Dalla Nostra Inviata Speciale
Federica Iezzi
di ritorno da Dayr al-Balah (Striscia di Gaza), 07 ottobre 2024
La ragione per cui Israele è in grado di compiere un genocidio e i leader occidentali sono in grado di sostenerlo attivamente, è perché l’impero mediatico mondiale usa costantemente i suoi pugni, in grande favore di Israele.
Cosa stiamo aspettando? L’attesa è tutta concentrata su quell’immagine capace di rompere la complicità, di scuotere le coscienze, di mettere un punto. Quell’immagine così sconcertante che niente sarà più negoziabile. Qual è? Un bambino amputato? Un corpo fatto a pezzi? Una ragazza senza vita buttata sul lato di un edificio? Stiamo ancora aspettando.
La disumanizzazione è un prerequisito della maggior parte delle forme di violenza. Ben prima che venga sganciata una bomba.
Il corpo di un palestinese è una cosa patteggiabile. Un bambino diventa un minore. I morti diventano presunti. I palestinesi di Gaza scompaiono in numeri così alti che diventa impossibile immaginare i loro nomi o le loro canzoni preferite.
Gli articoli della stampa internazionale sono stati praticamente copie carbone dei comunicati dell’esercito israeliano. Le crepe nel consenso filo-israeliano, che aveva cominciato a dare spazio alla realtà palestinese e a parole come occupazione o apartheid, sono scomparse da un giorno all’altro, testimoniando la fragilità di esili vittorie retoriche.
L’insidiosa macchina tattica israeliana continua a indurre disperazione, indebolimento e intorpidimento: bombardamenti incessanti, blocco degli aiuti, continuo spostamento di civili in infiniti ordini di evacuazione, disumanizzando i palestinesi attraverso la politica e la narrativa. Gaza è considerata il posto più pericoloso in cui essere bambini. Gaza ha il più alto numero di bambini amputati nella storia. Gaza è il posto più letale per un giornalista. Gaza è diventata uno dei luoghi più inabitabili del pianeta.
Ciò di cui i sistemi oppressivi non si rendono conto è che impegnarsi nella disumanizzazione – nel pensiero, nella parola, nell’azione, nella politica – è un esercizio lento e isolante.
Il punto di saturazione si avvicina pericolosamente. E’ lì dove la psiche collettiva si ritrae o si normalizza, dove la metrica dell’orrore comincia a cambiare. Cos’è un altro bambino morto di fronte a ventimila? Il traguardo dell’accettabile si è mosso a una velocità vertiginosa.
Nel frattempo, non esiste alcuna risposta palestinese all’aggressione israeliana che sia accettabile. La resistenza non violenta palestinese – che si è scontrata quasi sempre con la violenza israeliana – è delegittimata o ignorata. I movimenti di boicottaggio sono etichettati come oltraggiosi. I manifestanti dei campus, per lo più pacifici e guidati da studenti, sono stati definiti addirittura pericolosi.
Tutti sembrano più pronti a strappare il diritto internazionale e le istituzioni che lo sostengono piuttosto che a imporlo contro Israele. Tutti denunciano come antisemitismo le proteste di massa contro il genocidio, piuttosto che denunciare il genocidio stesso.
Il 7 ottobre, l’assalto a sorpresa del braccio armato di Hamas, non è stato solo un attacco contro Israele. L’evasione di un piccolo gruppo di combattenti armati, da una delle prigioni più grandi e fortificate mai costruite, è stata anche un attacco scioccante all’autocompiacimento delle élite occidentali, alla loro convinzione che l’ordine mondiale – che avevano costruito con la forza – non fosse più né permanente né inviolabile.
Proprio come è successo con gli israeliani, l’attacco di Hamas ha rapidamente smascherato il piccolo fascista contenuto all’interno della politica, dei media, dell’élite religiosa occidentale, che aveva trascorso una vita fingendo di essere il guardiano di una missione civilizzatrice occidentale, illuminata, umanitaria e liberale.
Una linea rossa che non è una linea rossa è, in definitiva, un permesso. Perché la verità è che qualsiasi violazione del diritto internazionale equivale a una rottura che non dovrebbe allarmare solo i palestinesi, ma ogni entità e individuo parte integrante della società.
Federica Iezzi
federicaiezzi@hotmail.it
Twitter @federicaiezzi
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