11 ottobre 2024
Secondo quanto riportato alcune settimane fa dal quotidiano israeliano Haaretz, lo Stato ebraico avrebbe intenzione di reclutare richiedenti asilo per combattere a Gaza. In cambio il governo avrebbe promesso di regolarizzare una volta per tutte la posizione amministrativa dei migranti disposti a arruolarsi.
In base ai dati dell’autorità israeliane per l’immigrazione, nell’ottobre 2023 erano presenti 23.249 richiedenti asilo (esclusi i sudanesi arrivati durante il conflitto nel loro Paese e gli ucraini fuggiti dalla guerra in atto). Inoltre ci sono quasi 10.000 minori nati nel Paese, figli di coloro che sono in attesa da anni di un permesso di soggiorno definitivo. Secondo la ONG con sede a Tel Aviv, Hotline for Regugees and Migrants (HRM), solo l’1 per cento delle domande d’asilo vengono accolte positivamente.
Shira Abdo, direttrice per le politiche pubbliche di HRM, ha spiegato che molte richieste d’asilo non vengono respinte, ma sospese per cinque, dieci e anche più anni e ciò crea una situazione di “vuoto giuridico”.
Alcune fonti militari avrebbero confermato, mantenendo però l’anonimato, che il reclutamento è organizzato con consulenti legali specializzati nel ramo difesa. In poche parole, affermano che il reclutamento di queste nuove forze avviene in modo del tutto legale. Finora però non è trapelato come le reclute verranno impiegate poi sul campo. Molte ONG dubitano che il governo di Netanyahu mantenga le promesse fatte ai “volontari africani”, cioè di regolarizzare la loro posizione amministrativa.
Uno dei richiedente asilo, intervistato dal quotidiano israeliano, ha spiegato che poco più di un mese dall’inizio del conflitto con Hamas (7 ottobre 2024 ndr) è stato contattato da un poliziotto, chiedendogli di presentarsi quanto prima nel più vicino commissariato. Agenti della sicurezza hanno poi illustrato al ragazzo che stavano cercando profili specifici per l’esercito. Il ragazzo ha raccontato ai reporter di Haaretz che le persone con le quali ha parlato avrebbero sottolineato: “Si tratta di una guerra di importanza vitale per Israele”.
Dopo svariati incontri con le persone addette al reclutamento, al giovane, arrivato nel Paese all’età di 16 anni, è stato proposto un addestramento intensivo di due settimane insieme ad altri in possesso di documenti provvisori come lui. In cambio avrebbe ottenuto la residenza permanente. “Ho declinato l’offerta, non ho mai tenuto un’arma in mano”, ha poi precisato ai giornalisti che lo hanno intervistato.
Nella speranza di accelerare la loro integrazione, molti richiedenti asilo si sono inizialmente offerti di aiutare in compiti civili dopo l’inizio della guerra tra Israele e Hamas. E, secondo Haaretz è stato così che è emersa l’idea di arruolarli nell’esercito e inviarli a Gaza.
Fino a poco fa il governo di Israele, ha sempre apostrofato i richiedenti africani come “infiltrati”. La maggior parte proviene dal Corno d’Africa – soprattutto eritrei – e dal Sudan (già ben prima che scoppiasse il conflitto nell’ex protettorato anglo-egiziano). Per anni lo Stato ebraico ha fatto di tutto per trasferirli in Paesi terzi come Uganda e Ruanda. Pur avendo sempre negato di aver accolto migranti da Israele, nel 2017 un quotidiano filo governativo di Kampala, “Sunday Vision”, aveva pubblicato in prima pagina: “Israel sends 1.400 refugees to Uganda” (Israele ha inviato millequattrocento rifugiati in Uganda).
Con il prolungarsi del conflitto, Israele è a corto di soldati, tant’è vero che già a giugno la Corte suprema aveva decretato obbligatorio il servizio militare anche per i giovani ultraortodossi, fino ad allora esenti dalla leva. Ed ora il governo recluta anche i tanto disprezzati richiedenti asilo. Molti di loro sono felici di poter servire il Paese ospitante. Un 21enne eritreo ha detto a Haaretz di aver sempre sognato fin da piccolo di arruolarsi nell’esercito, di fare la sua parte e poi di essere israeliano. “Questo è il mio sogno. Chi non sente questa mancanza di appartenenza, può vedere il reclutamento come uno sfruttamento. Chi non ha uno status, non ha altra scelta”, ha poi concluso.
Africa ExPress
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