Etiopia, il governo scatena la repressione contro gli oromo e gli amhara

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Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
Quartu Sant’Elena, 13 agosto 2016

Mentre gli occhi del mondo sono tutti puntati sulla ventiquattrenne etiope Alamz Ayana, che si è aggiudicata la medaglia d’oro nei diecimila metri alle olimpiadi di Rio con il tempo di 29 minuti e 17.45 secondi, nella nostra ex-colonia si infiammano le proteste nel quasi silenzio dei media.

Le forze dell’ordine hanno nuovamente calcato la mano, uccidendo una novantina di persone lo scorso week end nelle regioni centro-occidentali dell’Oromia e nell’Amhara. Lì risiedono le due più grandi etnie, che rappresentano due terzi della popolazione etiopica. Secondo una stima di alcuni attivisti, anche migliaia di manifestanti sono stati arrestati nella capitale Addis Ababa.

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Merera Gudina, leader  del “Oromo People’s Congress” ritiene che il Paese è arrivato ad un bivio. “Le persone sono stanche, chiedono i loro diritti”, precisa Gudina e aggiunge: “La popolazione protesta contro l’accaparramento dei terreni (landgrabbing) e chiede risarcimenti adeguati. Le elezioni sono state truccate, il costo della vita aumenta in continuazione e diventa sempre più difficile il sostentamento della famiglia”.

Gudina, con molta amarezza, afferma: “Il governo non ha nemmeno tentato una mediazione, nessuna proposta di dialogo con gli oppositori o rappresentanti del popolo. L’unica risposta che abbiamo ricevuto sono state pallottole, repressione”.

L’alto commissario per i diritti umani dell’ONU, Zeid Ra’ad Al Hussein, ha chiesto al governo etiopico l’autorizzazione all’ invio di osservatori  internazionali nelle Regioni Oromia e Amhara.  “Bisogna assolutamente approfondire questo eccesivo uso della forza. Il mio ufficio è in contatto con il governo del Paese per ottenere le necessarie autorizzazione”, ha fatto sapere Al Hussein mercoledì scorso in un comunicato.

Per tutta risposta, Getachew Reda, un portavoce del governo di Addis Ababa, ha fatto sapere che la presenza degli osservatori internazionali nelle due specifiche Regioni, per investigare sulle violenze non è gradita. Il governo è responsabile della sicurezza dei propri cittadini. Reda ha sottolineato che nel Paese africano sono già presenti molti funzionari dell’ONU, perché dunque inviarne altri in Oromia e in Amhara?

Reda ha assicurato che il governo aprirà un’inchieste interna in collaborazione con i residenti, per verificare se le forze dell’ordine hanno effettivamente abusato del loro potere e dell’uso delle armi.

L’ultima ondata di proteste è iniziata lo scorso novembre nella città di Ginchi nell’Oromia perché il governo centrale aveva predisposto l’esproprio di molti terreni agricoli per destinarli all’espansione della capitale Addis Ababa. Numerosi agricoltori si sarebbero così trovati in difficoltà senza la loro terra e senza lavoro. C’era il pericolo che si potessero trasformare in sfollati. Tale progetto  fortunatamente non è stato messo in atto, ma le proteste si sono protratte, perché molti manifestanti non sono stati rimessi in libertà.

A maggio di quest’anno si sono svolte le elezioni parlamentari, vinte del partito al potere, il “Ethiopian People’s Revolutionary Democratic Front “(EPRDF), che si è aggiudicato una valanga di voti. Gli oppositori e i critici hanno manifestato il loro disappunto per questa schiacciante vittoria e hanno parlato di brogli elettorali.

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Human Rights Watch stima che tra novembre e giugno le forze dell’ordine abbiano ammazzato oltre quattrocento persone. Nello stesso periodo sono stati arrestati molti personaggi, tra loro anche  Bekele Gerba, un attivista Oromo.

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Le proteste sono ora dilagate anche in altre regioni della nostra ex-colonia. La popolazione si sta organizzando secondo criteri etnici.

In tutto il Paese la situazione è molto tesa. Il primo ministro, Haile Mariam Desalegn, si è lasciato sfuggire durante un’intervista alla BBC che l’Etiopia sta scivolando verso un conflitto etnico, simile a quello dei Paesi confinanti.

Cornelia I. Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
@cotoelgyes

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