Gli Stati di AES (Mali, Burkina Faso, Niger) escono da ECOWAS
Cornelia I. Toelgyes
10 febbraio 2025
Gli Stati dell’AES, Alleanza degli Stati del Sahel (Burkina Faso, Mali e Niger) sono ufficialmente usciti da ECOWAS (acronimo inglese per Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentali) mercoledì 29 gennaio 2025. Ouagadougou, Niamey e Bamako, governati da giunte militari di transizione dopo i colpi di Stato, avevano già manifestato un anno fa la loro ferma volontà di voler abbandonare l’organizzazione regionale. Ma secondo lo statuto di ECOWAS devono trascorrere 12 mesi per rendere effettivo il ritiro.
I tre Paesi sono però rimasti “fedeli” a UEMOA (Unione economica e monetaria ovest-africana), organizzazione internazionale che comprende 8 Stati africani (Mali, Burkina Faso, Niger, Benin, Costa d’Avorio, Guinea Bissau, Togo, Senegal), creata per promuovere l’integrazione economica tra quelli che condividono una moneta comune, cioè il CFA, garantita dal franco francese e quindi dall’euro.
Per ora gli abitanti locali sperano in svolte economiche e politiche positive in seguito all’uscita da ECOWAS. Quest’ultima ha comunque chiarito che la sua porta rimane aperta qualora i Paesi dell’AES dovessero avere dei ripensamenti in futuro.
Le questioni aperte e ancora da risolvere tra ECOWAS e gli Stati saheliani restano ancora parecchie. Intanto le autorità di transizione militare hanno subito emesso un nuovo passaporto con la menzione AES, anche se i vecchi documenti di viaggio dell’organizzazione regionale saranno ancora validi fino alla loro scadenza.
L’introduzione del nuovo passaporto rappresenta un primo passo verso una più stretta cooperazione tra i tre Stati saheliani. E Ibrahim Traoré, capo dello Stato del Burkina Faso, è stato il primo a ricevere il nuovo documento valido per l’espatrio.
E per contrastare i jihadisti, i tre presidenti delle giunte militari – Ibrahim Traoré (Burkina Faso), Assimi Goïta (Mali) e Abdourahamane Tchiani (Niger) -hanno deciso di formare un nuovo contingente di 5000 militari composto dalla forze armate dei tre Paesi.
Nei giorni scorsi Birame Diop, ministro della Difesa del Senegal si è recato a Bamako dove ha incontrato il suo omologo maliano, Sadio Camara. I colloqui si sono protratti per due giorni. I due ministri sono pronti ad avviare una più intensa collaborazione sul piano della sicurezza.
Senegal e Mali condividono una frontiera lunga oltre 400 chilometri e hanno parecchi problemi in comune. Tra gli altri lotta contro il terrorismo e l’estremismo violento, criminalità transfrontaliera, traffici illeciti e reti criminali. “Tutto ciò – ha sottolineato Diop – ci impone di unire i nostri sforzi”.
Intanto gli attacchi dei terroristi continuano senza sosta. L’ultimo risale a venerdì scorso in Mali, dove un convoglio scortato da militari governativi (FAMa) e mercenari di Wagner è stato assalito a pochi chilometri dal villaggio di Kobe. Era diretto a Ansongo, nel nord del Paese. La colonna era composta da 22 minibus, 8 camion, sei pullman grandi e una decina di autovetture.
Uomini armati sono spuntati da entrambi i lati della strada e hanno aperto il fuoco contro il convoglio, sparando contro civili, militari e mercenari, uccidendo una trentina di persone e ferendone molti altri. Cinque camion sono stati incendiati, mentre le altre vetture sono poi ripartite senza aver subito danni.
I civili feriti sono stati portati all’ospedali di Gao, mentre i soldati e i russi sono stati trasportati al centro medico militare di Sévaré.
Secondo un testimone locale, i viaggiatori erano per lo più minatori, molti tra loro stranieri, che stavano andando verso il giacimento d’oro artigianale di Intahaka, non distante dal Niger, nella zona del tre frontiere (Mali,Niger, Burkina Faso). L’area di Ansongo è spesso teatro di attacchi dei terroristi del gruppo Stato Islamico del Grande Sahara (EIGS). Finora l’agguato non è stato ancora rivendicato.
Dal canto suo lo Stato maggiore delle forze armate ha parlato di 25 civili morti e di altri 13 feriti, mentre i soldati di FAMa avrebbero ucciso almeno 19 terroristi.
Altre stragi anche in Burkina Faso. Finora però nessuna conferma o smentita dal regime di Ouagadougou. Domenica, 2 febbraio, i jihadisti di JNIM (Gruppo di sostegno dell’Islam e dei musulmani), secondo quanto riferito da testimoni del luogo, hanno attaccato diverse postazioni militari a Djibo, nella provincia di Soum, nel nord del Paese, uccidendo venti persone tra militari e volontari per la Difesa della Patria (VDP, ausiliari civili dell’esercito). I terroristi hanno poi rivendicato gli attacchi.
D’altronde la città di Djibo, capoluogo della provincia di Soum, è sotto assedio di JNIM da tempo. Molti abitanti sono fuggiti lo scorso settembre in seguito all’ultimatum lanciato dai jihadisti affiliati a Al-Qaeda, di lasciare la città.
Piovono anche nuove accuse sull’operato dell’esercito burkinabé. Testimoni raggiunti dai reporter di RFI hanno riferito che il 28 gennaio scorso i militari, appena arrivati a Koulango, nei pressi di Titabe, nel nord-est della ex colonia francese, hanno interrogato gli abitanti girando casa per casa e ucciso 23 persone.
Poche ore più tardi la stessa scena si è ripetuta a Tioutibe, sempre nella regione di Titabe. Secondo fonti contattate da RFI, tra le vittime ci sarebbero uomini, donne e persino neonati.
Violenze commesse dai militari nei confronti della popolazione non sono nuove nel Paese. Fatti simili sono già accaduti in altre zone del Burkina Faso, documentati dettagliatamente in un rapporto di Human Rights Watch, pubblicato nell’aprile dello scorso anno.
E dopo aver dato il benservito ai militari francesi e al contingente USA, ora il regime di Niamey ha messo alla porta anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR). Le autorità non hanno fornito alcuna motivazione per questa decisione. Il governo ha semplicemente emesso una nota verbale per chiedere la chiusura degli uffici del CICR – presente nel Paese da ben 35 anni – e il rimpatrio immediato del personale straniero presente sul territorio.
Un déjà vu. Meno di tre mesi fa anche la ONG francese ACTED e al suo partner nigerino APBE hanno dovuto chiudere i battenti. Nel 2020 sono stati uccisi 8 operatori umanitari della ONG – 2 nigerini e 6 cittadini d’oltralpe – in un agguato teso da un gruppo terrorista nel parco delle Giraffe, che dista solo una sessantina di chilometri dalla capitale.
Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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