, tra l’altro. di come le fedeltà religiose possano essere allegramente accantonare quando ci sono business lucrosi da realizzare.
Ma torniamo alle petroliere. Partono dall’Iran nella prima settimana di maggio dal porto commerciale di Shahid Rajaee a nord di Bandar Abbas. In quei giorni lo scalo viene colpito da un attacco informatico che fonti americane attribuiscono pochi giorni dopo a Israele. Ed è qui che, per una serie di connessioni, emerge un altro Paese: la Germania, primo partner commerciale europeo dell’Iran. Sì, perché a costruire il porto Shahid Rajaee nel 2016 per una commessa di 104 milioni di euro è stata una società tedesca. E perché proprio nei giorni precedenti la partenza delle petroliere, il 30 aprile, la Germania si trova costretta, dietro pressioni statunitensi, a mettere fuori legge nel suo territorio Hezbollah, l’organizzazione sciita che in città come Amburgo e Monaco ha sempre fatto da ponte finanziario con l’Iran nei periodi più duri delle sanzioni americane. Le petroliere salpano da Shahid Rajaee pochissimi giorni dopo la decisione del governo tedesco di mettere al bando Hezbollah: coincidenze che pesano.
Ora, se volessimo chiudere il cerchio, andremmo a vedere cosa fa la Germania in Somalia: dal 2017 ha cominciato a trasferire milioni di euro in aiuti nel Paese. Solo nel 2019 Berlino ha investito in Somalia 73 milioni di dollari. Di contro, il Qatar nei prossimi cinque anni investirà in Germania 10 miliardi di euro in vari progetti, senza contare i 25 miliardi di dollari con cui ha finanziato società come la Volkswagen o la Deutsche Bank. La stretta cooperazione militare tra i due paesi ha creato più di una controversia nel parlamento tedesco.
Silvia Romano è stata liberata in Somalia il 9 maggio, il giorno del cyber attacco israeliano al porto di Saheed Rajaee. Quello stesso porto da cui in quei giorni sono partite le petroliere iraniane dirette in Venezuela. Oro, petrolio, attacchi informatici, riscatti pagati da paesi terzi: la vicenda di Silvia è qui, non nella sua conversione. Cerchiamo di restare lucidi.
Massimo A. Alberizzi e Monica A. Mistretta
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