Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 9 dicembre 2018
I morti causati da ebola nell’Ituri e nel Nord Kivu, province orientali della Repubblica Democratica del Congo, sono in continuo aumento, come lo rivelano i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. L’epidemia, la decima, provocata dalla grave forma di febbre emorragica è scoppiata il 1° agosto 2018..
Da allora al 6 dicembre la situazione è la seguente:
Morti 275, tra questi 227 confermati e 48 probabili
Mentre le persone che hanno contratto la malattia sono 477, i casi probabili sono anche qui 48.
Finora sono state vaccinate oltre quarantamila persone e, secondo gli esperti, senza l’immunizzazione i morti sarebbero ben di più. Il vaccino, prodotto dalla casa farmaceutica Merck è ancora in fase sperimentale. Esiste uno stock di trecentomila dosi, che però non sono sufficienti. Per prepararlo di nuovo ci vogliono mesi e la Merck sta lavorando a pieno ritmo. Peter Salama, direttore dell’OMS per le emergenze ha fatto sapere che con le dosi a disposizione non è possibile provvedere a un immunizzazione a tappeto. Finora quindi si procede alla vaccinazioni ad anello. Vale a dire le persone venute a contatto con qualcuno che ha contratto la patologia, sono le prime ad essere immunizzate. Poi si procede con quelle che hanno avuto rapporti con le prime e così via.
La lotta contro questa micidiale patologia, estremamente contagiosa, questa volta è esplosa in una zona particolarmente pericolosa e violenta del Congo, perchè flagellata da continui attacchi da parte di miliziani dell’Alliance of Democratic Forces (organizzazione islamista terrorista ugandese, operativa anche nel Congo-K dal 1995).
Durante due attacchi di ADF, sono state uccise diciotto persone. Il primo è avvenuto giovedì mattina a Mangolikene, nella valle di Gaben, che dista solo quindici chilometri da Beni, attuale epicentro dell’epidemia. Secondo testimoni oculari, i ribelli hanno attaccato agricoltori intenti a lavorare nei propri campi. Tredici di loro sono stati brutalmente assassinati. Il fatto è stato confermato da fonti dell’esercito congolese, secondo cui tutta l’area di Mangolikene è vietata all’accesso dei civili, proprio per le operazioni in corso per contrastare i miliziani.
I miliziani di ADF non conoscono riposo. In tarda serata dello stesso giorno hanno condotto una seconda offensiva a Paida, un quartiere periferico di Beni, uccidendo cinque civili, tra loro anche una donna e un bimbo, altre due persone sono state ferite.
La popolazione è furente e disperata. Oltre a dover lottare contro l’ebola, devono temere i continui attacchi dei ribelli. Molti fuggono nelle foreste e ciò rende particolarmente difficile controllare l’espandersi della malattia.
Questa volta l’epidemia è diversa. Gli incessanti attacchi dei ribelli costringono gli operatori ad interrompere il lavoro per giorni e giorni per questioni di sicurezza. Inoltre alcune frange della popolazione, in particolare familiari di malati o deceduti per ebola, distruggono l’equipaggiamento degli operatori e attaccano persino gli addetti ai lavori. Lo ha denunciato il ministro della Sanità di Kinshasa, Oly Ilunga Kalenga.
Qualche giorno fa Kalenga si è incontrato nuovamente con il suo omologo ugandese Jane Ruth Aceng per intensificare la collaborazione per la lotta contro ebola: maggiori scambi di informazioni, incrementare la sorveglianza transfrontaliera e quant’altro. Già tempo fa l’Uganda ha iniziato a vaccinare gli operatori sanitari attivi nelle aree di confine con il Congo-Kinshasa. Il personale sanitario addetto all’immunizzazione è stato formato dai congolesi in collaborazione con gli esperti dell’OMS. Kinshasa è disponibile ad inviare i suoi medici in Uganda per la formazione dei loro colleghi, ma ha anche invitato gli operatori di recarsi nelle zone dell’epidemia e constatare dal vivo la lotta per arginare e debellare la febbre emorragica in atto.
Cornelia I. Toelgyes
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