#SaveFadlAlMawla dall’ultima impiccagione sommaria d’Egitto

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barbara-ciolli-francobolloSpeciale per Africa ExPress
Barbara Ciolli
1 maggio 2017

Dalla sentenza del 24 aprile 2017 gli attivisti per diritti umani arabi hanno lanciato l’ultima campagna #SaveFadlAlMawla: salvare dall’impiccagione l’ultimo arrestato e processato sommariamente nell’Egitto che, ormai un anno e mezzo fa, fermò e torturò fino alla morte il giovane ricercatore italiano Giulio Regeni. La mobilitazione per bloccare l’esecuzione capitale del predicatore islamico Sheikh Fadl al Mawla, rimbalza sui social network ed è appoggiata da decine di organizzazioni per i diritti umani nel mondo.

L’unico testimone oculare presentato dall’accusa si è contraddetto in cinque diverse versioni. Senza il suo racconto, gli indizi che durante la manifestazione antigovernativa del 15 agosto 2013, ad Alessandria, al Mawla abbia effettivamente ucciso il tassista poco più che 20enne Mina Rafaat Aziz sono nulli. Eppure la Corte di Cassazione d’Egitto ha confermato il verdetto del 2016 della Corte criminale d’Alessandria, rigettando il ricorso in appello della difesa senza fornire motivazioni: un’ ulteriore violazione dei diritti umani, dopo le 15 violazioni verso l’imputato denunciate dai legali nel giudizio.

Fadl al Mawla

La dura sentenza è anche politica, insieme ad al Mawla altri 17 manifestanti dell’area della Fratellanza musulmana sono stati condannati al carcere per diverse accuse, tra le quali l’omicidio del tassista. La rivolta di Alessandria esplose all’indomani del massacro, da parte dell’esercito e delle forze di sicurezza egiziane, nelle piazze di al Nahda e di Rabaa del 14 agosto 2013: il secondo atto del golpe andato in scena un mese e mezzo prima che, per mano dei militari guidati dal generale e successivo presidente Abdel Fatah al Sisi, destituì il presidente legittimamente eletto Mohammed Morsi.

Leader della Fratellanza musulmana, Morsi è in prigione con due ergastoli, in attesa di un nuovo processo, perché nel suo caso nel 2016 la Corte di Cassazione ne ha annullato la condanna a morte. Quattro anni fa nelle due piazze del Cairo migliaia di egiziani islamisti stavano protestando giorno e notte da sei settimane contro il golpe di al Sisi, chiedendo la liberazione di Morsi: militari e polizia sgomberarono in poche ore le zone occupate di al Nahda e Rabaa, provocando per Human Rights Watch 817 morti e quasi 4 mila feriti, «una delle più grandi uccisioni di dimostranti in un singolo giorno della storia recente».

In Egitto è stata la repressione più dura dalle rivolte di piazza Tahrir del 2011. La Fratellanza musulmana – che dopo il colpo di Stato del 2013 è stata dichiarata «organizzazione terroristica» – rivendica 2.600 morti solo nel sit-in in piazza Rabaa, anche il Ministero della Sanità egiziano ammette 638 vittime. All’indomani dei fatti, ad Alessandria come al Cairo e in altre città scoppiarono altre rivolte, con morti e feriti: in questo contesto è avvenuta l’uccisione del tassista Aziz, per il quale, come in altri casi, sono stati svolti processi sommari per attribuirne le responsabilità.

Abdel Fatah al Sisi

Pochi giorni dopo gli scontri del 15 agosto, anche il capo spirituale della Fratellanza musulmana Mohamed el Badia fu prelevato dai militari in un appartamento e portato in prigione. Arrestato da agenti mentre si trovava al lavoro, oltre che per l’omicidio, il predicatore al Mawla è incriminato per partecipazione a dimostrazioni illegali e assemblee politiche. Per la Fratellanza musulmana “accuse fabbricate”, anche attraverso false testimonianze della violenza contro il tassista perché cristiano, che “riaffermano la trasformazione della giustizia egiziana, con il golpe militare, in una piattaforma della morte che per vendetta ne chiede il conto agli oppositori politici”.

La repressione dell’apparato militare e di sicurezza egiziano non si è in realtà mai fermato: arresti di manifestanti, torture e incriminazioni arbitrarie di oppositori erano proseguite, dopo la caduta del regime di Hosni Mubarak nel 2011, anche sotto la breve presidenza di Morsi. Ma con al Sisi la durezza è aumentata: la repressione delle opposizioni, dopo il suo colpo di Stato, è superiore anche a quella degli ultimi anni sotto Mubarak. Migliaia di contestatori e attivisti per le libertà d’espressione, anche laici, sono stati incarcerati, centinaia torturati, altre centinaia gli spariti nel nulla e mai ritrovate, come i morti nelle manifestazioni.

La Commissione per la Giustizia (CFJ), associazione indipendente basata a Ginevra per la difesa dei diritti umani soprattutto in Medio Oriente e nel Nord Africa, chiede alle autorità egiziane di “porre fine alla sentenza contro al Mawla”, ricordando come, anche ad Alessandria, “per fermare le dimostrazioni forze di sicurezza e militari sparassero ai manifestanti, provocando diversi morti nelle strade incluso il tassista Mina Raafat Aziz”. Per Costituzione il Presidente al Sisi può concedere la grazia o mitigare una sentenza di morte, l’hashtag (in arabo) di #SaveFadlAlMawla ha svettato nella classifica dei più popolari, con 50 mila tweets.

Barbara Ciolli
barbara.ciolli@tin.it
@BarbaraCiolli

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