Speciale per Africa ExPress
Federica D’Alessio*
3 gennaio 2025
Per il 2025, Israele ha stanziato una cifra ulteriore di 150 milioni di euro per la hasbara, la sua industria propagandistica. Soldi che si aggiungeranno a quelli già a budget.
Attraverso la hasbara, Israele riesce non solo a far passare le sue veline come se fossero notizie, ma anche a oscure e minimizzare la copertura dei quotidiani atti di barbarie che commette sui palestinesi, o far sì che vengano sempre contestualizzati come autodifesa necessaria e legittima o guerra di risposta al terrorismo.
Discorso legittimante
Laddove l’opinione pubblica che si forma dal basso è ormai ovunque nel mondo occidentale largamente favorevole a un cessate il fuoco in Palestina e critica verso l’operato israeliano, per i sostenitori del genocidio e del complessivo impianto suprematista e colonialista di Israele contro i palestinesi e i popoli arabi di tutta l’area, la reitezione di un discorso legittimante e giustificazionista si fa ogni giorno più importante, quasi obbligata.
Quel che è peggio tuttavia, della hasbara, è la grande energia che i propagandisti filosionisti dedicano ad attaccare chi prova a informare ma anche a esprimere le proprie posizioni secondo i criteri della verità dei fatti, dell’indipendenza di pensiero e dell’umanità di sguardo.
Infangare le reputazioni
Israele conta sull’alleanza di professionisti dei media, personaggi politici e figure note, delle associazioni come l’AIPAC americana o delle comunità fedeli allo Stato ebraico, come la Comunità ebraica italiana, che si dedica costantemente a infangare la reputazione di giornalisti o personalità sgradite e ad invocare censure e reprimende nei loro confronti.
Di tutte, le voci palestinesi sono in assoluto le più censurate e le più infangate. Il modo in cui i giornalisti palestinesi o arabi sono trattati dai media occidentali è un’estensione dell’uccisione sistematica che subiscono a Gaza e in Cisgiordania, dove persino l’ANP si è messa ora a fare il lavoro sporco di attacco all’informazione per conto di Israele.
Tensione alla BBC
Un’inchiesta del giornalista Owen Jones nel Regno Unito ha svelato il clima di tensione e difficoltà all’interno della BBC britannica, il broadcast televisivo e informativo più visto al mondo.
Tredici giornalisti hanno parlato con Jones raccontando il filtro esercitato da uno dei redattori della testata, Raffi Berg, in forze alla divisione Medio Oriente delle news online, il cui lavoro, hanno dichiarato i colleghi a Jones, consiste nell’ ”annacquare tutto ciò che contenga critiche nei confronti di Israele”.
Nel giugno scorso oltre 100 giornalisti della rete hanno manifestato disappunto con una lettera aperta per la copertura, irrispettosa degli standard minimi del giornalismo, che la BBC stava offrendo delle vicende palestinesi. La loro protesta non ha sortito il minimo effetto.
Attacco a Guardian e New York Times
La BBC non è certo un caso isolato. I giornali tradizionalmente progressisti della anglosfera, dal Guardian al New York Times, a tante televisioni e canali statunitensi, hanno visto in questi mesi centellinare, quando non sparire del tutto, la presenza di giornalisti e ospiti di origine palestinese e sono stati spesso contestati per aver offerto una “visione faziosa” delle vicende in corso.
Le lamentele nel mondo laburista britannico per il modo in cui riportando le notizie coprono responsabilità e nefandezze israeliane vanno avanti, d’altro canto, da anni.
Basta leggere le tante notizie scritte nel tempo da “Jewish Voice for Labour”, una comunità di ebrei laburisti “iscritti, ex iscritti o mai stati iscritti al partito laburista”, dove per anni ha tenuto banco la guerra contro Jeremy Corbin accusato di antisemitismo e ostracizzato nel partito all’interno del quale godeva di una forte leadership.
Fedele esecutore
Keir Starmer, suo successore alla guida dei laburisti e oggi Primo ministro, di contro rappresenta un fedele esecutore di tutti gli interessi israeliani.
Anche i social network sono parte della stessa rete. Da oltre un anno numerose associazioni hanno svelato come Meta, l’azienda proprietaria di Facebook, Instagram e Whatsapp, applichi un oscuramento sistematico dei contenuti di provenienza palestinese.
