Federica Iezzi
Amman (Giordania), 3 dicembre 2024
Il linguaggio ha potere. E oggi è sterilizzato, silenziato e, in molti casi, addirittura censurato quando si parla di Palestina. Intimamente, c’è un prezzo da pagare quando si tratta di Palestina. Il linguaggio può decidere chi vive, chi muore. Può decidere le morti degne di lutto. Può decidere chi può consumarsi sotto le macerie come danno collaterale.
Come comunicare la devastazione umana? Come comunicare l’incapacità di raccontarla correttamente per generazioni? Il gelo profondo che si è calcificato attorno alla Palestina?
Come si usa il linguaggio quando persone, membra impolverate, giacciono sotto le macerie, con sporcizia e sangue che si mescolano, incrostando i volti? Peso, silenzio, paura, rischio, contro devastazione, morte, annientamento di un popolo.
La Comunità Internazionale sta pericolosamente accettando la realtà statistica secondo cui le vite dei civili palestinesi valgono diverse centinaia di volte meno delle vite dei civili israeliani.
È indiscutibile che il terribile massacro del 7 ottobre è stato vissuto in Israele, e da molti ebrei della diaspora, come la reiterazione di un trauma del passato, mai guarito.
Però secondo l’analisi ostentata dalla macchina della comunicazione, le vittime del 7 ottobre non furono uccise perché oppressori, ma perché ebrei. Nessun accenno al feroce blocco israeliano che opprime il territorio palestinese e la sua popolazione, all’arbitrarietà che permette la detenzione senza accusa e alla scomparsa della questione palestinese dalle agende internazionali.
E dopo tutto questo come si fa a imporre lezioni sui diritti umani o sul diritto internazionale? I Palestinesi non sono bianchi, quindi secondo la logica suprematista bianca questi diritti non si applicano a loro. E’ davvero così?
Quanto sono credibili gli appelli sottovoce di alcuni Paesi occidentali, come la Francia, per un cessate il fuoco e per una soluzione politica? Non ci si impegna in nulla e ognuna di queste affermazioni non è seguita da alcuna misura mirata alla loro traduzione concreta, come il boicottaggio della vendite di armi e le sanzioni internazionali che hanno giocato un ruolo importante nella caduta del regime di apartheid in Sudafrica.
Non c’è dubbio alcuno sui doppi standard adottati da molti governi occidentali, paragonando l’atteggiamento nei confronti di Russia e Ucraina con quello scelto nei confronti di Israele e Palestina. La Russia è stata sottoposta a 11.000 sanzioni in due mesi, mentre Israele ha ricevuto almeno 50.000 tonnellate di esplosivo dagli Stati Uniti, oltre a armamenti da Paesi, quali Regno Unito e Germania.
Dall’inizio del XX secolo, le regole su cui un tempo i Paesi si accordavano, prima ancora di ricorrere alle armi, sono state profondamente modificate, quando non vengono sistematicamente violate. La legge è sempre in ritardo rispetto all’evoluzione della morale.
Oggi a insanguinare il pianeta, ci sono guerre che mescolano civili e militari indiscriminatamente, spesso deliberatamente. Come a Guernica, durante la Guerra Civile Spagnola, a Dresda e a Hiroshima, alla fine della seconda guerra mondiale, in Kurdistan, per arrivare in Palestina. Non si tratta più di danneggiare l’esercito avversario, e soltanto esso, tutt’altro.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
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