Cornelia I. Toelgyes
2 novembre 2024
In questi giorni una coalizione di gruppi della società civile sudanese e internazionale hanno lanciato un appello al mondo intero per proteggere la popolazione nell’ex protettorato anglo egiziano.
Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, durante il suo intervento al Consiglio di sicurezza di lunedì scorso, non ha usato mezzi termini per descrivere la situazione catastrofica in Sudan: “La popolazione sta vivendo un incubo. Violenza, fame, fuga sono all’ordine del giorno, per non parlare di atrocità indescrivibili, come stupri diffusi”.
Ma per il momento Guterres ha escluso l’invio di caschi blu, perché non sussistono le condizioni che una tale missione possa realmente proteggere la popolazione civile.
La guerra, iniziata il 15 aprile 2023, tra i due generali Mohamed Hamdan Dagalo “Hemetti”, leader delle Rapid Support Forces (RSF), e il de facto presidente e capo dell’esercito, Abdel Fattah Abdelrahman al-Burhan, ha costretto alla fuga milioni di persone.
Secondo gli ultimi dati rilasciati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), sarebbero ben oltre 14 milioni coloro che hanno lasciato le proprie case.
Tra questi 11 milioni sono sfollati, mentre 3,1 milioni hanno cercato protezione nei Paesi limitrofi. Solo nell’ultimo mese 200mila sudanesi sono fuggiti dalle proprie residenze a causa dei combattimenti e delle incessanti violenze.
Intanto anche ieri sono morte 18 persone nello Stato di Gezira, dove le RSF stanno dando sfogo a tutta la loro rabbia dopo la defezione dell’ex comandante dei ribelli, di Abu Aqla Kikil, che a ottobre è passato nelle fila dell’esercito sudanese. L’ira dei paramilitari è incontenibile.
Nello Stato, una volta sotto controllo di Kikil, gli uomini di Hemetti stanno conducendo una campagna di vendetta. Hanno saccheggiato, ucciso civili che hanno posto resistenza e violentato donne e bambine”, ha dichiarato alla BBC Hala al-Karib, responsabile dell’Iniziativa strategica per le donne nel Corno d’Africa (SIHA).
L’associazione che ha documentato le violenze di genere sin dall’inizio della guerra, ha confermato che nell’ultima settimana a Gezira tre donne si sono suicidate, dopo essere state violentate dai paramilitari.
Secondo la sorella di una delle donne che si è tolta la vita, come racconta SIHA, la congiunta è stata violentata di fronte al padre e al fratello. I due uomini sono poi stati brutalmente ammazzati.
La scia dei suicidi legata alla violenza di genere è probabilmente ben più lunga. Nell’ultimo rapporto di 80 pagine redatto da esperti dell’ONU sono stati documentate almeno 400 violenze sessuali dall’inizio del conflitto fino a luglio 2024. Ma si sospetta che la cifra reale sia molto più alta. “E’ sconcertante il numero degli stupri che abbiamo documentato in Sudan”, ha dichiarato Mohamed Chande Othman, capo del gruppo di lavoro dell’ONU che ha redatto il rapporto.
Le vittime documentate dall’ONU avevano un’età compresa tra gli 8 e i 75 anni. Molte di loro avrebbero avuto necessità di cure mediche, ma la maggior parte degli ospedali e delle cliniche sono stati distrutti durante i combattimenti. Ma il portavoce delle RSF, Nizar Sayed Ahmed, ha negato tutte le accuse. “Sono false e prive di fondamenta”, ha riferito ai reporter della BBC.
Cindy McCain, direttrice di PAM (Programma Alimentare Mondiale), è stata recentemente a Port Sudan. “Il conflitto in Sudan ha scatenato la più grande crisi di fame al mondo. Ben 25 milioni di persone vivono in grave insicurezza alimentare e senza aiuti umanitari; migliaia di persone rischiano di morire di fame”, ha commentato alla fine del suo breve soggiorno.
Il Sudan è ora tra i primi quattro Paesi al mondo con la più alta incidenza di malnutrizione acuta globale.
E mentre continua l’agonia dei sudanesi, la guerra non conosce sosta. Recentemente è apparsa una nuova milizia nello Stato di Kassala, chiamata “Battaglione dell’Est”.
Gli uomini di questo contingente sono stati addestrati in Eritrea ed il loro comandante è il generale Amine Daoud Mahmoud. La nuova formazione, che coopera con i militari governativi, ha il compito di proteggere la parte orientale del Sudan.
L’apparizione di queste truppe ha suscitato qualche perplessità per il coinvolgimento di nuove fazioni armate nel conflitto. L’esercito sudanese ha il sostegno del dittatore eritreo Isaias Afworki, guerrafondaio da sempre, che recentemente ha dichiarato alla stampa: “Solo l’esercito può ricostruire il Sudan”.
E infine ha davvero incuriosito una notizia trapelata una decina di giorni fa. Il 21 ottobre è stato abbattuto un aereo ad Al Malha, che dista 120 chilometri da El Fasher, capoluogo del Darfur settentrionale. Si tratta di un cargo Ilushin IL 76, di fabbricazione russa, gestito da una società di Dubai (Emirati Arabi Uniti), la New Way Cargo e immatricolato in Kirghizistan. Ma le autorità competenti del Paese hanno riferito alla Reuters che dallo scorso gennaio l’aeroplano risulta essere registrato in Sudan. La società emiratina aveva fornito armamenti alle RSF attraverso il Ciad.
Ma da gennaio 2023 l’aereo è atterrato più volte a Port Sudan, dove si trova attualmente il quartier generale dell’esercito sudanese. A bordo sembra che ci fossero due persone di nazionalità russa e tre militari sudanesi. Un dispaccio di Reuters del 24 ottobre, ha segnalato che il velivolo viene ora utilizzato per effettuare lanci aerei di armi, munizioni e provviste ad Al Fashir, dove l’esercito, insieme a ex gruppi ribelli alleati con SAF stanno cercando da mesi di respingere gli attacchi della RSF.
Secondo un capo locale delle RSF, in base a alcuni documenti recuperati, uno dei russi a bordo dell’Ilushin IL 76 era Victor Granov, un uomo d’affari residente in Sudafrica e già associato a Victor Bout. Bout è il trafficante di armi russo, che riforniva in Africa un po’ tutti, ribelli e governi. Fu arrestato in Thailandia e estradato negli Stati Uniti. L’8 dicembre 2022 fu scambiato con la cestista americana Brittney Griner che era stata arrestata in Russia.
Insomma Mosca e i paramilitari di Wagner non appoggiano più i ribelli sudanesi, bensì le autorità di Khartoum. Un’affermazione in tal senso è stata fatta anche dal rappresentante permanente della Federazione russa al Palazzo di Vetro, Vasilij Alekseevič Nebenzja, durante l’ultimo Consiglio di sicurezza.
La Russia e la società Wagner hanno avuto legami con le RSF in passato. Ma recentemente, Mosca si è ristabilita come partner diplomatico del governo militare sudanese e come fornitore di munizioni e armi. Nebenzya ha poi specificato: “Crediamo che il Consiglio supremo (cioè la presidenza della Repubblica, ndr) sia la più alta autorità statale legittima in Sudan. Siamo a favore dell’unità, dell’integrità territoriale e della sovranità del Sudan”.
In guerra succede davvero di tutto. Anche le alleanze possono cambiare.
Cornelia Toelgyes
corneliacit@hotmail.it
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