Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 3 giugno 2018
Il trattato di Algeri, siglato nel dicembre del 2000 tra l’Eritrea e l’Etiopia ha messo fine al conflitto di confine tra i due Stati, ma entrambi i Paesi continuano ad essere sul piede di guerra. Il primo ministro etiopico, Abiy Ahmed, che è stato insediato solo due mesi fa, sta cercando di aprire nuovi dialoghi con Isaias Afworki, per porre fine una volta per tutte alle ostilità.
Forte del fatto che tra Asmara e Riad intercorrono ottimi rapporti, Abiy, durante una sua recente visita in Arabia Saudita, ha chiesto aiuto al principe ereditario, Mohammed bin Salman, come è stato riferito dal giornale online etiopico Aigaforum.com. Il primo ministro di Addis Ababa ha precisato, rivolgendosi al principe ereditario, che in rispetto al trattato di Algeri, le parti possono ridiscutere la questione.
Afeworki non ha risposto alla telefonata di Mohamed bin Salman, e finora non è giunta nessuna chiamata in Arabia Saudita dal regime eritreo. Sempre che la notizia sia vera, è una procedura inusuale per riallacciare i rapporti con un nemico. Una tale istanza richiede la mediazione degli organi internazionali preposti, in tal modo si ha anche la certezza di ottenere un responso, visto e considerato che il trattato di Algeri, secondo la lettura di Isais, è definitivo e vincolante.
Al di là di questa formalità, bisogna chiedersi se il regime di Asmara sia veramente interessato ad una pace effettiva con la vicina Etiopia. Isaias giustifica la militarizzazione dell’ex colonia con le continue ostilità alle frontiere, che si verificano regolarmente tra le due parti in causa.
Con la fine della guerra di indipendenza con l’Etiopia nel 1991, Isaias diventa presidente provvisorio. Nel 1993 con un referendum sotto l’egidia dell’ONU, il popolo eritreo si esprime in favore dell’indipenza e il leader viene riconfermato fino alle promesse elezioni, che a tutt’oggi non si sono mai svolte, perchè la legge elettorale non è mai stata approvata, tanto meno la Costituzione.
Nel maggio 1998 l’Eritrea ritorna in guerra con l’Etiopia – che non ha accessi al mare – per questioni di confine a Badme. Il conflitto termina con il trattato di Algeri. In seguito la commissione per i confini assegna Badme all’Eritrea, mentre modifica ile frontiere a vantaggio territoriale dell’Etiopia
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Il rappresentante eritreo durante i negoziati di Algeri fu l’allora ministro degli Esteri, Haile Woldetensae, detto Duro, sbattuto poi in galera dal dittatore insieme ad altri dissidenti nel 2001 – inizio della vera repressione – dove è morto cieco e gravemente ammalato qualche mese fa.
Dal 2001 in poi Isais applica severamente le regole del fascismo ed il Paese è chiuso in un’autarchia che getta la popolazione nella miseria più nera, perchè una società totalmente militarizzata non produce nulla, solo schiavi. A partire dal 1998 mai nessuno ha potuto lasciare volontariamente le caserme, il servizio militare o quello civile e ai disertori si spara a vista.
Oltre alle violazioni dei diritti civili e umani all’interno dell’Eritrea, i rifugiati che fuggono dalla dittatura intollerante e disumana che governa la loro nazione, sono vessati non solo da una tassa giudicata in molti Paesi illegale, ma devono anche ammettere di aver sbagliato e dichiarare solennemente di accettare con sottomissione la punizione che il governo deciderà di infligger loro. Sembra di essere tornati ai tempi dell’Inquisizione dove il condannato per eresia veniva messo al rogo, senza nessuna pietà e nel nome di Dio. Il regime continua a opprimere e maltrattare i suoi cittadini al di fuori dei suoi confini, e per questo motivi all’inizio di quest’anno, i Paesi Bassi hanno dichiarato il rappresentante diplomatico di Asmara persona non grata.
Poco più di una settimana fa, alcuni leader religiosi, in rappresentanza di cristiani e musulmani eritrei, hanno spiegato davanti a membri della Camera dei Lord come molti credenti siano continuamente perseguitati per la loro fede. Arresti extragiudiziali anche per motivi religiosi sono ancora all’ordine del giono, basti pensare a Hajji Musa Mohamed Nur, imprigionato lo scorso ottobre perché si era rifiutato di chiudere la scuola privata islamica di Asmara. Nur, malgrado la sua età, era detenuto nella quinta stazione di polizia della capitale, dove è morto tre mesi or sono. David Alton, organizzatore dell’evento al Parlamento londinese, ha invitato il suo governo a prendere i necessari provvedimenti affinchè vengano rispettati diritti umani: “Negare la libertà di religione è una violazione contro l’articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo”, ha precisato Alton.
La comunità internazionale dovrebbe cogliere come una grande opportunità l’apertura dell’Etiopia verso il suo nemico storico ed intervenire con una mediazione reale per mettere un punto finale a questo conflitto mai risolto. Finchè la questione dei confini tra le due nazioni, non sarà risolta in modo definitivo, il tiranno di Asmara persisterà nella sua politica di repressione e non cesserà di violare con prepotenza i diritti del suo popolo.
Cornelia I. Toelgyes
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