Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
4 maggio 2020
Abubakar Shekau, capo di Boko Haram dal 2009, in una registrazione audio di giovedì scorso, ha fermamente negato che il suo gruppo sarebbe vicino alla disfatta e ha messo a tacere una volta per tutte le voci che i miliziani sarebbero in procinto di arrendersi all’esercito ciadiano o nigeriano. “Non è assolutamente vero – ha aggiunto – che i miei uomini siano stanchi di restare nella nostra base operativa nella foresta di Sambisa”. La fitta selva si trova nel Borno State, nel nord-est della Nigeria, lungo il confine tra Niger e Camerun.
Ahmad Salkida, considerato il giornalista meglio informato sulle questioni dei terroristi nigeriani, ha riportato nel suo blog la registrazione della durata di 8 minuti e 22 secondi. “Stiamo tutti bene, non ci è successo nulla. I militari vanno dicendo che sono entrati nella foresta e hanno bombardato i nostri fratelli. Sono menzogne. Nessuno dei militanti ha intenzione di arrendersi alle autorità ciadiane o nigeriane. E’ una bugia e sta a significare che non avete capito un bel niente di noi”, ha aggiunto Shekau.
E poi ha specificato che un eventuale un dialogo può essere aperto solamente con musulmani in una posizione di potere e i loro oppositori devono adeguarsi e accettare termini e condizioni. Praticamente ha preteso dal governo la resa.
Shekau fa riferimento alla recente Opération Colère de Bohoma, lanciata dal governo ciadiano contro i terroristi in risposta all’attacco alla base di Bohoma dove sono stati uccisi oltre 90 soldati. Il presidente del Ciad, Idriss Déby, aveva affermato che durante la campagna militare sarebbero stati ammazzati un migliaio di miliziani Boko Haram. L’esercito ha anche catturato e arrestato una cinquantina di presunti membri del sanguinario gruppo, 44 dei quali sono poi morti misteriosamente in una galera della capitale N’Djamena.
Nel sottofondo della registrazione si sente una canzone in lingua hausa: esorta i miliziani a essere pazienti e forti anche nei momenti difficili.
Infine il capo dei terroristi nigeriani si è preso gioco di tutte le misure messe in atto dai governi, volte a contrastare la pandemia. Già qualche settimana fa aveva affermato che i membri di Boko Haram sono immuni al virus. “Preghiamo insieme, beviamo dalla stessa brocca, nessuno di noi vive in isolamento e siamo in perfetta salute”.
La ex colonia britannica registra ben 2.288 casi positivi al coronavirus con 85 vittime, tra questi anche Mallam Abba Kyari, capo dello staff del presidente Muhammadu Buhari.
Alcuni osservatori ritengono l’osservazione “momenti difficili” menzionata da Shekau stia per indicare che la campagna dell’esercito nigeriano ancora in atto abbia messo i miliziani in grande difficoltà. Che sia la volta buona? Appena insediatosi nel maggio 2015 Buhari aveva promesso che avrebbe sconfitto i terroristi entro il 31 dicembre dello stesso anno. Nel frattempo il presidente e ex golpista del 1983 è stato rieletto per un secondo mandato nel 2019, eppure i miliziani di Boko Haram continuano a terrorizzare la popolazione.
Dal 2009 a oggi a causa dei continui attacchi dei jihadisti sono morte oltre 27mila persone, più di 2 milioni di nigeriani sono fuggiti dalle loro case, poco più di 297mila camerunensi, 208mila ciadiani, 129.603 nigerini; i miliziani sono ugualmente attivi nei Paesi confinanti (i dati sono stati pubblicati nel rapporto dell’UNHCR del 31 marzo 2020).
Abubakar Shekau nasce a Shekau, un villaggio dello Yobe State. Negli anni Novanta si trasferisce a Maiduguri, capoluogo del Borno State per studiare teologia e religioni locali; in questa città incontra Ustaz Mohammed Yusuf, una guida spirituale e fondatore nel 2002 di Boko Haram che tradotto dalla lingua hausa significa: “l’educazione occidentale è peccato”. Ben presto il giovane diventa il braccio destro di Yusuf, nonchè il suo più stretto e fedele collaboratore; iniziano i primi attentati a basi militari e posti di polizia. Nel 2009 le forze dell’ordine nigeriane attaccano una delle basi della setta: catturano e uccidono il fondatore e altri 700 adepti. In un primo momento anche il braccio destro viene dato per morto, ma qualche mese dopo appare in un video e fa sapere al mondo di essere il nuovo capo di Boko Haram.
Anche prima del gruppo terrorista odierno sono apparsi altri personaggi inquietanti sulla scena nigeriana. Negli anni Settatanta miete successo tra le masse diseredate un predicatore, Mohammed Marwa, un hausa, meglio conosciuto come Maitatsine. Con i suoi sermoni violenti contro lo Stato, corrotto e inefficiente, infiamma la folla.
Originario di Mawra, nel nord-est del Paese, in una regione che un tempo faceva parte del Camerun, sosteneva che chi leggesse un altro libro all’infuori del Corano fosse un pagano. Durante il colonialismo era stato mandato in esilio, ma subito dopo l’indipendenza era rientrato a Kanu. Era contrario alle biciclette, agli orologi, alle automobili e sosteneva che era peccato possedere più denaro del necessario per vivere.
Durante le sue prediche attaccava tutti: autorità civili e islamiche. Erano attratti dalle sue teorie e dalla sua ideologia soprattutto i giovani, diseredati e senza una speranza per il futuro. Man mano che cresceva il numero dei suoi seguaci, aumentavano anche i confronti con la polizia. Agenti e soldati, era il 1980, intervennero per sedare alcune dimostrazioni violente. La repressione costò la vita a cinquemila persone. Fu ucciso anche Maitatsine.
Dopo la sua morte ci furono altri sporadici tumulti nei primi anni Ottanta. In particolare i militanti di Yan Tatsine nel 1982 insorsero a Bukumkutta, vicino a Maiduguri, e a Kanu, dove molti adepti si erano trasferiti dopo la morte del leader. Intervennero le forze dell’ordine che uccisero più di tremila persone. Allora molti membri sopravvissuti si spostarono a Yola, dove, guidati da Musa Makanik, un discepolo del maestro, nel 1984 organizzarono svariati attacchi violenti.
Negli ultimi scontri ci furono un migliaio di morti e metà dei sessantamila abitanti di Yola persero la loro casa. Makanik scappò prima a Gombe, la sua città natale, dove fino al 1985 si susseguirono sanguinosi attacchi mortali, e poi in Camerun dove rimase per molti anni. Nel 2004 fu arrestato in Nigeria.
Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes
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