Su Instagram sono stati bannati giornalisti palestinesi con milioni di follower. Meta nel corso del tempo ha promosso numerosi ufficiali israeliani a ruoli apicali, e nei mesi scorsi ha assunto Jordana Cutler, ex consigliera di Netanyahu e del Likud, nel ruolo di responsabile della moderazione dei contenuti sulle piattaforme social relativi al Medio Oriente.
Oscurare contenuti
Cutler non si è fatta attendere, e ha immediatamente oscurato i contenuti pubblicati da realtà solidali con il popolo palestinese, fra cui la rete “Students for Justice in Palestine”.
Clima cerchiobottista
E in Italia? In Italia siamo immersi nel solito clima provinciale, parolaio e inconsistente, cerchiobottista quando va bene, palesemente arruolato nella maggior parte dei casi.
Nessuna novità di rilievo, se non che anche le pochissime voci palestinesi di cui la nostra televisione godeva, come quella della giornalista Rula Jebreal, sono state di fatto censurate e scomparse dai palinsesti, oltre che costantemente attaccate e infangate da esponenti dell’hasbara nelle grandi chat in cui l’intellighenzia progressista si rifugia, per illudersi di avere ancora una qualche incidenza.
Attacco anche a Report
Una delle poche trasmissioni che ha davvero detto qualcosa di interessante su Israele e sulla guerra genocidaria di Israele contro i palestinesi è Report, che ha svelato innanzitutto le commistioni e complicità della comunità mondiale degli Stati con Israele sul piano degli affari militari.
Israele è un grandissimo esportatore di tecnologia digitale militare, laddove invece riceve aiuti indispensabili, prima di tutto dagli Stati Uniti, per quanto riguarda l’industria militare pesante.
Report è stata prontamente attaccata dall’UCEI (Unione delle comunità ebraiche italiane), e ora si trova attaccata anche dal governo.
I partiti di maggioranza hanno di recente chiesto alla RAI, infatti, di privare la trasmissione della manleva, la tutela legale che solleva i giornalisti da rischi penali ed economici.
Temi delicati
La richiesta sembra sia arrivata dopo aver coperto le vicende che hanno interessato l’ex ministro Sangiuliano, ma certamente, se mai dovesse divenire realtà questa richiesta, colpirebbe la trasmissione su tutti i temi più delicati, in primis la copertura del genocidio israeliano e della politica israeliana.
Quel che infatti della hasbara è in assoluto più grave è che la propaganda da loro copiosamente finanziata e sostenuta non si limita a sovrapporsi al giornalismo per confondere le acque o macchiare la verità con la post-verità, come da copione della rete internazionale trumpiana-bannoniana, di cui Netanyahu e Israele tutto, radicalizzato ormai saldamente come un Paese suprematista e razzista fino alla ferocia assassina, rappresentano una branca fondamentale.
La hasbara si insinua nei governi e nelle leggi allo scopo di perseguitare i giornalisti.
Di nuovo, è in Gran Bretagna che questa tendenza si sta manifestando ai livelli più preoccupanti. Attraverso una “legge antiterrorismo” tanto draconiana e autoritaria quanto può esserlo la legge russa sugli agenti stranieri, già mesi fa sono stati arrestati attivisti e giornalisti schierati con il popolo palestinese.
Fra questi il controverso giornalista Richard Medhurst, arrestato ad agosto sulla base della Section 12 del Terrorist Act inglese, in base al quale rappresenta un crimine anche esprimere opinioni in favore di un’organizzazione considerata terroristica (“proscribed organisation”).
Svelare le fonti
In seguito all’arresto, dopo averlo rilasciato le autorità hanno intimato a Medhurst di svelare le sue fonti consegnando le password dei suoi strumenti di lavoro.
Il giornalista si è opposto, e ora, come ha scritto sul Fatto Quotidiano la giornalista Stefania Maurizi, “Le autorità inglesi potrebbero anche ricorrere alla corte e ottenere una sentenza del giudice che ordini al reporter di consegnarle. Se Richard Medhurst non lo farà, rischierà tra i due e i cinque anni di carcere.”
Verità dei fatti
Il giornalismo investigativo indipendente si basa per intero sulla protezione delle fonti. Obbligare un reporter a rivelarle significa metterle a rischio, compreso mettere a rischio anche la loro stessa vita; e quindi far sì che le fonti non possano mai più fidarsi dei giornalisti.
Un colpo di grazia per la possibilità di condurre inchieste alla ricerca della verità dei fatti. È così che la hasbara vince, così che la democrazia muore.
Federica D’Alessio*
*Ex redattrice di MicroMega, cura il portale
di informazione indipendente Kritica
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