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Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
7 Ottobre 2019
Silvia Romano sarebbe stata costretta a convertirsi all’islam, a studiare la religione di Maometto, a sposarsi con un signore locale che la tiene prigioniera nel sud della Somalia. Questa la sintesi di due articoli apparsi in due giorni consecutivi su un quotidiano milanese. Testi basati su informazioni provenienti da fonti di intelligence, assicura l’estensore. Gli articoli, ben strutturati e con descrizioni ad effetto, non rispondono però ad alcune domande che sorgono spontanee.
Per esempio se gli apparati dello Stato italiano hanno queste informazioni perché hanno chiesto uno stretto riserbo e solo ora hanno voluto fare trapelare qualcosa? Ufficialmente hanno sempre sostenuto che la diffusione di notizie sul rapimento metterebbe in pericolo la vita di Silvia. Una spiegazione che però non chiarisce perché i nostri uomini non abbiano già pianificato un assalto o abbiano stanziato il denaro per pagare un riscatto. Dov’è Silvia? Chi ce l’ha in mano? Chi l’ha sequestrata? Tutte domande che meriterebbero una risposta da parte delle nostre autorità. Se poi le risposte devono, per motivi comprensibili, restare segrete ci si aspetta un’azione a tempi brevi. Invece nulla.
E restano ancora irrisolti quei misteri di cui Africa ExPress ha rivelato l’esistenza e ai quali andrebbe data una risposta. Eccone alcuni: perché all’aeroporto di Mombasa è sparito il file con le impronte digitali e la fotografia della ventiquattrenne milanese? Chi ha usato il suo telefono il 6 aprile per uscire da un gruppo di WhatsApp in cui era iscritta? Dove sono finite le schede telefoniche (due keniote e una italiana) usate da Silvia? Perché la polizia di Mombasa è stata reticente con quella di Malindi decisa a continuare le indagini. Con chi ha passato Silvia la sua ultima notte a Mombasa? E perché i tabulati telefonici della compagnia Safaricom fino ai primi di luglio non erano stati richiesti dagli inquirenti?
A queste e altre domande sarebbero gradite risposte chiare e certe che da un lato mettano a tacere voci e insinuazioni prive di riscontri e prive di fondamento, dall’altro invece portino nuovi elementi per capire cosa sia successo a Silvia.
Per altro la notizia secondo cui la ragazza sarebbe stata portata in Somalia non è nuova. Ma è stata smentita dal governo di Mogadiscio. E non è mai stata confermata ufficialmente. Certo, è un’ipotesi e potrebbe essere vera. Ma è possibile anche che i servizi potrebbero averla diffusa ad arte. Per trarre in inganno qualcuno. Ma a parte questo come nasce tutto il resto? Matrimonio, islamizzazione, lavaggio del cervello… Pura fantasia. Una fantasia che fa danni perché non ha riscontri con la realtà fattuale. Occorre capire invece, per esempio, se Silvia è in mano ad islamisti o ad una banda di criminali comuni.
Africa ExPress, con l’aiuto dei lettori impegnati a finanziare le nostre ricerche e le nostre indagini, seguirà il 24 ottobre le udienze che si terranno a Malindi e che vedono imputate tre persone accusate di avere materialmente rapito Silvia. Su alcune di loro sono state portate prove incontrovertibili, che comunque sono al vaglio dei giudici. Gli inquirenti italiani hanno fatto pressioni perché fossero tenuti dietro le sbarre, ma invece, mentre la procura si è detta favorevole, il giudice ha deciso il contrario e così pagando una cauzione, due dei tre imputati sono stati liberati.
Lo strano è che abbiano versato in garanzia 25 mila euro mentre le loro dichiarazioni dei redditi mostrano guadagni di 50 euro al mese uno e di 100 l’altro.
La notizia secondo cui Silvia sarebbe stata portata in Somalia è stata smentita da un dirigente dei servizi segreti somali e, soprattutto dalla procura di Malindi, rimasta assai sorpresa quando Africa ExPress ha chiesto informazioni in proposito: “Non ne sappiamo nulla. Questa informazione è nuova per noi”, ha detto il nostro interlocutore sbarrando gli occhi.
