Speciale per Africa ExPress
Cornelia I. Toelgyes
29 dicembre 2024
Se la vita sotto il dittatore Omar al-Bashir, – al potere per ben 30 anni e deposto nel 2019 – non era certo facile, dall’aprile 2023 la popolazione sudanese è precipitata nell’inferno. Oggi in Sudan si sta consumando la peggiore crisi umanitaria del pianeta.
La guerra tra i due generali, Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, de facto presidente e capo dell’esercito, non risparmia nessuno. Oltre 25 milioni di persone, cioè la metà della popolazione sudanese, soffrono la fame e più di 15 milioni hanno lasciato le proprie case – tra questi 3,1 milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi – per fuggire ai continui combattimenti.
Carestia confermata
Secondo il rapporto dell’ Osservatorio globale sulla fame, pubblicato il 23 dicembre, la carestia è già presente in 5 aree del Paese e potrebbe estendersi in altre 5 entro maggio 2025.
IPC (Classificazione dell’insicurezza alimentare acuta) ha confermato condizioni di carestia a Abu Shouk e al-Salam, due campi per sfollati a al-Fashir, capoluogo del Darfur settentrionale. Persiste anche nell’insediamento di Zamzam – sempre nella stessa regione – , dove una grave mancanza di cibo è già stata rilevata lo scorso agosto. L’organizzazione ha riaffermato la penuria di alimenti anche nei Monti Nuba, sia nei campi, sia negli agglomerati residenziali.
IPC inaffidabile
Immediatamente dopo la diffusione della pubblicazione dell’ Osservatorio globale sulla fame, il ministro dell’Agricoltura sudanese, Abu Bakr Omar Al-Bushra, ha dichiarato che il governo interrompe con effetto immediato la sua partecipazione al sistema di classificazione dell’insicurezza alimentare acuta. Il capo del dicastero ha accusato l’IPC di “pubblicare rapporti inaffidabili, volti a indebolire la sovranità e la dignità del Sudan”.
Il fatto che il Sudan sia uscito dal sistema IPC potrebbe compromettere seriamente gli sforzi delle organizzazioni umanitarie che tentano di aiutare e portare sollievo a milioni di sudanesi che soffrono la fame, ha poi fatto sapere il capo di una ONG che opera nel Paese.
Convoglio a Khartoum
E, dopo lunghi e estenuanti negoziati, sono arrivati i primi aiuti umanitari nel sud dello Stato di Khartoum. Un convoglio composto da 28 camion è giunto a Jebel Aulia, che dista una quarantina di chilometri dalla capitale. Un sospiro di sollievo per gli abitanti.
Ventidue mezzi hanno portato cibo e altri generi di prima necessità del PAM (Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite), un altro camion è stato inviato da Medici senza Frontiere e CARE International (ONG statunitense che combatte la povertà nel mondo), e altri cinque sono dell’UNICEF, contenenti medicinali. Il materiale servirà per soddisfare urgenti necessità sanitarie e alimentari per 200mila bambini e famiglie.
La notizia è stata data il 27 dicembre da “Cellule di risposta alle emergenze”, gestite da volontari che organizzano anche cucine comunitarie, distribuiscono pacchi di cibo, coordinano evacuazioni e forniscono assistenza medica.
Straripamento diga
Nelle vicinanze di Jebel Aulia si trova anche l’omonima diga sul Nilo Bianco. Solo pochi giorni fa è stato lanciato l’allarme di straripamento dello sbarramento, lungo tre chilometri e alto 20 metri. Alcuni attivisti hanno fatto sapere che migliaia di residenti hanno già lasciato l’area per inondazioni e epidemia di colera, scoppiata per mancanza di acqua potabile.
Il governo ha accusato le RFS di aver chiuso la diga sotto il loro controllo dall’inizio del conflitto. Ma secondo i ribelli, a causare il disastro sarebbero stati i governativi che hanno bombardato lo sbarramento. Insomma, la colpa è sempre dell’altro, ma a pagare le conseguenza è la popolazione.
Morti e feriti
Intanto la guerra continua. Altri morti, feriti e miseria. Il giorno di Santo Stefano i paramilitari, capitanati da Hemetti, hanno bombardato il campo per sfollati Abu Shuck a al-Fashir, nel Nord Darfur, uccidendo tre persone e ferendo altre tre. L’insediamento ospita attualmente oltre 600mila sfollati.
Forse Port Sudan, nello Stato del Mar Rosso, nell’est del Sudan, è rimasta una delle poche “isole tranquille” in questo Paese devastato dalla guerra civile. Da tempo i ministeri e molte ambasciate si sono trasferiti sulla costa. Anche il di fatto capo dello Stato, al-Burhan, ha trasferito la sua residenza nella città portuale per motivi di sicurezza.
Visita a sorpresa
E proprio il giorno Natale, il presidente ha fatto una visita a sorpresa alla chiesa cattolica di Port Sudan e alla Comboni Boy’s school, inaugurata nel lontano 1948. Mentre l’istituto femminile esiste dal 1957.
Al-Burhan ha elogiato il contributo della storica chiesa cattolica in Sudan, riconoscendo il suo ruolo nel sostenere l’indipendenza del Paese e ha ringraziato i padri comboniani per il loro lavoro nella formazione dei giovani.
Esami negati
Intanto ieri sono iniziati gli esami di maturità del 2023, rimandati a causa del conflitto in atto. Ma le prove si svolgeranno solamente nelle zone sotto il controllo delle forze armate sudanesi. Anche il Ciad non ha dato il consenso ai profughi sudanesi di sostenere questo test.
A migliaia e migliaia di giovani viene preclusa la possibilità di continuare gli studi a causa della guerra. Ed ora, moltissimi non possono nemmeno aderire agli esami finali. Per l’ennesima volta devono rimandare o addirittura rinunciare al loro sogno di un futuro migliore.
Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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