Speciale per Africa ExPress
Massimo A. Alberizzi
Milano, 4 gennaio 2018
Il primo ministro del governo dell’Etiopia, Hailemariam Desalegn, ha annunciato il rilascio di tutti i prigionieri politici e la chiusura della famigerata prigione Maekelawi famosa per gli abusi contro i detenuti, comprese – come hanno denunciato le organizzazioni spesso per la difesa dei diritti umani – torture e umiliazioni corporali. Sarà trasformata in un moderno museo, ha scritto il giornale online Addis Standard. Desdalegn ha anche spiegato che saranno cancellate tutte le accuse verso i “prigionieri politici” (ammettendo così la loro esistenza in Etiopia, cosa che era stata sempre negata) e un’amnistia per tutti coloro che sono stati condannati per gli stessi reati. Makelawi. Invece, sarà rimpiazzata da una moderna struttura che rispetterà tutti gli standard internazionali e ospiterà solo criminali comuni e non prigionieri politici. Non ha parlato dell’altra prigione lager di Addis Abeba, la Kaliti, che comunque dovrebbe anch’essa essere chiusa.
La nuova politica dell’amministrazione dell’ex colonia italiana – ha spiegato sempre il primo ministro – vuole essere un gesto distensivo verso l’opposizione per creare spazi dove collaborare per il bene del Paese.
Fin dal 2015 gruppi dissidenti hanno organizzato diverse manifestazioni di protesta che hanno scosso non solo la capitale Addis Abeba ma anche le più popolose città del’Etiopia.
L’ultima il 27 dicembre scorso, con una giornata di campagna martellante per la liberazione proprio dei prigionieri di coscienza – intellettuali, studenti e blogger – critici contro il governo e l’élite tigrina che più di ogni altra detiene il potere. Chi è finito in carcere finora era accusato di terrorismo, un crimine gravissimo per il quale sono previste pene assai severe.
La mossa odierna del governo è venuta in seguito a serrate trattative con i più importanti capi dell’opposizione che si sono impegnati sì a rinunciare alla violenza ma non si può dire che si siano allineati con il regime. Continueranno a esprimere il proprio dissenso – hanno promesso – in modo costruttivo e collaborativo.
Positivo il commento di Amnesty Interenational e di Fisseha Tekle, suo analista del Paese africano: “Mi auguro che l’annuncio di oggi – ha sostenuto – sia il primo segnale della fine della sanguinaria repressione in Etiopia. Per i prigionieri politici magari detenuti da anni, questo è un atto dovuto. Anche se le accuse sono di terrorismo, molti sono dietro le sbarre solo per aver esercitare il diritto di manifestare il loro pensiero. Quindi ci spettiamo che cambi la legge che prevede misure draconiane mascherate come antiterrorismo.
“La chiusura di Maekelawi è la benvenuta ma non si deve utilizzare per cancellare e dimenticare le orribili nefandezze che sono accadute lì in questi anni. Maekelawi ha funzionato essenzialmente come centro di torture, per interrogare brutalmente tutti quelli che dissentivano dal regime, pacifici dimostranti, giornalisti e figure dell’opposizione. Il governo ora deve investigare tutte le violazioni dei diritti umani”.
Massimo A. Alberizzi
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