Ma conoscendo la situazione in Somalia e visto che l’Italia oramai non ha più una profonda penetrazione informativa laggiù, può essere che i nostri servizi abbiano avuto notizie da organizzazioni analoghe di altri Paesi, probabilmente degli Emirati Arabi e/o del Kenya, con cui dovrebbero avere buoni rapporti di collaborazione. Magari anche dagli americani che dopo l’intervento del 1992/1994, hanno ricostruito una rete ragguardevole.
Ma passare attraverso organizzazioni non nazionali può essere controproducente perché ogni informazione rischia di essere strumentalizzata a vantaggio di qualcuno o di qualche altro Paese. Il palcoscenico somalo è assai complicato. Se si tratta di pagare un riscatto, i rapitori a questo punto potrebbero chiedere il triplo dei soldi o creare il triplo dei problemi.
“Temo che l’Italia non abbia sondato i vari canali locali, cercando i capi tribù e i capi dei clan e dei sotto clan. Si sarebbe risolto tutto in pochi giorni – spiega un analista contattato a Nairobi e gran conoscitore dei problemi dell’Africa Orientale -. E poi si sono avviate indagini in Kenya? Si sarebbero dovuti setacciare a tappeto tutti i luoghi dove Silvia era stata, le sue conoscenze, le sue amicizie. Quando era andata a lavorare in un orfanotrofio per bambini a Likoni (sobborgo di Mombasa n.d.r.) aveva incontrato qualche personaggio influente, magari connesso con affari loschi?”
L’FBI ha scoperto un importante traffico di cocaina (tonnellate) in partenza da Mombasa e dirette negli Stati Uniti. Ha arrestato i boss fatti arrivare con un tranello a New York. Ha individuato persino un italiano complice di qual cartello della droga. Chi è questo signore? Ha un nome e cognome? Si sono cercate le eventuali connessioni con il rapimento di Silvia e/o con gli amici di Silvia a Mombasa?
Nessuno, probabilmente, ha da tempo informazioni dirette dalla “maglia somala” (o meglio, quella che era la maglia somala) costruita e organizzata dagli italiani. Il nostro Paese in Africa orientale aveva una superba rete di spionaggio che ci invidiavano tutti: inglesi, francesi, americani venivano a chiedere informazioni a quegli “straccioni” di italiani (non nascondiamoci: ci hanno sempre considerato così, anche se poi apprezzavano il lavoro dei nostri uomini). Poi quella rete è andata distrutta, smantellata e i vari agenti che, come giornalista (felice e gelosissimo del mio ruolo, senza indebite interferenze), incontravo nei posti più impensati dell’Africa si sono dimessi, hanno lasciato, se ne sono andati sbattendo la porta. Ne ricordo parecchi.
La vicenda di Silvia è stata dimenticata dalla stampa. Molti giornali non hanno scritto una riga se non in qualche occasione. Forse perché non c’era niente da scrivere. Ma le notizie, quelle importanti, si devono cercare, non atterrano sulle scrivanie, sui computer o sui cellulari da sole. E i grandi giornali non hanno mandato nessuno a investigare sulle sorti di una povera ragazza che “è andata ad aiutare i bambini a casa loro”.
Noi le notizie le abbiamo cercate sul posto con il grande e concreto aiuto dei nostri lettori e degli amici e parenti di Silvia. Il loro contributo è stato essenziale per permetterci di lavorare. E continueremo a voler capire. Andremo anche in Somalia per verificare la consistenza di quelle notizie secondo cui Silvia è lì. E vogliamo scoprire i nomi di coloro che hanno organizzato il rapimento della volontaria di Africa Milele. Per questa ragione sulla home page di Africa ExPress abbiamo tenuto in evidenza alcuni degli articoli scritti sul sequestro. Per non dimenticare!
Se volete continuare ad aiutarci vi garantiamo professionali e serie inchieste giornalistiche sul caso di Silvia.
Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi
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