Speciale Per Africa Express
Franco Nofori
Torino, 5 marzo 2019
Con questo nuovo prestito di 70 milioni di dollari, concordato nell’ultimo trimestre dello scorso anno, Pechino è diventato il più grande creditore del mondo nei confronti del Kenya, che vede il suo debito complessivo con la Cina, salire dai precedenti 5,5 miliardi di dollari, contabilizzati nel settembre scorso, agli attuali 6,2 miliardi di dollari che fanno del Kenya il terzo Paese africano, dopo Angola ed Etiopia, con il più alto indebitamento verso il gigante asiatico. Il debito globale del Paese africano, considerando tutti i creditori, domestici e stranieri, raggiunge la strabiliante somma di 47 miliardi di dollari. Ciò vuol dire un debito pro-capite di 930 dollari (circa 100.000 scellini del Kenya) che ogni cittadino si trova sulle spalle alla nascita. Somma, che non in pochi casi, rappresenta il salario di un anno.
Eppure, il Prodotto Interno Lordo (PIL) del Kenya ha avuto, nell’ultimo quarto di secolo, un incremento di tutto rispetto, passando dai 5 miliardi di dollari del 1993 agli attuali 80 miliardi di dollari, ma chi ha visto i benefici di questo più che apprezzabile risultato? La povertà, soprattutto nelle zone rurali, è in costante crescita; l’assistenza sanitaria è al collasso; l’apparato scolare è gravemente inadeguato; le infrastrutture, i trasporti e i servizi essenziali, sono – in larga parte del Paese – gli stessi di un secolo fa e sul tutto divampa una sempre più agguerrita e invincibile corruzione.
Quest’ultimo debito contratto con la Cina ha provocato la furiosa reazione di molti cittadini che hanno sfogato la loro rabbia sui social. “Nulla è stato fatto e nulla sarà mai fatto in futuro – protesta Ibra Ibrahim – non aspettatevi altro che furti, menzogne e ancora menzogne”. “Ecco un altro prestito – è l’amaro commento di Oyoya Johanes – perché i nostri leader possono continuare a rubare”. “Perché, prima di contrarre un nuovo debito – si chiede Moses Kamwigu – il governo non ci spiega come ha utilizzato i soldi ricevuti in precedenza?”. Peter Ndirawood è ancora più pessimista: “E’ terribile! Passo dopo passo diverremo tutti schiavi della Cina”.
Si tratta di commenti accesi, ma che è arduo definire infondati. Più volte, la Banca Mondiale e altri Paesi donatori, hanno sospeso gli aiuti al Kenya, perché il suo governo, pur continuando a chiedere prestiti, non era in grado di spiegare come aveva utilizzato quelli ottenuti in precedenza. “Riprenderemo gli aiuti – ha più volte riferito la Banca Mondiale – quando il governo del Kenya ci spiegherà perché non ha realizzato le opere per cui i precedenti prestiti erano stati erogati”. Una forma diplomatica per far capire che, quei soldi, erano spariti nella voragine della corruzione.
Alla reazione diffusamente negativa che ha fatto seguito all’ultimo prestito cinese, si aggiunge il fondato sospetto, che il Kenya abbia richiesto questo finanziamento, per riuscire a pagare le rate di quelli ricevuti in precedenza, impedendo così azioni coercitive da parte del creditore asiatico che aveva già messo i suoi occhi rapaci sul porto di Mombasa. Il Kenya si trova così esposto alla classica strategia dell’usuraio, che continua a finanziare la propria vittima, fino a che questa – strangolata dall’enormità del debito e impossibilitata a onorarlo – cede al creditore, in tutto o in gran parte, il suo patrimonio. Difficile avere dubbi che questa non sia la strategia di Pechino, perché è già stata attuata più volte con successo e non solo in Africa.
Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@FrancoKronos1