Nostro Servizio Particolare
Cornelia I. Toelgyes
30 marzo 2014
E’ sempre guerra, si muore, si fugge, si scappa dal Sud Sudan. A cosa è servito firmare un trattato di pace il 23 gennaio scorso ad Addis Ababa? Le due fazioni, le truppe governative, fedeli al presidente Salva Kiir, per lo più formate dai dinka (la più grande etnia presente nel Paese) e i ribelli, seguaci dell’ex-vice presidente, Riek Machar (che rappresenta il secondo gruppo etnico, i nuer), continuano la guerra. Manca la volontà di ricostruire il paese, di donare serenità e pace alla propria gente.
Eppure le cifre parlano chiaro: duecentocinquantraquattromila persone hanno chiesto asilo nei paesi confinanti, altri oltre ottocentomila sono gli sfollati all’interno dei confini del paese. Dunque più di un milione di persone hanno lasciato le proprie case, le proprie radici. Migliaia i morti. Oltre tremilioni di persone sono ad alto rischio, secondo il rapporto OCHA (UN Office for Coordination of Humanitarian Affaires). Gli Stati più colpiti dalle violenze delle due fazioni sono: Jonglei, Unity e Alto Nilo. Quasi cinque milioni di persone avrebbero bisogno di assistenza umanitaria, ma è assai difficile raggiungerli.
Mentre pochi giorni fa Hilde Johnson, portavoce di UNMISS (Missione ONU nel paese), ha dichiarato ad una delegazione tedesca, in visita a Juba, che ottocentomila persone si trovano in condizioni assai critiche: “Bisogna fare in fretta e trovare i fondi necessari per sfamare la popolazione. Le piogge sono alle porte, è una corsa contro il tempo e per ora abbiamo ricevuto solamente un quarto della cifra richiesta.”
La settimana scorsa sono stati inviati medicinali e cibo tramite costosi cargo aerei nello Stato del Jonglei, al confine con l’Etiopia, la prima di quattordici località difficilmente raggiungibili via terra. “Prima dell’arrivo delle grandi piogge, tutto deve essere pronto, per assistere la popolazione. I nostri collaboratori devono fornire aiuti ad oltre trentamila persone in quella regione”, sono le dichiarazioni di esponenti dell’UNICEF ed WFP (World Food Programme). Nei prossimi mesi le agenzie dovranno portare aiuti a oltre duecentocinquantamila persone nei tre Stati più colpiti dalla guerra civile.
La guerra civile uccide il corpo, uccide l’anima dei bambini, costretti ad assistere a tanta, inconcepibile violenza. Ogni giorno vengono defraudati dei loro diritti, del cibo, degli affetti, dell’istruzione, perché, ovviamente a causa dei conflitti, molte scuole sono state chiuse. “L’arma più potente è l’istruzione”, usava ripetere Nelson Mandela, e se questa viene a mancare, quale sarà il futuro di questo giovane paese?
Cornelia I. Toelgyes
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