Silvia Romano le nuove indagini e i messaggi alle sue amiche

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Speciale per Africa ExPress e per il Fatto Quotidiano
Massimo A. Alberizzi
Nairobi, luglio 2019

“Appena letto. Bellissimo. Grazie di aver pensato a me. Anche io mi ci sono rispecchiata tanto. E più passano i giorni, più sono convinta della mia scelta di andare contro corrente. Contro gli schemi della società che ti impongono tanti limiti. Ma io non voglio seguire il giudizio di persone care, un papà o un’amica, che non possono capire questa scelta e non la comprenderanno mai. Non gliene faccio una colpa. Mi dispiace, per loro che non immaginano quanta vita si perdono a fare del bene. A entrare nella quotidianità di altri popoli. A viaggiare, avere nuovi amici splendidi di un altro continente. Come fratelli. Incontrare la luce che hanno questi bimbi. E vorrò continuare a seguire questa strada finché lo sentirò.

Questo è il messaggio whatsapp scritto da Silvia a una delle sue migliori amiche. Era felice di andare ad aiutare i meno fortunati di lei

Negli ultimi quattro mesi ho incontrato così tante persone straordinarie. Tra cui anche tu. Che mi hai regalato il viaggio e sono sicura che ne incontrerò ancora tante. E così diventerò una persona migliore”.
Così l’11 novembre, cioè nove giorni prima di essere rapita, e subito dopo aver letto il libro “Bianco come Dio” di Nicolò Govoni, Silvia Romano scriveva a una sua amica. “Un messaggio che trasuda determinazione, caparbietà e tanta intelligenza. Una capacità di andare contro corrente per capire il mondo e non farsi travolgere da esso. Lei ci provava con tanto cuore e braccia aperte verso gli altri, i meno fortunati di lei – spiega Anna (il nome è di fantasia per rispettare la privacy in un momento tanto delicato) la ragazza che era l’amica del cuore di Silvia – . Lei rappresenta l’Italia migliore di cui andare orgogliosi.”

Dopo che per settimane le indagini sul rapimento di Silvia Romano, sequestrata il 20 novembre in un piccolo villaggio keniota, erano ferme, ora finalmente qualcosa si sta muovendo. I carabinieri del ROS hanno convocato altre persone ascoltate come “informate dei fatti”. Amiche di Silvia, volontari e volontarie che hanno lavorato a Chakama per l’organizzazione Africa Milele, dove la giovane milanese rapita prestava la sua opera di aiuto ai bambini locali. Ma non solo. Anche gli inquirenti kenioti hanno finalmente dato segni di vita. A Chakama, il villaggio dove la giovane italiana è stata portata via da un commando di uomini armati solo di pistole e di una granata lanciata più per spaventare che per uccidere, sono ricomparse le camionette della polizia.

“La violenza al momento del ratto – commenta un ispettore di polizia a Nairobi – sembrava più una messa in scena teatrale. I rapitori hanno portato via Silvia in spalla, hanno raggiunto il fiume Athi Galana Sabaki, poco lontano, quasi in secca. L’hanno guadato a piedi e quindi raggiunto le motociclette che avevano lasciato al di là. Avrebbero potuto agire di sorpresa, arrivare a Chakama direttamente in sella dei loro mezzi, prendere Silva e allontanarsi così. Invece hanno scelto una strada più complicata e difficile dove qualcuno avrebbe potuto seguirli e individuarli. Nessuno invece gli è andato dietro”. L’ispettore e ottimista: “Se dovessi scommettere direi che Silvia è viva e tenuta da qualche parte”.

La ventitreenne milanese Silvia Costanza Romano

Indagini effettuate in loco da Africa ExPress e dal Fatto Quotidiano hanno chiarito alcune cose sul conto di Francis Kalama, il pastore anglicano che Silvia aveva denunciato alla polizia per molestie nei confronti di alcune bambine. In realtà il religioso si chiama Francis Kahindi Charo, è originario di Malindi, dove vive con la sua famiglia. Ora risiede a Marafa, un altro piccolo villaggio dell’interno (guarda caso al di là del fiume Athi Galana Sabaki) dove è stato inviato come sacerdote a guidare la comunità dell’ACK, African Churches of Kenya, in quell’area.

Sabato scorso, stava celebrando un funerale. Nessuno dei partecipanti sapeva della denuncia fatta da Silvia. Lo stringer del Fatto Quotidiano domenica mattina ha avuto modo di scambiare poche parole direttamente con lui: “La polizia non mi ha cercato e non so di nessuna denuncia nei miei confronti. A novembre, quando ho conosciuto Silvia – ha continuato – sono andato a Chakama per la prima volta. Ero stato mandato lì dal mio superiore per organizzare la nostra comunità. Ci tornerò tra poco – ha aggiunto -. Ho saputo del rapimento della ragazza dalla radio nazionale. E, ripeto, non so nulla della denuncia”.

Al villaggio dove la ventitreenne milanese è stata rapita è arrivata la notizia che le indagini sono riprese in maniera assidua. Pattuglie della polizia continuano a muoversi per i polverosi sentieri del centro abitato. Venerdì gli agenti hanno prelevato alcune persone che sono state portate alla centrale di Malindi per nuovi interrogatori. Si tratta di Ronald Karissa, il ragazzo che si trovava in casa con Silvia al momento del rapimento e si è preso una bastonata perché non si muovesse, e, di nuovo, Elizabeth Kasena, la ragazza dal cui telefono risultano partite delle chiamate ai cellulari dei rapitori. Con loro è stato portato a Malindi per essere interrogato come testimone anche l’area chief (una sorta di sindaco) di Chakama. Moses Lwali Chende, l’uomo arrestato subito dopo il rapimento di Silvia e marito di Elizabeth Kasena, accusato di avere partecipato alla logistica del rapimento è a breve (fine luglio primi d’agosto, la data non è stata ancora fissata) atteso al tribunale di Malindi per essere processato.

La polizia keniota sospetta che tra le persone interrogate ci sia qualcuno che da giorni stava monitorando in maniera insospettabile i movimenti di Silvia e delle persone addette alla sicurezza e che, in qualche modo, abbia fatto da “palo”.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzigmail.com
twitter @malberizzi

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