Dal Nostro Corrispondente Sportivo
Costantino Muscau
10 dicembre 2019
Il ciclismo ruandese ha perso la testa. Peccato. Era partito così bene. Il Paese delle Mille Colline era stato addirittura candidato a ospitare i Campionati mondiali nel 2025. Ora, invece, dopo lo scandalo di questi giorni sembra – come diceva Gino Bartali – che “l’è tutto sbagliato e l’è tutto da rifare”.
Il 6 dicembre scorso quello che in un decennio è diventato lo sport più popolare ed è stato utilizzato anche come mezzo per ricostruire l’unità della nazione dopo il genocidio del 1994, si è trovato decapitato.
Si è dimesso il boss delle 2 ruote di Kigali, Aimable Bayingana, presidente della Federazione Ciclistica Ruandese (Ferwacy) accusato di corruzione, di malversazione, di abuso di potere e di aver coperto abusi sessuali nei confronti delle donne cicliste. Con lui se ne è andato il gruppo dirigente al completo: i vicepresidenti Benoit Munyankindi e François Karangwa, il segretario generale Toussaint Nosisi Gahitsi, il tesoriere Thierry Rwabusaza e i consiglieri Faustin Mparabanyi, Jean Baptiste Rugambwa, Jean Bosco Ntembe.
Il comitato direttivo era stato confermato all’unanimità il 31 marzo 2018 per 4 anni. Bayingana era l’unico candidato e la sua elezione era data per scontata in quanto a lui veniva attribuito il vertiginoso sviluppo del ciclismo nel Paese e veniva considerato, giustamente, il più attivo sostenitore del ciclismo nel Continente. Non a caso, quindi, era in carica dal marzo 2010. Grazie a lui il Giro del Ruanda in 9 anni è passato da una competizione locale a una di rango internazionale. Proprio quest’anno la corsa è salita di livello (abbiamo avuto modo di parlarne nel marzo scorso) e ha raggiunto l’unica altra manifestazione di respiro mondiale, la Tropicale Amissa Bongo, che si svolge in Gabon. Il prossimo Tour del Rwanda, il 12° della serie, presentato il 21 novembre scorso, si disputerà dal 23 febbraio al I marzo 2020 e vedrà la partecipazione di ben 16 squadre, compresa l’italiana Androni- Sidermec.
A dare il via al Tour, però, quest’anno non ci sarà lui, il boss delle 2 ruote, Amaible Bayingana, caduto dal podio fragorosamente. Nel suo discorso di insediamento, il 31 marzo 2018, Bayingana aveva illustrato gli obiettivi del nuovo comitato dirigente: rafforzare le squadre dei pedalatori (sono 150 i ciclisti iscritti alla Federazione e l’obiettivo è raggiungere quota 400 nel 2020), promuovere il ciclismo fra le donne ruandesi e supportare la partecipazione femminile. Il caso ha voluto che proprio la “questione femminile” abbia offuscato (almeno momentaneamente) la sua inarrestabile carriera dirigenziale e politica: mister Amaible è, infatti, anche il portavoce del Rwanda Patriotic Front (RPF, Fronte patriottico ruandese), il partito che governa il Paese dal 1994 sotto il polso fermo di Paul Kagame, presidente dal 2000.
Prima delle dimissioni collettive del Comitato, che nega ogni addebito, la gestione della federazione ciclistica e la persona del presidente erano finite sotto attacco. Nel muovere violente critiche si era contraddistinto il sito Taarifa.rw. In un articolo del mese scorso a Bayingana era stato rimproverato di tutto e di più. A cominciare dal fatto che avrebbe instaurato un regime personale autoritario “tanto che i membri della Federazione vivono nel terrore e credono che il loro boss supremo intercetti i loro telefoni. Sistematicamente fa loro presente che la Federazione è cosa sua, che i ciclisti sono sua proprietà e nessuno può permettersi di giudicare come lui governi la federazione”.
Circolavano da tempo anche voci di altro genere: la gestione opaca dell’acquisto di 40 bici da corsa in Italia fatte sbarcare a Dar es Salaam (Tanzania), rimborsi spese non dati… La situazione però è precipitata dopo la lettera pubblicata proprio su Taarifa.rw dell’ex corridore americano Johnatan “Jock” Boyer e Kymberly Coats, allenatori della nazionale ciclistica e fondatori dell’Africa Rising Cycling Center, un istituto creato ad hoc non solo per diffondere il ciclismo ma anche per preparare allenatori, meccanici, nutrizionisti del settore.
I due, dimissionari, nella lettera hanno accusato il boss della Federazione di vanificare le iniziative miranti a sviluppare l’attività ciclistica, di eccesso di potere, di arroganza, di maltrattamento dei corridori e di copertura degli abusi sessuali sulle giovani, approfittando della loro povertà e ignoranza. Una di esse sarebbe stata anche messa incinta da uno dell’entourage dirigenziale, ma il caso sarebbe stato messo a tacere con la scusa che la ragazza era maggiorenne. Nel mirino ci sarebbe un addestratore del centro di allenamento di Musanze (nord del Ruanda), creato dall’ex professionista Boyer, che se ne è tornato polemicamente negli USA. Proprio Boyer, primo americano a correre il Tour de France nel 1981, finì in una cella ruandese nel 2002 per molestie sessuali nei confronti di una minorenne. Scontata la pena, “Jock” ha voluto redimersi dedicandosi alla formazione dei giovani atleti su due ruote.
Alla fine tutto è stato riportato alla presidenza della Repubblica e l’altro giorno sono arrivate le dimissioni dell’intero team esecutivo. Sono scattate le indagini ufficiali del Rwanda Investigative Bureau (Ufficio investigativo del Ruanda) e del ministero degli Sport. Il segretario permanente del ministero, Shema Maboko, ha dichiarato (secondo quanto riferisce l’agenzia France Presse) “Non possiamo pronunciarci dato che si sta indagando su gravi reati. Siamo consapevoli che corruzione e molestie sessuali sono diffuse. Lasciamo lavorare l’Ufficio investigativo. Il ministero però è determinato a combattere la violenza sulle donne e per questo varerà delle norme severe contro gli abusi sessuali nel ciclismo e in tutti gli altri sport”.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
Spumeggiante ed entusiasmante giro ciclistico del Ruanda a tutta birra!