Tour Rwanda: interruzione ultima tappa per pioggia
Costantino Muscau
Nairobi, 4 marzo 2025
Era partito sotto un bel cielo, il 23 febbDalraio scorso, il 17esimo Tour ciclistico del Rwanda. È finito sotto una cattiva stella, domenica 2 marzo. Per “colpa” di un acquazzone tropicale, che ha stravolto l’ultima tappa, ha scatenato polemiche tra il francese vincitore, Fabian Doubey, 31 anni, e l’eritreo Henok Mulubrhan, 25 anni, (giunto secondo), ha lasciato l’amaro in bocca agli organizzatori e seminato dubbi sul prossimo mondiale.
L’avvio di quella che negli anni è diventata una delle più importante manifestazioni ciclistiche continentali, era stato dato, al Kigali Amahoro Stadium, con una molta enfasi dal presidente della repubblica, Sua Eccellenza Paul Kagame, 67 anni, e dal presidente dell’Unione ciclistica internazionale (UCI), il francese David Lappartient, 51 anni.
La solennità dell’evento era legata al fatto che – come ha dichiarato la ministra dello Sport, Nelly Mukazayire, 43 anni, – il Paese delle mille colline, o la Svizzera africana, si appresta a ospitare, nel prossimo settembre ”lo storico campionato mondiale su strada, il primo del genere a onorare il continente africano”.
Niente sembrava oscurare lo svolgimento festoso e spettacolare delle 7 tappe per complessivi 804 km, nonostante alla vigilia della corsa una squadra di livello mondiale, la belga Soudal-QuickStep, si fosse ritirata: era preoccupata per incolumità dei suoi atleti a causa della guerra in corso al confine tra Rwanda e Repubblica Democratica del Congo.
In effetti la terza tappa del Giro prevedeva l’arrivo dei 69 pedalatori a Rubavu. E’ una pittoresca città poco distante dalle zone del conflitto che devasta da anni la zona orientale del Congo-K, dove avrebbero un ruolo determinante anche le forze armate ruandesi che sostengono – secondo l’ONU – i ribelli del gruppo M23.
Sempre a questo proposito, anche il Parlamento europeo ha chiesto all’Unione europea di sospendere l’accordo di cooperazione tra la Commissione europea e il Ruanda sul commercio di materie prime con il Paese e di fare pressione per annullare i mondiali di ciclismo in programma il 21-28 settembre a Kigali.
Al di là, o al di sopra di queste nubi, e nonostante la qualità dei ciclisti al 17esimo Tour del Rwanda non fosse proprio eccelsa, la gara si è svolta regolarmente con la partecipazione di un pubblico entusiasta fino a domenica 2 marzo.
Quel giorno le nuvole si sono scatenate in una pioggia equatoriale rendendo le strade scivolose proprio – beffa di Giove pluvio – quelle strade che dovevano fare da test per la rassegna iridata di settembre.
Dopo una caduta di 30 corridori, gli organizzatori si sono decisi a neutralizzare la gara e ridurre la parte del percorso che comprendeva la parte più dura (l’ascesa del Monte Kigali e l’omonimo muro).
Tornati tutti in sella, sei atleti si sono lanciati in una fuga, che è riuscita ad accumulare oltre un minuto di vantaggio sul plotone. Acque e vento però sono tornati a essere violenti, quel punto, il leader della classifica, la maglia gialla, Fabien Doubey, della TotalEnergies, si è improvvisato capo popolo e ha invitato i colleghi a rallentare e a fermare la gara.
La frazione così è stata definitivamente annullata. Immediata la reazione indignata dell’eritreo Henok Mulubrhan,25 anni, della Astana, distante in classifica solo 6 secondi, che mirava a spodestare il francese negli ultimi durissimi 13 km.
Henok, già campione africano e vincitore del Tour del Rwanda nel 2023, al giro d’Italia di due anni fa era stato premiato e ammirato per la sua combattività: “Una vergogna – ha dichiarato -. In Europa per queste gocce non avremmo mai fermato la corsa. Certo gli faceva comodo una soluzione del genere”.
Anche il terzo in graduatoria, a 11 secondi, Il tedesco Oliver Mattheis, 29 anni, ha ribadito: “Se annulliamo questa tappa, nelle Fiandre non ci saranno più corse”. (E nessuno si ricorda una Milano Sanremo finita sotto la neve).
Lo stesso direttore della competizione, Freddy Kamuzinzi, ha commentato: “Tutto è andato bene fino all’ultimo giorno. Ma non sapevamo che un solo corridore potesse impedire la conclusione della gara”.
Il vincitore si è, invece, giustificato dicendo: “Mi sono fatto il portavoce del gruppo, ho pensato alla nostra sicurezza”.
Non si è mostrata d’accordo la giuria, che gli ha inflitto un’ammenda di 200 franchi svizzeri “per comportamento scorretto e per aver danneggiato l’immagine dello sport”. Ora il vincitore rischia di comparire davanti alla commissione disciplinare dell’UCI.
Proteste anche di molti tifosi sui social, che hanno denunciato un certo strapotere della TotalEnergies. Sarà un caso – è stato fatto notare – che il responsabile della TotalEnergies, Jean-René Bernaudeau, avesse dichiarato di ritenere il Rwanda un Paese assolutamente sicuro e di avere fiducia nelle forze armate.
È difficile negare che il cammino verso i primi mondiali in Africa in 103 anni non stia diventando impervio, tra la guerra sulla porta di casa, pressioni internazionali, veri o presunti favoritismi, dubbi sulla sicurezza stradale.
Questo tour del Rwanda numero 17, infatti, è stato seguito attentamente dalla delegazione dell’UCI e dalle potentissime organizzazioni ASO e Golazo, incaricate dalla FederaIone ciclistica ruandese di organizzare i campionati del mondo su cui il “regime” di Kagame ha puntato alla grande.
Costantino Muscau
muskost@gmail.com
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