Nella Grande Somalia le cellule di Al Qaeda, organizzano scuole per kamikaze

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DAL NOSTRO INVIATO
Massimo A. Alberizzi
Mogadiscio, 31 luglio 2005
Nella “Grande Somalia”, un territorio vastissimo compreso tra la Somalia ex italiana, Gibuti, Somaliland, Etiopia e Kenya, operano varie cellule di fondamentalisti, tutte più o meno legate ad Al Qaeda e tutte in collegamento tra loro. La centrale si trova a Mogadiscio, ma i terroristi si spostano in Etiopia, nella regione abitata dai somali, l’Ogaden, e nel Kenya orientale, anche lì abitato da popolazioni somale.

Hamdi Isaac Adus  (alias Osman Hussain), il terrorista accusato di aver partecipato in luglio all’attentato alla metropolitana di Londra, dunque, potrebbe essere somalo di nazionalità, anche se il suo passaporto d’origine (cioè la sua cittadinanza) potrebbe essere etiopico, come sostiene qualcuno, o keniota, come avevano rivelato i capi di Scotland Yard in una delle conferenze stampa subito dopo la diffusione delle fotografie dei kamikaze mancati del 21 luglio.

Arriva da Mogadiscio, attraverso l’Ogaden, il commando di assassini che il 5 ottobre 2003 ammazza Annalena Tonelli, la volontaria italiana impegnata a gestire un ospedale a Boroma, un misero villaggio in Somaliland, giusto al confine con l’Etiopia. Terroristi che prendono ordini da Al Ittihat, la filiazione somala di Al Qaeda. Una delle sue cellule pochi giorni dopo, uccide una coppia di anziani insegnanti britannici nella scuola di Shek, sempre in Somaliland, gestita da SOS Kinderdorf, organizzazione austriaca specializzata in aiuti agli orfani.

Pochi mesi dopo, nel marzo 2004, le menti terroriste tentano un colpo dalla risonanza mondiale: l’assassinio del presidente tedesco in visita a Gibuti per ispezionare la marina del suo Paese impegnata, assieme a una task force alleata, in operazioni antiterrorismo nell’Oceano Indiano.

L’attentato fallisce perché i servizi di Berlino ricevono una soffiata. Così Johannes Rau, all’ultimo momento e senza alcuna spiegazione, rinuncia al viaggio irritando, non poco, le autorità gibutine non si erano accorte di nulla e che a quella visita tenevano molto. Le cellule dei due attentati messi a segno – e del terzo mancato – vengono individuate e alcuni terroristi catturati.

Sono somali di Somalia, di Somaliland e di Etiopia. Grazie alle tracce lasciate dai loro telefoni satellitari vengono provati i loro contatti con Mogadiscio e con i gruppi di terroristi che si addestrano nei campi di Al Qaeda nell’Ogaden. Nel gennaio scorso la cellula di Mogadiscio mette a segno un altro colpo: occupa e devasta il cimitero coloniale italiano, un ossario alla periferia nord della capitale che si era salvato durante la guerra civile. Pur essendo cristiano era stato sempre rispettato dalla popolazione di Mogadiscio. I fondamentalisti lo radono al suolo, profanano le tombe e distruggono la piccola cappella. Le povere ossa – violando gli insegnamenti del Corano che prevede il massimo rispetto per i morti – vengono disperse per la città. Alcune foto mostrano bambini di strada che giocano con teschi e tibie. Ora al posto del cimitero c’è una moschea di lamiera con annesso campo di addestramenti per aspiranti kamikaze.

In questo campo vive il capo, ormai riconosciuto, di Al Qaeda in Somalia, Adan Hashi Aeru, 35 anni: comanda una sessantina di miliziani armati che possono disporre di 12 tecniche (camionette sul quale è stato montato un cannoncino o una mitragliatrice pesante). Aeru si è “fatto le ossa” combattendo contro gli americani impegnati nell’operazione Unosom nell’autunno 1993 e poi, viste le sue capacità, è stato voluto dallo stesso Osama Bin Laaden alla sua corte in Afghanistan, dove è stato addestrato alla guerriglia e all’uso degli esplosivi.

Da allievo Aeru è diventato insegnante e ora, in quello che era il cimitero degli italiani, spiega ai suoi allievi con lunghi e appassionati sermoni ed esercitazioni pratiche ad hoc, come si diventa kamikaze. Un secondo campo d’addestramento sorge una quarantina di chilometri a sud di Mogadiscio. Lo guida un certo Al Sudani (il sudanese) stretto collaboratori di Al Zarqawi.

Come Aeru è il comandante militare di Al Qaeda in Somalia, Abu Talha Al Sudani (alias Tariq Abdullah) è l’uomo che tiene i conti. Dicono che sia pieno di soldi – evidentemente ricevuti dall’estero, che usa per fare proseliti e per “comprare” adepti. Raccontano fonti dell’antiterrorismo in Somalia, che dal suo campo d’addestramento, frequentato anche da pachistani e afgani, sono passati almeno 1500 miliziani e aspiranti suicidi. Gruppi di 30 o 40 giovani alla volta per non dare nell’occhio.

Al confine con il Kenya gli investigatori dell’ONU che si occupano di monitorare l’embargo sul traffico d’armi nel Corno d’Africa, hanno recentemente trovato le prove fotografiche di 17 campi d’addestramento mobili. L’attenzione dell’intelligence antiterrorismo americana, in particolare si è fermata a indagare su uno di essi, frequentato da “giovani reclute europee”, cioè da aspiranti terroristi che possono vantare un passaporto occidentale.

Un’informativa riservata, di cui il Corriere ha preso visione, parla, in particolare, di un “istruttore francese, probabilmente di origine magrebina”, che sarebbe responsabile di un campo a pochi chilometri dal confine con il Kenya e a 200 chilometri da Ras Chiamboni, una piccola penisola dove la cellula di Al Qaeda per il sud Somalia, comandata da Hassan Turki, avrebbe il suo quartier generale.

Massimo A. Alberizzi
massimo.alberizzi@gmail.com
twitter @malberizzi

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