Perché l’Africa occidentale è ora l’hotspot del terrorismo nel mondo
Reuters David Lewis, Jessica Donati e Kaylee Kang DAKAR, 24 settembre (Reuters)
Dopo essersi introdotti, inosservati, nella capitale del Mali settimane fa, i jihadisti hanno colpito poco prima delle preghiere dell’alba. Hanno ucciso decine di studenti in un’accademia di formazione della polizia, hanno preso d’assalto l’aeroporto di Bamako, incendiando anche il jet presidenziale.
L’attacco del 17 settembre è stato il più sfrontato dal 2016 in una capitale del Sahel, una vasta regione arida che si estende nell’Africa subsahariana a sud del deserto del Sahara.
Generalmente i terroristi operano nelle zone rurali, dove hanno ucciso migliaia di civili e hanno costretto milioni di persone a fuggire dalle proprie case in Burkina Faso, Mali e Niger, ma hanno dimostrato che possono colpire anche il cuore del potere.
Messo in ombra dalle guerre in Ucraina, Medio Oriente e Sudan, il conflitto nel Sahel raramente occupa le prime pagine dei giornali, eppure sta contribuendo a un forte aumento della migrazione dalla regione verso l’Europa, in un momento in cui i partiti di estrema destra anti-immigrati stanno guadagnando spazio e alcuni Stati dell’UE stanno rafforzando le loro frontiere.
La rotta dei migranti
Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), la rotta verso l’Europa che ha registrato il maggior incremento quest’anno è quella che passa per le nazioni costiere dell’Africa occidentale e raggiunge le isole Canarie in Spagna.
I dati di OIM mostrano che il numero di migranti arrivati in Europa dai Paesi del Sahel (Burkina, Ciad, Mali, Mauritania, Niger, Nigeria, Senegal) è salito del 62 per cento, vale a dire a 17.300 persone nei primi sei mesi del 2024 rispetto alle 10.700 dell’anno precedente. Le Nazioni Unite e l’OIM hanno attribuito questo forte incremento ai conflitti e ai cambiamenti climatici.
Aree di addestramento
Quindici diplomatici ed esperti hanno dichiarato alla Reuters che i territori sotto il controllo dei jihadisti rischiano di diventare aree di addestramento e piattaforme di lancio per ulteriori attacchi a città importanti come Bamako, o a Stati limitrofi e a obiettivi occidentali, nella regione o altrove.
La violenza jihadista, in particolare il pesante tributo imposto alle truppe governative, è stata uno dei fattori principali dell’ondata di colpi di Stato militari che dal 2020 ha colpito i governi sostenuti dall’Occidente: Burkina Faso, Mali e Niger e Paesi al centro del Sahel.
Le giunte militari hanno poi sostituito la collaborazione militare francese e statunitense con quella russa, ma soprattutto si sono affidati ai mercenari di Wagner, che continuano a perdere terreno.
“Non credo che i regimi del Mali, del Niger e del Burkina resisteranno per sempre. Alla fine uno di loro cadrà o uno di loro perderà altre importanti fette di territorio, cosa già avvenuta in Burkina Faso”, ha dichiarato Caleb Weiss, redattore di Long War Journal ed esperto di gruppi estremisti.
“Allora avremo a che fare con uno Stato jihadista o con più Stati jihadisti nel Sahel”, ha affermato Weiss.
Hotspot del terrorismo globale
Le potenze occidentali che in precedenza avevano investito nel tentativo di sconfiggere i jihadisti, hanno lasciato ben poche competenze sul campo, soprattutto da quando la giunta del Niger ha ordinato agli Stati Uniti di abbandonare una importante base di droni a Agadez.
Le truppe statunitensi e la Central Intelligence Agency (CIA) usavano i droni per rintracciare i jihadisti. Le informazioni venivano poi condivise con gli alleati, i francesi – che lanciavano attacchi aerei contro i miliziani – e con forze armate dell’Africa occidentale.
Ma gli americani sono stati cacciati dopo aver irritato i golpisti del Niger, rifiutandosi di condividere le loro informazioni e mettendoli in guardia sulla collaborazione con i russi. Gli Stati Uniti sono ancora alla ricerca di un posto dove riposizionare le proprie risorse.
Nel 2024, 224 attacchi al mese
“Nessun altro ha colmato la lacuna per quanto riguarda un’efficace sorveglianza o supporto aereo, quindi i jihadisti vagano liberamente in questi tre Paesi”, ha spiegato Wassim Nasr, ricercatore senior presso il Soufan Center, un think tank con base a New York.
Un’analisi di Reuters dei dati del gruppo statunitense di monitoraggio delle crisi Armed Conflict Location & Event Data (ACLED) ha rilevato che il numero di eventi violenti che coinvolgono gruppi jihadisti in Burkina Faso, Mali e Niger è quasi raddoppiato dal 2021.
Dall’inizio di quest’anno, si sono verificati in media 224 attacchi al mese, rispetto ai 128 del 2021.
Insa Moussa Ba Sane, coordinatore regionale per migrazioni e sfollati della Federazione Internazionale delle società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (FICR), ha dichiarato che i conflitti sono uno dei fattori principali della crescente migrazione dalla costa dell’Africa occidentale, con un numero sempre più elevato di donne e famiglie lungo questa rotta.
