Striscia di Gaza [photo credit Al-Jazeera]
Federica Iezzi
Di ritorno da Gaza, 7 aprile 2025
Israele non è più la terra degli ebrei umiliati e massacrati dall’Europa nazista e rifugiati nella Terra Promessa. Paradossalmente sono oggi gli israeliani sopravvissuti all’olocausto le uniche voci di pace che si levano in patria e che vengano represse dal loro stesso sangue. Fino a quando Occidente e Paesi arabi non avranno preso atto di questa realtà, Israele avrà la libertà di uccidere senza processo né pena.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, inizialmente ha negato. Poi messo alle strette dalle inequivocabili immagini pubblicate dai media ha diffuso una nota in cui sostiene che tutto sarà esaminato “in modo approfondito per comprendere la sequenza degli eventi e la gestione della situazione”.
La dichiarazione viene dalle Forze di Difesa Israeliane (cioè l’esercito) le stesse che si esaltano alle farneticanti parole di Netanyahu “zakhor et asher asà lekhà Amalek” (Ricorda quello che Amalek ti ha fatto. E cosa Dio ha ordinato al nostro popolo. Uccidere tutti). E questo, ogni israeliano lo studia a scuola.
La dottrina di Netanyahu si richiama spesso ad Amalek che nella Bibbia ebraica rappresenta il male (incarnato ora dai palestinesi). Amalek, il cattivo, dev’essere ucciso ed estirpato alla radice per permettere al bene (cioè agli ebrei) di sopravvivere e prosperare. Lo consentono, anzi, lo ordinano i libri sacri.
Nessun palestinese di Gaza è in grado di riconoscere case e strade. Interi quartieri continuano a essere decimati, lasciando a malapena una traccia. Le strade si sono trasformate in sabbia. Quelle che un tempo erano città, oggi accolgono solo distruzione e macerie. E’ tutto grigio. I colori e la gioia di ogni rione sono scomparsi. Anche i cimiteri sono stati spianati. E questa sarebbe l'”unica democrazia del Medio Oriente”?
La spietata meccanica mediatica scaccia un argomento con un altro, ma non cancella la realtà quotidiana di un popolo in preda al diluvio di fuoco, alla morte, alla carestia, alla mancanza di cure, alla mancanza di tutto. Perfino alla mancanza di solidarietà umana.
Gaza è anche un campo di rovine dove è morto e sepolto sotto le macerie gran parte del diritto internazionale, violato in totale impunità. È un campo di rovine anche per le parole, che vengono svuotate del loro significato per l’incapacità – da uso eccessivo di superlativi – di spiegare una tale catastrofe, e ancora, per la loro mutazione nel loro esatto opposto.
Ma le atrocità di questa guerra continueranno a pesare. Come accettare un conflitto senza limiti, che mette sullo stesso piano civili e militari? È la dottrina israeliana di Dahiyé. Classico esempio di guerra asimmetrica.
In questo tragico contesto, anche i lanci di cibo effettuati dall’Occidente, nel tentativo di rispondere all’emergenza, devono essere presi per quello che sono: una prova di impotenza di fronte alla cinica intransigenza israeliana.
È un fiasco per la corrotta coalizione dall’estrema destra che governa alla Knesset, il parlamento israeliano. Un’estrema destra che nutre apertamente l’ambizione di tornare a colonizzare Gaza e che ha perso il senso di proporzionalità nella risposta militare.
Come afferma apertamente il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, “le regole del gioco sono cambiate”. E le nuove regole sono quelle dettate da Trump e adottate, parola per parola, dal governo di Tel Aviv. E non c’è tregua che tenga. A Gaza si apriranno le porte dell’inferno, avevano promesso. Ma quelle porte si erano già evidentemente spalancate. E tali sono rimaste!
Cosa ne segue? Una narrazione surreale con cui si racconta che, naturalmente l’allontanamento dei palestinesi sarà “volontario”, altrimenti si tratterebbe di una deportazione.
Che naturalmente non vi sarà alcuna “sottomissione intenzionale dei palestinesi che porti alla loro distruzione fisica, totale o parziale”, altrimenti si tratterebbe di genocidio.
E in ogni caso, queste “faziose” norme di diritto internazionale non hanno alcun valore per Trump, Netanyahu e i loro sostenitori che le etichettano come prodotti dei nidi di oppositori politici, da svuotare della loro sostanza.
Il populismo, che adotta la narrativa sionista, è uno schermo nero alimentato dalle paure del domani, che si tratti di disoccupazione, insicurezza, immigrazione o islam.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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