La Cina al primo posto tra i finanziatori del Kenya, ma non è per filantropia

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francoDal Nostro Corrispondente
Franco Nofori
Mombasa, 21 febbraio 2018

Nell’anno appena concluso, la Cina ha concesso un prestito bilaterale a favore del Kenya di circa 4,4 miliardi di euro, salendo così al primo posto tra i donors internazionali. La segue il Giappone con 687 milioni di euro; la Francia con 520 milioni; la Germania con 280 milioni e il Belgio con 84 milioni. Questi dati li riporta il quotidiano Daily Nation di qualche giorno fa, come risultanti dalla contabilità del ministero keniano delle finanze.

Con questi ultimi finanziamenti, il Kenya ha così raggiunto, nell’anno in corso, un complessivo debito estero di ben 6,4 miliardi di euro. Una somma sconcertante se rapportata al PIL del paese che supera di poco i 70 miliardi di euro con un’incidenza quindi intorno al 9 per cento. Tuttavia, trattandosi di prestiti bilaterali, questi soldi torneranno in qualche misura ai Paesi eroganti in forma di merci fornite, appalti e vari altri contratti di consulenza.

Come si vede le due potenti economie asiatiche si mostrano le più “generose” nel loro sostegno al Paese africano, cosa del resto ampiamente dimostrata dall’enorme presenza di merci, appalti e tecnologie da loro fornite al Kenya. Chi pensa si tratti di pura filantropia può anche credere alla favola di Cappuccetto rosso. Forse il Giappone e gli altri Paesi europei si accontenterebbero di rafforzare, attraverso questi prestiti, scambi economici e migliori assetti geopolitici, ma le mire cinesi vanno ben oltre queste legittime aspettative perché ciò che loro si propongono – in forma neppure troppo velata – è di soppiantare l’imprenditoria locale nella gestione economica, commerciale, industriale, turistica e agricola del paese. (https://www.africa-express.info/2017/12/08/il-continente-nero-si-tinge-di-giallo-la-cina-alla-conquista-dellafrica/)

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Tecnici cinesi all’opera in Kenya

Perché l’Occidente appare sempre più sconfitto quando si tratta di acquisire contratti con il Kenya per forniture di tecnologie e di appalti? Si potrebbe pensare che, come avviene in Europa, i prezzi cinesi siano molto più bassi dei nostri e i loro prodotti vengano quindi preferiti, nonostante la qualità spesso assai inferiore, ma nei riguardi del Kenya e dell’Africa in generale, pare che la ragione non sia questa. “La vostra tecnologia – dice Philip Murgor, ex procuratore generale del Kenya – è certamente migliore di quella cinese e in vostri prezzi, almeno per quanto riguarda questo Paese, non sono superiori a quelli da loro praticati”.

E allora perché noi ci troviamo spesso la via preclusa? Murgor è un uomo schietto e non si esprime attraverso perifrasi. Stende l’avambraccio e vi appoggia la mano a taglio. “La Cina ottiene i contratti perché un terzo del loro valore lo cede ai politici che hanno il potere di ratificarli. Mentre voi – aggiunge con un sorriso – siete vittime di troppo perbenismo. Fatelo anche voi e i contratti saranno vostri”. Impossibile dargli torto. Qualche anno fa, l’Iveco di Bolzano – sede dell’azienda torinese che si occupa di mezzi militari – presentò un’offerta per un certo numero di camion in risposta ad una richiesta avanzata dal ministero della Difesa keniano. Senza badare troppo alla forma i funzionari incaricati delle trattative chiesero apertamente quale sarebbe stata la loro parte. L’Iveco rifiutò e poco dopo il Kenya importò quei camion dalla Cina. Qualcuno ricorderà che durarono ben poco. Avevano una grave fragilità nella barra dello sterzo e molti finirono fuori strada causando anche la morte di un paio di soldati. In tutta fretta, il governo del Kenya, sostituì quei mezzi con altri prodotti dalla Leyland britannica, ma come sempre accade a queste latitudini, nessuno fu perseguito per aver autorizzato l’acquisto dei mezzi cinesi.

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L’ex procuratore capo del Kenya Philip Murgor

Philip Murgor non ha dubbi: “China – dice – will swallow our country like a piece of cake” (la Cina inghiottirà il nostro Paese come una fetta di torta). Sconfortante profezia, ma non certo lontana dal vero. Forse, anche Philip Murgor, se raggiungesse il potere, non saprebbe a sua volta esentarsi dal saccheggio, ma gli va dato atto che al potere lui c’è già stato e non certo in una posizione trascurabile, da cui è stato estromesso proprio a causa di aver frugato con troppa insistenza nei maleodoranti traffici del Palazzo.

Alle recenti elezioni presidenziali, aveva anche presentato la propria candidatura, ma tutti – sia al governo che all’opposizione – lo vedevano come una mina vagante e quindi si sono ingegnati a boicottarlo.

Noi italiani lo ricordiamo come l’uomo che, nel 2005, quando era a capo della Procura Generale, lottò perché i coniugi Ricci di Malindi, accusati di un commercio clandestino di cocaina per 1,2 tonnellate, fossero giudicati innocenti, pur avendo passato un intero anno nelle carceri del Kenya. Erano solo gli sprovveduti capri espiatori di un enorme traffico di droga gestito da personalità potenti e intoccabili. La difesa degli italiani gli costò il posto di Procuratore Generale.

Da allora sono passati tredici anni. Philip Murgor è tornato alla sua professione di avvocato, senza più ricoprire alcun incarico istituzionale e guarda con rassegnata tristezza al suo Paese, sempre più fagocitato dall’inarrestabile conquista cinese.

Franco Nofori
franco.kronos1@gmail.com
@Franco.Kronos1 

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