Assalto dei terroristi in Burkina Faso: ucciso un missionario spagnolo e quattro agenti della dogana

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Burkina Faso, luogo dell'uccisione del sacerdote spagnolo, al confine con il Togo

Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 16 febbraio 2019

Non si arresta l’ondata di violenza che ha investito il Burkina Faso da ormai quattro anni. Ieri, al confine con il Togo, nel sud-est del Paese, un gruppo di uomini armati ha ucciso quattro agenti della dogana e un sacerdote spagnolo, il salesiano Antonio César Fernández.

Pedro Sanchez, primo ministro spagnolo, ha confermato la morte del settantaduenne salesiano e ha espresso il suo cordoglio alla famiglia della vittima e a tutte le altre uccise insieme a lui ieri. Ha inoltre detto di essere riconoscente a tutti i volontari e cooperanti che rischiano ogni giorno la loro vita nelle zone di conflitto.

Burkina Faso, luogo dell’uccisione del sacerdote spagnolo, al confine con il Togo

Il padre viveva e lavorava in Africa dal 1982. Attualmente era in servizio a Ougadougou, la capitale del Burkina Faso. E’ stato brutalmente ammazzato mentre tornava da riunione a Lomé, in Togo. Era in compagnia di un altro sacerdote e il suo autista, entrambi africani.

Una fonte delle forze di sicurezza burkinabé ha fatto sapere che all’attacco avrebbero partecipato una ventina di presunti jihadisti.

Sempre nel Burkina Faso sono stati rapiti un cittadino indiano e un sudafricano. Alcuni ostaggi sono ancora nelle mani dei terroristi come l’anziano medico australiano, Kenneth Elliot, sequestrato insieme alla moglie Jocelyn nel gennaio 2016. La donna è stata liberata un mese dopo, proprio mentre era in atto l’assalto terrorista a Bamako, la capitale del Mali. La coppia, che dal 1972 risiedeva a Djibo, nel nord del Burkina Faso, al confine con il Mali, aveva aperto un ospedale di 120 letti quarant’anni fa. Erano considerati i medici dei poveri, molto amati e stimati dalla popolazione locale.

Padre Antonio César Fernández, salesiano ucciso in Burkina Faso

Ora i jihadisti non si limitano più ai rapimenti. Il mese scorso è stato sequestrato e poi ucciso un ingegnere canadese, responsabile delle miniere bourkinabè e ivoriane della società Progress Minerals, della quale era vice-presidente.

Nella ex colonia francese è scomparso da metà dicembre anche un italiano, Luca Tacchetto, giovane architetto, originario di Vigonza, nel Veneto, insieme alla sua compagna Edith Blais, canadese. Finora nessun gruppo terrorista ha rivendicato il loro rapimento.

A metà settembre 2018, invece, è stato rapito in Niger Pierluigi Maccalli, della Società delle Missioni Africane. Un commando di persone armate è arrivato in sella alle moto a Gourmancè e ha fatto irruzione nell’abitazione del religioso.

La situazione nell’ex colonia francese è sempre più precaria e per questo motivo il 31 dicembre sorso, a causa dei frequenti attacchi dei jihadisti, il governo ha proclamato lo stato di emergenza in diverse province del Paese . Inizialmente le incursioni dei terroristi erano per lo più concentrate al confine con Niger e Mali, ma ora si sono estese anche in altre regioni, in particolare nell’est, nelle zone confinanti con il Togo e il Benin.

Il Burkina Faso, insieme a Mauritania, Ciad, Niger e Mali, fa parte dal 2017 del G5 Sahel, un’organizzazione che ha dato vita a un nuovo contingente tutto africano, finanziato dall’Unione Europea, Francia, Stati Uniti, Arabia saudita, volto a contrastare il terrorismo nella zona subsahariana. Purtroppo la Force G5 Sahel stenta a decollare, per mancanza di fondi. Infatti non tutti i finanziamenti promessi sono stati elargiti. Lo hanno fatto sapere i cinque capi di Stato (Idriss Déby, Ciad; Mohamed Ould Abdel Aziz, Mauritania; Mahamadou Issoufou, Niger;  Ibrahim Boubacar Keïtadurante, Mali; e Roch Marc Christian Kaboré, Burkina Faso) durante il vertice del G5 Sahel che si è tenuto ai primi del dicembre scorso a Nouakchott, la capitale della Mauritania.

Durante la conferenza internazionale sul Sahel di Bruxelles del febbraio 2018, sotto il patrocinio dell’Unione Europea, delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, gli ambasciatori degli Stati membri dell’UE avevano stanziato altri cinquanta milioni di euro, ulteriormente incrementati di cinquanta milioni dopo la distruzione del quartiere generale di Sévaré, nel centro del Mali, dopo un attacco jihadista. Anche l’iniziale somma di sessanta milioni di dollari messi a disposizione dagli USA, è stata portata in seguito a centodieci milioni, ma sotto forma di aiuti bilaterali. Anche l’Arabia Saudita aveva promesso un assegno di cento milioni di dollari. Altri cinquanta milioni provengono, invece, dalla casse dei cinque Paesi del G5 Sahel.

Maman Sidikou, segretario generale del G5 Sahel ha fatto sapere che alla fine dello scorso anno che, a parte 17,9 milioni per l’equipaggiamento e servizi e oltre all’assistenza tecnica dell’UE e AU, sono affluiti poco più di cinquantacinque milioni di euro in contanti.

I militari della Force G5 Sahel dovrebbero intervenire nelle zone di maggior rischio nei vari territori, ma finora i loro interventi sono stati limitati. Ma secondo Alpha Barry, ministro degli esteri bourkinabé, il contingente tutto africano dovrebbe finalmente essere operativo al cento per cento entro pochi mesi.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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