SIRIA

In Siria rischio scenario afghano: come allora Bin Laden, adesso gli islamisti sono armati dalla Turchia, Paese NATO

Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
Amman, 5 dicembre 2024

Riaccese le vecchie linee rosse del conflitto siriano. Ad essere colpite duramente, ancora una volta, sono state Aleppo e Idlib. Da un lato il gruppo militante salafita Hay’at Tahrir al-Sham, sostenuto da Ankara, dall’altro le forze fedeli al presidente siriano Bashar al-Assad, appoggiate da Mosca e Teheran.

Ribelli a Aleppo, Siria

Al centro i curdi e con essi le milizie YPG (Unità di Protezione Popolare).
Le YPG e la loro ala politica, il PYD (Partito dell’Unione Democratica), sono una propaggine ideologica del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), un gruppo armato che combatte da decenni contro la Turchia, a sostegno dell’autonomia curda.

Amministrazione rojava

Gran parte della Siria nord-orientale è controllata dall’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (AANES) o Rojava, un’amministrazione politica creata dal PYD sulla base dichiarata di una rete decentralizzata multietnica e multireligiosa in tutta la regione, non ufficialmente riconosciuta dal governo siriano.

Gli islamisti siriani quindi sono aiutati dalla Turchia, Paese della NATO, che gli ha fornito armi NATO. Non è stupido pensare che dietro le quinte ci siano gli americani che hanno autorizzato la cessione del materiale bellico ai jihadisti in funzione anti Assad e quindi anti Russia e anti Iran.

Scenario afghano

Uno scenario che non è nuovo. Negli anni ‘80 Washington in Afghanistan aveva fornito armi e supporto logistico ai mujaheddin di Osama Bin Laden per combattere i sovietici. Sappiamo tutti com’è finita.

Inoltre fonti confidenziali hanno confermato ad Africa ExPress la presenza di istruttori militari ucraini a fianco degli insorti siriani, quelli che una volta erano bollati che tagliagole terroristi e invece ora sono stati promossi e ribelli.

I quartieri di Aleppo a maggioranza curda di Sheikh Maqsoud e Ashrafieh, sono stati punti nevralgici dell’ultimo attacco, essendo aree rimaste nelle mani delle forze a guida curda per gran parte della guerra civile siriana. Così come i villaggi di Tel Rifaat, Tel Aran e Tel Hassel.

Discriminazione diffusa

Prima del 2011, la minoranza curda ha dovuto affrontare una diffusa discriminazione sotto un governo che promuoveva un’agenda politica nazionalista araba.

Durante la guerra civile, scoppiata in Siria nel 2011, il sostegno della Turchia a una serie di gruppi di opposizione – in particolare all’Esercito Siriano Libero (formazione ribelle storica contro Assad) – è stato una delle principali fonti di tensione. Ankara ha considerato la repressione dei gruppi affiliati al PKK la sua principale priorità.

Dopo anni di assedio, oggi i due quartieri di Aleppo, sono di nuovo sotto il mirino turco. Almeno 120.000 curdi sono stati costretti a lasciare le proprie abitazioni.

Orchestrato da Ankara

E’ evidente che le forze governative di Damasco hanno perso potere ad Aleppoe non c’è dubbio che questo attacco sia stato orchestrato da Ankara, con l’obiettivo finale di occupare l’intero territorio nord-est siriano, e nella fattispecie il Rojava.

I pesanti scontri ad Aleppo e nelle aree circostanti sottolineano le fragili dinamiche della regione, che coinvolgono movimenti jihadisti, governo siriano e forze internazionali. Parallelamente, Hay’at Tahrir al-Sham continua ad espandere il suo controllo a Idlib e Hama.

Rispetto della sovranità

Il dipartimento di Stato americano ha condannato la resistenza del regime di Assad ai negoziati politici come causa principale della crisi.

La Lega Araba ha chiesto la fine della violenza regionale e ha sollecitato il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Siria, in linea con il diritto internazionale.

L’obiettivo dei jihadisti comunque sembra che sia – oltre a Damasco, naturalmente  – la città portuale di Tartus unica base russa sul Mediterraneo nel 2017 ceduta dalla Siria a Mosca in affitto per 49 anni. Una spina nel fianco della NATO.

Assad al Bashar, presidente della Siria

La fine di Assad (se ci sarà) rischia di trasformarsi in una seria debacle per gli occidentali se, come è possibile, al posto del laico despota aluwita salirà al potere a Damasco un imam islamista. Quarant’anni dopo in Siria si ripropone lo scenario afghano.

Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
©️ RIPRODUZIONE RISERVATA

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Federica Iezzi

Federica Iezzi, è giornalista ma anche cardiochirurgo pediatrico impegnata in missioni umanitarie con Organizzazioni Non Governative in Africa

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