“I conflitti sono alla base del problema, insieme agli effetti del cambiamento climatico”, ha detto Ba Sane, spiegando come le inondazioni e la siccità stiano contribuendo alle violenze e spingendo l’esodo dalle aree rurali a quelle urbane.
_______________________________________________________________ VIOLENZA JIHADISTA NEL SAHEL: 2024
In Burkina Faso, forse il Paese maggiormente colpito, i jihadisti affiliati ad al-Qaeda hanno massacrato centinaia di civili in un solo giorno, il 24 agosto, nella città di Barsalogho, a due ore dalla capitale Ouagadougou.
L’Institute for Economics and Peace (IEP) di Sydney ha dichiarato che il Burkina Faso ha raggiunto per la prima volta quest’anno la vetta del Global Terrorism Index, con un aumento delle vittime del 68 per cento, cioè a 1.907, che corrisponde a un quarto di tutte le morti legate al terrorismo nel mondo.
Secondo le Nazioni Unite, circa la metà del Burkina Faso è ora fuori dal controllo del governo, un fattore che contribuisce all’impennata dei tassi di sfollamento.
“I due grandi gruppi terroristi veterani stanno guadagnando terreno. La minaccia si sta diffondendo geograficamente”, ha dichiarato Seidik Abba, presidente del think tank CIRES di Parigi, riferendosi ad Al Qaeda e allo Stato Islamico.
Un gruppo di esperti delle Nazioni Unite che monitora le attività delle due organizzazioni stima che il JNIM (Jama’at Nusrat al-Islam wal-Muslimin) , fazione allineata ad al-Qaeda più attiva nel Sahel, conti 5.000-6.000 miliziani, mentre 2.000-3.000 sarebbero legati allo Stato Islamico.
“Il loro obiettivo dichiarato è stabilire il dominio islamico”, ha dichiarato Nasr del Centro Soufan.
I jihadisti usano una miscela di coercizione e l’offerta di servizi di base, compresi i tribunali locali, per installare i loro sistemi di governo sulle comunità rurali che da tempo lamentano l’assenza dei governi centrali, deboli e corrotti.
“Venite con noi. Lasceremo in pace i tuoi genitori, le tue sorelle e i tuoi fratelli. Vieni con noi e ti aiuteremo, ti daremo dei soldi”, ha detto un uomo del Mali, descrivendo i suoi incontri quando era ancora adolescente con i jihadisti che hanno attaccato il suo villaggio. “Ma non puoi fidarti di loro, perché uccidono i tuoi amici davanti a te”.
Il giovane è fuggito e ha raggiunto le Isole Canarie l’anno scorso, per poi trasferirsi a Barcellona. Ha richiesto l’anonimato, per timore di rappresaglie nei confronti della sua famiglia che vive ancora in Mali.
Scenario di lancio
Secondo i rapporti di esperti dell’ONU, i due gruppi terroristi operano in aree diverse, a volte combattendo tra loro, ma hanno anche stretti patti di non aggressione localizzati
In base ai fascicoli degli esperti, i gruppi ricevono un certo sostegno finanziario, addestramento e guida dalle rispettive leadership globali, ma impongono anche tasse nelle aree che controllano e si appropriano di armi dopo gli scontri con le forze governative.
I governi europei sono divisi su come rispondere al conflitto. I Paesi dell’Europa meridionale che accolgono la maggior parte dei migranti, sono favorevoli a mantenere aperti i canali con le giunte golpiste, mentre altri si oppongono per questioni di non rispetto dei diritti umani e di democrazia, hanno dichiarato alla Reuters nove diplomatici della regione.
Un diplomatico africano ha affermato che l’UE deve rimanere impegnata perché la questione migratoria non scomparirà nel prossimo futuro.
Anche se l’Europa dovesse concordare un approccio condiviso, da un lato non ha la capacità militare e le relazioni politiche necessarie per aiutare i Paesi saheliani, dall’altro canto le giunte golpiste della regione non vogliono alcun contributo occidentale, hanno sottolineato i diplomatici interpellati da Reuters.
“Non abbiamo alcuna influenza sui gruppi estremisti in questi Paesi”, ha dichiarato il generale Ron Smits, capo delle forze speciali olandesi.
L’altra grande preoccupazione per le potenze occidentali è la possibilità che il Sahel diventi una base per la jihad globale, come l’Afghanistan o la Libia in passato.
“Tutte queste organizzazioni di estremisti violenti aspirano a attaccare gli Stati Uniti”, ha dichiarato questo mese ai giornalisti il generale Michael Langley, capo del Comando Africa degli Stati Uniti (AFRICOM).
Tuttavia, altri funzionari ed esperti affermano che finora i gruppi non hanno ancora dichiarato alcun interesse a compiere attacchi in Europa o negli Stati Uniti.
Will Linder, un ufficiale della CIA in pensione che gestisce una società di consulenza sui rischi, ha affermato che gli attacchi a Bamako e Barsalogho dimostrano che tutti gli sforzi delle giunte militari di transizione del Mali e del Burkina Faso per rafforzare la sicurezza, stanno fallendo.
“La leadership di entrambi i Paesi ha davvero bisogno di nuove strategie per contrastare le insurrezioni jihadiste”.
David Lewis, Jessica Donati e Kaylee Kang
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